“Il cinema per me è, soprattutto, uno spettacolo immenso, dove si ripropongono fatti della vita mascherati. È un veicolo per raccontare esperienze proprie, esperienze storiche, esperienze psicologiche. Sempre attraverso la favola, attraverso il mito, attraverso lo spettacolo. Io sono nato nel cinema, vivo di cinema, leggo cinema, vedo cinema. Per me il cinema è vita, e viceversa”.
Con queste parole di Sergio Leone, rilasciate nel corso di una vecchia intervista, si apre il bel documentario di Francesco Zippel Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America.
Sono parole esplicative che riassumono perfettamente il senso di tutta l’opera filmica del regista romano; la sua idea di cinema che viene fatta rivivere sullo schermo grazie al preciso lavoro di ricerca di Zippel il quale, attraverso materiale d’archivio, anche inedito e numerose interviste a vari personaggi del cinema e ai figli di Leone Francesca, Raffaella e Andrea, rende omaggio al regista che ha contribuito a far nascere un genere ben preciso, quello dello “spaghetti western”, riproponendo e rivitalizzando a modo suo il western classico americano ormai in declino. Smitizzandolo e realizzando un cinema popolare nobilitato e accessibile a tutti.
Esattamente come tanti anni prima aveva fatto il padre Vincenzo Leone che, con lo pseudonimo di Roberto Roberti, era stato uno dei grandi registi del cinema muto in Italia – il preferito dalla grande diva del momento Francesca Bertini – sino all’interruzione della carriera durante tutto il Ventennio a causa delle sue convinte posizioni antifasciste.
E di Roberto Roberti vediamo inserite alcune sequenze dei suoi più famosi film, quali La contessa Sara, Il barcaiolo del Danubio e, soprattutto, Fra Diavolo.
C’era una volta a Trastevere
Sono molti i personaggi che si avvicendano sullo schermo per raccontare Sergio Leone, sin dai tempi dell’infanzia e dell’adolescenza vissuta nel quartiere romano di Trastevere, sotto il fascismo prima, durante l’occupazione tedesca e la liberazione da parte degli alleati poi. Lo stesso Leone racconta come proprio i militari statunitensi furono i primi americani che il giovane Sergio aveva visto dal vivo, così diversi da quelli che, da bambino, ammirava al cinema nei primi western arrivati in Italia prima del divieto imposto dal fascismo.
Fra i volti noti che contribuiscono al racconto per esperienza diretta o per l’importanza che i film di Leone hanno rappresentato per la loro formazione artistica, ricordiamo attori e registi quali, fra gli altri, Steven Spielberg, Quentin Tarantino, Clint Eastwood, Martin Scorsese, Robert De Niro, Damien Chazelle, Giuseppe Tornatore, Jennifer Connelly, Giuliano Montaldo, Frank Miller, Tsui Hark, Carlo Verdone, Dario Argento, Eli Wallach, Darren Aronofsky. Il biografo di Leone Sir Christopher Frayling, i già citati figli di Leone, alcune maestranze che hanno collaborato con il regista romano e il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinetti.
Ma a dare un contributo fondamentale al racconto, sono soprattutto gli interventi di Ennio Morricone, il celebre interprete delle colonne sonore dei film di Sergio Leone sin dal suo primo western Per un pugno di dollari, che trasferisce in un west inventato I sette samurai di Akira Kurosawa.
Momenti di autentica commozione
Attraverso le immagini e le splendide musiche divenute ormai celebri, il documentario di Zippel consente una totale immersione nel mondo e nella magia dei film del vecchio ragazzo di Trastevere, suscitando, in chi guarda, momenti di autentica commozione senza, per altro, scadere mai nel retorico.
Lo scorrere delle scene di Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, C’era una volta il West, Giù la testa e del suo ultimo e definitivo capolavoro C’era una volta in America, provocano nello spettatore, così come confermano le parole di Steven Spielberg, un senso di nostalgia e di mancanza per i personaggi creati da Leone.
Gli intensi primissimi piani dei volti degli intervistati, che rimandano a quelli caratterizzanti lo stile del regista romano, permettono di entrare in sintonia con il racconto. E il sorriso di Robert De Niro sul finire di C’era una volta in America, non può non provocare un grande senso di struggimento in ogni spettatore. Un sorriso che, come precisa sempre Spielberg, sta a rappresentare l’infanzia di Sergio Leone e l’entusiasmo di essere bambino. D’altra parte è lo stesso regista a domandarsi: “Come si fa a dimenticare il mondo dell’infanzia e della fanciullezza?”, ricordandoci che ogni sua opera è permeata da queste sensazioni e che, in fondo, tutti i suoi film rappresentano proprio questo: “Il mondo giudicato dai bambini”.
La stessa fanciullezza che ha accompagnato tutta l’esistenza dell’eterno ragazzo di Trastevere, che andandosene a soli sessant’anni, ha lasciato in tutti coloro che lo hanno amato, un vuoto incolmabile. Un uomo che davvero, con le sue opere, ha saputo “inventare” l’America.
Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America, premiato ai Nastri d’Argento, è un film da guardare con grande passione, sino all’ultimo fotogramma dopo i titoli di coda, quando Quentin Tarantino, con il suo fare istrionico, ci racconta un gustoso aneddoto legato al Maestro.
Una produzione Sky Studios e Sky Italia con Leone Film Group, distribuito da 01 Distribution, è ora disponibile sulla piattaforma streaming Now TV.