Uscito il 17 marzo su Disney +, Lo strangolatore di Boston di Matt Ruskin, con Keira Knightley e Carrie Coon, è un thriller che guarda a una nota e intricata vicenda del passato con un occhio rivolto al presente. Una storia vera – già portata sullo schermo nel 1968 dal film omonimo di Richard Fleischer con Tony Curtis – che parla (anche) di emancipazione e questione di genere, mettendo al centro lo sguardo di due donne in un mondo di soli uomini.
Lo strangolatore di Boston – Trama
Tra il 1962 e il 1964, a Boston, 13 donne vengono brutalmente aggredite, seviziate e strangolate da una mano ignota. A collegare per la prima volta tra loro gli omicidi è una giornalista del “Boston Record America”, Loretta McLaughlin (Keira Knightley). Assieme alla collega Jean Cole ( Carrie Coon) battezzerà il mostro col nome de “Lo strangolatore” dando vita a un’inchiesta senza precedenti nella storia della città.
All’interno del genere
Si colloca in una categoria di film ben precisi, Lo strangolatore di Boston. Quei film che come oggetto hanno la caccia senza quartiere a un serial killer, tra indagini, articoli e redazioni di giornali. Da Quando la città dorme fino a Zodiac sono storie che portano inevitabilmente all’ossessione e alla frustrazione quelle raccontate in questi film. Storie di uomini e donne comuni alle prese con un Male troppo grande per essere razionalizzato o compreso. Film in cui spesso i protagonisti finiscono col rispecchiarsi con le vittime, emarginati come loro in un mondo fatto di discriminazione e privilegi che non li rispetta o comprende.
È quello che succedeva, in maniera estrema ed emblematica, nel recente Holy Spider di Ali Abbasi, e che accade anche in questo film di Ruskin, pur se in forma ben più convenzionale e programmatica.
Uomini che odiano le donne
Loretta e Jean sono infatti donne che lottano ogni giorno per affermarsi e far sentire la propria voce in un mondo di soli uomini. Gli stessi uomini che non accettano – anche a costo di compromettere indagini e lasciare delitti irrisolti – di farsi dare lezioni da loro o di ammettere mancanze ed errori. Un sottotesto, questo, che ne Lo strangolatore di Boston diventa preponderante, andando di pari passo con le indagini della coppia di giornaliste. È così che Loretta, donna indipendente e a suo modo sola come le vittime dello strangolatore, non può che fare di quel caso una questione personale, emblema del suo desiderio di autodeterminazione femminile ed emancipazione lavorativa.
Un film godibile ma didascalico
Tenendosi ben saldo all’interno dei confini del genere, senza aggiungere niente di nuovo al filone ma aggiornandolo quanto basta per rendere i suoi assunti attuali e cocenti, il regista fa del suo film il thriller perfetto, nel bene e nel male, per il periodo storico e per la piattaforma che lo ospita. Forte dell’interpretazione delle sue due protagoniste, Lo strangolatore di Boston si dimostra così un’opera solida benché convenzionale, che rifiuta la facile strada del sensazionalismo morboso (i crimini sono quasi sempre fuori campo) per concentrarsi su una storia fatta di discriminazione e ricerca di giustizia.
Un inno al giornalismo femminile che riporta alla luce i risvolti poco noti di una storia esemplare, dialogando – seppur in maniera didascalica – con un presente ancora lontano dal dirsi pienamente estraneo a certe problematiche.