Nel mini ciclo che MUBI dedica al grande regista coreano Park Chan-wook, Mademoiselle rappresenta uno dei titoli più raffinati e complessi dell’opera del talentuoso cineasta.
La serva che condizionò i destini di due paesi rivali
La vicenda mette in campo una bella ladra, figlia di una madre truffatrice e un affascinante truffatore suo complice.
La donna riesce a farsi assumere come cameriera da una ricca donna giapponese, rinchiusa perennemente nella sua sontuosa villa, sotto il controllo di uno zio collezionista di testi e libri rari.
Il rapporto tra le due donne diventa così complice da colorarsi di uno sfondo sessuale che finisce per divenire un traino senza controllo, con intrecci corporali scenografici che la notevole regia del grande maestro coreano esalta con costruzioni geometriche ardite che sfiorano la perfezione.
Ma la storia è nettamente più complessa di quanto mai potremmo immaginare, e capire, fino in fondo.
L’intrigo si serve di un percorso indietro nel tempo che svela, in momenti studiati opportunamente, quando e come rivelare allo spettatore precisi particolari in grado di capovolgere completamente la situazione, rendendo succube chi dominava e viceversa.
Mademoiselle – la recensione
Spericolato, vorticoso e lambiccato adattamento del romanzo ad ambientazione ottocentesca Ladra, di Sarah Waters, The Handmaiden, diventato da noi Mademoiselle, segna il ritorno in patria di Pan Chan Wook, dopo la trasferta americana del 2013 con Stoker.
Il cineasta sposta la intricata e complessa vicenda dalla seconda metà dell’Ottocento alla Corea del 1930, introducendoci nelle trame triangolari tra un uomo e due giovani donne: tutti a loro modo coinvolti in una ragnatela dai connotati diabolici, oltre che estremamente sfaccettati e complessi.
Il film, maestoso, risulta diviso in due prime parti che ci raccontano la stessa storia da due punti di vista differenti, e una terza conclusiva, come per dedicare un capitolo ad ogni angolo della triade protagonista, girato e fotografato splendidamente.
Mademoiselle, lambiccato e complesso, talvolta persino cervellotico, richiede un certo impegno ad essere seguito nelle molteplici sue sfaccettature, ma ciò non toglie che la maestria della direzione resti elemento di assoluta importanza.
La storia di una serva astuta e del rapporto tra due popoli rivali
L’opera di Park Chan-wook è accompagnata da un valido apporto musicale, da thriller teso e di gran classe, e in stile ben poco orientale, che rende concitato l’intreccio anche laddove si tende a perdere un po’ il filo temporale degli avvenimenti.
Il plot procede sinuoso tra amplessi lesbo e triangoli amorosi impossibili e letali, scanditi da virtuosismi di macchina senz’altro piacevoli e affascinanti.
Notevole ed essenziale la fotografia tutta filtri caldi e vedute suggestive, esaltata anche dalla destrezza di voli aerei e acrobazie di ripresa.
Elementi di forma preziosi, che si rivelano in grado di stemperare la complessità della vicenda, complicata anche dagli influssi socio-culturali dovuti a una commistione di lingue e usanze nipponico-coreane, che l’occhio europeo non è, salvo casi eccezionali, assolutamente in grado di comprendere. Pure il doppiaggio è risultato alquanto complesso.
Nella versione vista al festival di Cannes, i francesi hanno provveduto a diversificare i colori giallo e bianco a seconda della traduzione dal coreano o dal giapponese, per farci comprendere la differenza di espressione.