Su Netflix il thriller The Strays è uno squarcio sull’oscuro mondo di un’identità negata.
Il film britannico è diretto da Nathaniel Martello-White.
The Strays la trama
Cheryl, giovane madre londinese ha due figli a carico, ma anche aspirazioni personali e professionali. Sogna l’agiatezza, una bella carriera, un buon marito . Cheryl scappa, scaricando i figli alla sorella e trasferendosi in un località imprecisata con una nuova identità e una forte ambizione che l’aiutano a trasformarsi in qualcuno di diverso: una sofisticata ed elegante donna dalla vita perfetta.
Ma l’esistenza della donna è solo una farsa, Odia le altre madri e mogli, rifiuta la sua identità razziale e impedisce ai figli di avvicinarsi alla cultura nera, vive nel terrore che il suo passato possa distruggere la sua immagine. Un giorno comincia a intravedere nel quartiere dove risiede una coppia di giovani neri (Jorden Myrie e Bukky Bakray) sfuggenti come spettri. Il Passato incombe.
The Strays parte come un thriller. psicologico. Neve è oppressa da una situazione interiore intollerabile. Sembra dominata da un’angoscia che non le da più pace con una quotidianità tormentata da misteriose visioni. Da un certo momento in poi The Strays si trasforma in un film dell’orrore alla Jordan Peele per le tematiche razziali identitarie e in cui la frustrazione accumulata viene sfogata in un’escalation di violenza repressa.
Al centro il concetto di ‘maternità ‘ e la terribile domanda forse sottintesa: cosa definisce una madre come tale? Quale il limite oltre il quale finisce il ruolo di madre e inizia una sorta di indicibile libero arbitrio? Un terreno neutro entro cui poter essere libere di scegliere di chi continuare ad essere genitore e per quanto tempo?
Cheryl/Neve è interpretata da Ashley Madekwe (Revenge e Salem) , un’antieroina emblema di egoismo, vittimismo non completamente motivato, dualismo identitario. Il personaggio di Cheryl è un’ eccezione per il classico canovaccio da horror di genere: non c’è un’eroina al centro ma un personaggio scomodo, negativo e oscuro, che non si perdona ne si comprende.
Manipolazione della visione
Intelligentemente Nathaniel Martello-White, attore e sceneggiatore britannico qui al suo esordio nella regia, manipola l’opinione dello spettatore man mano che la storia procede.
Non induce lo spettatore a creare un legame con Neve (inizialmente presentata come una donna in cerca di un riscatto sociale) , per mostrarne invece i lati più oscuri. Troppo semplice sarebbe stato intraprendere la strada del plot madre maltrattata-fuggitiva-in cerca di redenzione. Costruisce invece un carattere che non si compiace di se stesso ne si propone come modello (positivo o negativo) ma soltanto si concede ad una pellicola totalmente centrata sui suoi mostri soprattutto interiori.
Ottimo il ritmo e una tensione che mantiene lo spettatore sempre sul filo snervandolo con espedienti anche sonori (lo scroscio dell’acqua che continua a scorrere incessante in cucina, il rumore delle unghie che grattano sotto la parrucca), suoni che divengono metafore del ‘rumore’ dentro la testa di Neve.
L’horror è silente e striscia sotto forma di suono e di silenzio alternato. Un incubo suburbano che si conclude con un finale che spiazza più che per il male portato dai ‘randagi’ per l’agghiacciante verità della reale natura di Neve. Qui a far paura non è la probabile tortura alla Us o Funny Games ma è l’assenza del legame, la fredda consapevolezza del vuoto, il non valore dato agli affetti, la capacità di voltare le spalle alla ‘famiglia’ ancora una volta.
Il vero mostro sta in un’ anima fredda che non conosce o che rinnega l’amore.
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