‘Unrest’ di Cyril Schäublin su MUBI, metti un anarchico tra gli orologi
Un anarchico, la sua non-storia d'amore con l'operaia di una fabbrica di orologi e una regia d'impeccabile calibratura: il film del cineasta svizzero, premiato alla Berlinale 2022, contrappone tempo della vita e tempo dell'industria in un paesino elvetico di fine '800
Preciso, regolare, cervellotico: è un meccanismo di orologeria fine Unrest (Unrueh)di Cyril Schäublin, cineasta zurighese (e figlio di orologiai) premiato nella sezione Encountersdi Berlino 2022 per la migliore regia. A un anno di distanza, ma sempre in tempi di Berlinale, MUBI ne ripropone con puntualità svizzera l’ultimo apprezzato lavoro.
Tempi moderni
Il soggetto di Unrestsuona come un colmo: un anarchico russo, Pyotr Kropotkin, in un paesino svizzero tra fabbricanti di orologi. Più che ironia, è una quieta e surreale cartolina dal passato, dall’ordinata cittadina di Saint-Imier. È l’alba del capitalismo e dell’organizzazione taylorista e fordista delle industrie, tra gli anni ’70 e ’80 del XIX secolo, ma anche del consolidamento del movimento anarco-sindacalista. Due lancette che vanno in direzioni opposte: da un lato, meccanismi centralizzati di potere e speculazione, che passano anche attraverso il controllo del tempo e delle tecnologie; dall’altro, un’alternativa fondata più sul reciproco aiuto che sulla competizione, più sugli individui che sui sistemi.
Certo è, sul quadrante della Storia è un momento cruciale, che pone le basi della vita moderna, delle sue scansioni, dell’identità da scegliere e fabbricare. Insomma: un’affascinante immersione nella Svizzera operaia dell’800, per operare una riflessione sulla società e su come essa scelga e costruisca la propria identità. Complicato? Lo è. Ma sembra che funzioni. E a smontarlo, magari, se ne capisce di più.
XIX secolo. Le nuove tecnologie stanno trasformando una fabbrica di orologi in Svizzera. L’operaia Josephine (Clara Gostynski) produce il bilanciere, il cuore pulsante dell’orologio. Esposta a nuove modalità di organizzazione del denaro, del tempo e del lavoro, entra a far parte del movimento anarchico locale, alimentato dalla presenza di Pyotr (Alexei Evstratov), venuto dalla Russia dichiarandosi cartografo. (Adattato dalla sinossi ufficiale)
La macchina del tempo
Le signorine sono restie a farsi fotografare; meno a spettegolare. L’incipit di Unrestè in un gruppo di dame russe, di bianco vestite, con l’ombrellino e il calice, che discute all’aperto dei tempi correnti. Si parla del cugino Pyotr – “povero Pyotr!” – finito in qualche valle della Svizzera, “dove vivono solo orologiai e contadini”, e di questa cosa che si chiama anarchismo:
(…) è come il comunismo, ma senza un governo.
Anche questa chiacchiera da salotto, che sembra uscire da qualche romanzo di Tolstoj, serve per inquadrare l’epoca storica. È l’età delle nazioni, ma anche dell’anarchismo; del decollo industriale, ma anche della lotta operaia. Questo è il salto nel tempo di Unrest. Ma quando la macchina da presa mette treppiede in Svizzera, tutto ciò non resta dibattito intellettuale, bensì diventa vita quotidiana della comunità. Qui, l’estetica di Cyril Schäublin riesce a elevare Unrest dal banale ritratto di costume, così come dal film storico o dal biopic del caro cugino Pyotr. Per questa regia artata, oleata con zelo, il cineasta è stato premiato a Berlino e il film ha fatto il giro dei festival nel mondo.
Il tempo delle macchine
Tutto è calibrato al millesimo in Unrest. Le inquadrature decentrano ai margini del campo i personaggi, per il paradosso di voler costringere lo spettatore a cercarli, a farci caso. Quando qualcuno parla, nelle tante scene corali, la distanza della macchina da presa non consente di capire immediatamente chi sia l’interlocutore. I dialoghi, poi, sono spesso stranianti e le situazioni surreali. Ad esempio, quando Pyotr vuole inviare dei telegrammi a colleghi anarchici, gli viene chiesto, dall’impiegata con quale orario debbano essere notificati: quello municipale? Quello locale? Quello della fabbrica, o della chiesa? Da buon anarchico, per lui fa lo stesso: la vita non può essere scandita da una macchina.
Unrest, uno dei tanti orologi di un film ossessionato dai cronometraggi
Eppure, sono le macchine le protagoniste del film: il film ingrana tra gli ingranaggi. Rotelle, spirali, viti, bilancieri, braccetti, perni e tutto l’armamentario dei laboratori meccanici. Con i suoi primi piani di ingranaggi, il film ha quasi un effetto involontario di steampunk. Gli ambienti delle fabbriche con le vetrate grige, i banconi a schiera, le lavoratrici col monocolo nella divisa acromatica, sembrano venir fuori da una proto-versione pacifica di Metropolis.
Unrest, gli ingranaggi si prendono la scena audiovisiva
E se nei tempi moderni il tempo è tutto, anche lo spazio non scherza. Il telegrafo supera le distanze, purché non si guasti. La macchina fotografica impone i suoi diktat: per favore, uscite dall’inquadratura. Sequenza intermittente del film è infatti quella in cui Pyotr o Josephine non possono oltrepassare una zona, perché un fotografo sta disponendo una foto a qualche industriale, per rilanciare una campagna di marketing, o a qualche politico, per rilanciare una campagna di propaganda. Tutto passa dal controllo delle macchine; tutto passa dal controllo di tempo e spazio.
Il tempo è denaro
Anche dal punto di vista della sceneggiatura e dei suoni, il film si calibra su un’estetica della misurazione. Raramente come in Unrest il linguaggio di un film è così farcito di cronometraggi, prezziari, tassi, cifre e tariffari. È tutto un discutere di minuti e minute; di secondi e secondini che controllano inflessibilmente il tempo di produzione. Le stesse operaie al lavoro sono spinte a interiorizzare questa dinamica. Sono quasi caricate a molla:
Quanti ne riesci a produrre all’ora?
Cinque. Ma la prossima volta lavoreremo tutte un po’ più lentamente.
Ma poi ci licenziano perché non produciamo abbastanza.
L’immagine dominante è quella dell’orologio, ma c’è anche quella ricorrente della cassa o del salvadanaio. Il montaggio sonoro, stupefacentemente pulito quanto ai rumori di produzione, è un vibrare metallico di qualche meccanismo, un perdurante ronzare di rotelle; ma anche un tintinnare di spiccioli.
Unrest, l’ambiente di lavoro sordo, grigio e tintinnante
L’industria vorrebbe controllare il tempo della vita per trasformarlo integralmente in tempo di produzione; il tempo è denaro, come ammoniva in qualche ufficio un cartello:
Siate concisi. I vostri minuti sono preziosi quanti i nostri.
Due gustosi stralci del film lo ribadiscono. All’operaia che va in prigione per non aver pagato le tasse viene dato il kit di lavoro per poter lavorare anche in cella, rendendo produttivo il proprio tempo. Alle lavoratrici licenziate perché iscritte al movimento anarchico, viene corrisposta, calcolata al centesimo, la quota variabile del lavoro che hanno svolto fino a quel momento.
Il tempo delle mele
Più che un’alternativa, l’anarchia è una terapia d’urto. Prima di esserlo come scontro tra massimi sistemi, lo è come difesa della vita. Unrest è anche una non-storia d’amore, quella tra Pyotr e l’operaia Josephine. Purché i due sappiano attraversare il bosco dei sentimenti in una società che sembra andare in direzione diversa, e in cui non ci si sorprenderebbe se qualcuno cronometrasse anche un bacio. Il film non esplorerà il loro legame, lasciandoli alle soglie di uno spazio violato: un sentiero dove, nemmeno a dirlo, un burocrate vuole chiede che riempiano un modulo e cronometrino il tempo di percorso (!), mentre una guardia pretende di sbarrare il passaggio, perché un fotografo sta fotografando la zona per il catalogo della fabbrica (“nessuno può entrare nell’inquadratura”). Ma i due vanno avanti: alla guardia il fischietto isterico, a loro la libertà di vivere. Tra gli alberi, come Adamo ed Eva. Un orologio pende tra le fronde nel piano sequenza di chiusura: c’è anche il tempo della vita, della natura e – perché no – dell’amore.
Unrest, Josephine e Pyotr tra le fronde, quasi prima donna e primo uomo rinati nel campo cinematografico
Eppure, per un bell’atto registico di discrezione, intuiamo, più che sapere: la storia d’amore di Pyotr e Josephine resta un pettegolezzo sulla bocca di qualche paesano. Il ciclo filmico di Unrest si muove da un pettegolezzo d’apertura, a uno di chiusura. In mezzo, un bel po’ di cicli industriali; ma anche riunioni di anarchici, e l’anarchia dei sentimenti. I tempi moderni non sono erano, non sono l’unica scelta: un altro tempo, più umano, è possibile.