Giuseppe Tantillo è tra i personaggi della serie Rai di successo Mare Fuori. Il suo personaggio, Alfredo, appare in un paio di episodi nella seconda stagione, ma torna, in maniera ricorrente, nella terza. A proposito di questa doppia faccia abbiamo fatto qualche domanda al suo interprete.
Alfredo secondo Giuseppe Tantillo
Se dovessi descrivere Alfredo, il tuo personaggio di Mare Fuori, con una frase o un’espressione quale useresti?
Per come è descritto è un cattivo, ma, come interprete, è una parola che mi piace poco.
Per descriverlo scelgo, quindi, una frase e ti dico Non all’altezza dei suoi sentimenti.
Nell’approcciare il personaggio non lo voglio e non lo posso giudicare. Quindi, anche quando si parte da un personaggio come questo, che può apparire cattivo, io cerco di capirne a fondo le motivazioni. Mi sono detto: è un personaggio che vorrebbe essere il fidanzato giusto per Silvia e un avvocato onesto, ma non ce la fa. Questo perché ci vuole coraggio per essere vicini all’ideale che si ha di sé stessi; è molto più facile non avvicinarcisi, anche dal punto di vista emotivo. Per essere buoni ci vuole un gran coraggio perché si è più fragili, ci sono meno barriere, abbiamo meno scudi.
Poi naturalmente questa è la mia interpretazione del personaggio. Ho pensato di estremizzarlo in una direzione o in un’altra, ma non ho voluto dargli un’interpretazione manichea. Non sarebbe stato interessante; diventa interessante quando si fa fatica ad afferrare quel personaggio, ci si chiede che cosa pensa e cominciano a venire dei dubbi. Non ci appassioniamo a personaggi che non hanno dubbi.
Né buoni né cattivi
Sono d’accordo con questo ragionamento, ma mi viene da pensare che solitamente quando parli con un attore o un’attrice alla domanda “chi vorresti interpretare?” la risposta è “un cattivo”. Invece il tuo personaggio non è proprio cattivo, ha questa doppia faccia e doppia valenza.
È vero, leggo spesso tra le risposte dei miei colleghi questo discorso di voler essere il cattivo perché è più divertente e ogni volta mi verrebbe da chiedere “perché è più divertente?”. Io trovo sempre divertente interpretare personaggi che sono complessi. Perché interpretare il cattivo che è solo cattivo è divertente, ma è anche facile.
In questo senso Mare Fuori si presta bene perché alla fine non c’è nessuno di veramente buono al 100%, quindi immagino sia stimolante qualsiasi personaggio.
Sì, e questo è dovuto a una buona scrittura. Come un buon libro, se tutti i personaggi sono chiari e non hanno punti deboli non ci si immedesima.
Il tuo personaggio appare in un paio di episodi nella seconda stagione e poi ritorna come personaggio ricorrente nella terza. Com’è stato entrare in un gruppo, per certi versi, già consolidato?
Direi facile perché è un gruppo molto accogliente, sono tutti molto familiari. Per esempio è carino vedere che, visto che girano la maggior parte delle scene dove c’è il carcere, mangiano tutti insieme alla mensa, quasi come fosse una colonia scolastica. Hanno creato una situazione familiare per cui entrare era più facile del previsto. Ed è stato bello perché quando si arriva in una macchina che già esiste non sai come ti potrai trovare. E poi Napoli è una città talmente bella.
Giuseppe Tantillo: due curiosità
Due curiosità: la prima è che, se non sbaglio, sei siciliano e qui hai dovuto inserirti in un contesto napoletano. Com’è stato? Non ricordo se viene specificata la provenienza geografica del tuo personaggio…
No, non è siciliano. Alfredo è napoletano, ma abbiamo deciso di tenere un accento neutro, dando qualche sporcatura in napoletano senza calcare troppo perché non aveva neanche senso rispetto al resto delle cose. Era carino creare una diversità nel modo di parlare. Un italiano pulito con delle sporcature era la scelta migliore.
Inizialmente mi hanno lasciato libero in questo senso. Ho lavorato soprattutto in rapporto a quando mi relaziono con i ragazzi dal momento che loro parlano in dialetto un po’ stretto e questo mi ha fatto porre delle domande. Poi c’è da considerare che l’italiano pulito non lo parla quasi nessuno perché la forza della lingua italiana sono i dialetti. Infatti quando ti confronti con qualcuno che ti parla in dialetto e tu in italiano devi trovare una specifica alta perché altrimenti non risulti efficace come chi parla in dialetto. Ho cercato di essere specifico in questo e mi sono chiarito le idee in testa.
Michael Caine, per esempio, diceva di usare il proprio accento, perché quando se ne usa un altro si occupa l’80% del tempo a pensare all’accento e non all’interpretazione. Bisogna trovare un equilibrio che è spesso sottile, ma non è facile.
Ecco perché devi sapere tutto del personaggio: più ne sai più puoi difenderti in qualunque situazione.
Alla luce di questo ragionamento mi viene da dire che la scelta di usare un tono neutro per il tuo personaggio, vista la sua doppia faccia, è più che azzeccata. Non sta né da una parte né dall’altra.
Ho giocato più sull’immaginario sentimentale del personaggio collocandomi in quella città specificando delle cose piuttosto che altre. Secondo me così è più arricchente. Noi dobbiamo fare riferimento al nostro immaginario e non a quello di altri.
L’altra curiosità
L’altra curiosità è che sono tutti attori giovanissimi o comunque i personaggi che interpretano dovrebbero essere minorenni, mentre te rientri tra gli adulti che ruotano intorno a questi giovani. Com’è stato il tuo approccio per questo aspetto?
Con i più giovani è molto interessante sia con quelli che hanno frequentato già alcune scuole, sia con quelli che sono all’esordio, perché tutti hanno un’energia pazzesca.
Io che vengo da una formazione accademica e teatrale adoro approcciarmi con questo tipo di energia di attori molto giovani: hanno una fiamma che loro stessi accendono e che dà una luce che va oltre quello di cui si rendono conto. E io mi apro molto a questo tipo di esperienze. Il mio lavoro è quello di essere molto aperto a questa dinamica. Quando mi trovo davanti un’energia giovane, sorprendente, nuova e forte la ritengo la linfa vitale del nostro lavoro e mi lascio abbracciare da questo.
Ecco perché ho adorato lavorare con attori giovani. Hanno una luce negli occhi che permette di giocare in modo diverso ed è proprio quello con cui non bisogna mai smettere di giocare. E questa credo sia anche un po’ la forza di questa serie.
Quando si recita con persone più adulte c’è un modo di pensare e di lavorare simile, ma è meno sorprendente. Invece io amo sorprendermi. Se mi sorprendo posso fare delle cose sorprendenti, altrimenti mi annoio e, visto che la noia è la cosa più pericolosa nella vita e nell’arte, è meglio lasciarsi sorprendere.
Il successo di Mare Fuori
Il fatto di avere protagonisti giovani è uno degli elementi che hanno contribuito al successo di questa serie. Come dicevamo sei entrato nella seconda stagione, quando la serie era comunque già molto affermata e apprezzata. Quando sei stato contattato per il ruolo di Alfredo ti saresti aspettato un successo del genere?
Assolutamente no. Mi avevano proposto questo personaggio che sapevo avrebbe avuto uno sviluppo nella stagione successiva e mi sembrava interessante.
Sono rimasto anche io stordito da questo successo. Credo che nessuno se lo aspettasse in questo modo. Che l’algoritmo se ne faccia una ragione! (ride, ndr)
Come vivi il fatto che sia apprezzato sulle piattaforme e sui social e che sia ormai un prodotto mondiale?
Non mi aspettavo questo successo e mi piace anche il fatto che sia trasversale rispetto alle fasce d’età: lo guardano tutti. Ha uno zoccolo duro under 30, ma non solo.
Devo dire che è una cosa molto positiva anche per la serialità Rai, anche perché è una serie un po’ diversa rispetto a tutte le altre e meno pensata per un pubblico agé. Questo fa capire che è possibile fare qualcosa che sia in competizione con le piattaforme moderne, come Netflix, Amazon, etc.
Le visualizzazioni su RaiPlay sono qualcosa di storico. Io per primo sono impressionato.
Oltre alla giovane età degli interpreti c’è anche il fatto di affrontare più temi, anche importanti e attuali.
Penso di sì. La mia spiegazione a questo successo è che intanto si racconta l’età più interessante della vita che è la tarda adolescenza, quando si passa da essere ragazzi a essere uomini e donne. E questo è il momento in cui si decide cosa si diventerà. Il momento a cui facciamo riferimento sempre quando pensiamo a qualcosa di malinconico.
Se poi mettiamo questo all’interno del contesto del carcere minorile, si espande ancora di più e questa cosa diventa quasi shakespeariana.
Qualche anticipazione
Non potendo probabilmente anticipare nulla sulla prossima eventuale quarta stagione, ti chiedo: cosa ti senti di dire/consigliare al tuo Alfredo?
Gli direi di rischiare assolutamente e avvicinarsi all’idea che ha di sé stesso, a costo di qualunque cosa. Questo è quello che mi piacerebbe facesse. Anche perché credo molto nell’evoluzione dell’essere umano.
Se ne avessi la possibilità c’è un personaggio, oltre al tuo, che vorresti interpretare?
No, a questa domanda non ti posso rispondere (ride, ndr).
Giuseppe Tantillo: attore e autore
So che sei autore oltre che attore. Com’è nato l’interesse a 360 gradi per lo spettacolo? Quanto ti ha influenzato/aiutato questo nel creare i tuoi personaggi?
Quando ho frequentato l’accademia Silvio D’Amico come attore ero attratto dalla bella scrittura, dalla drammaturgia, ma solo come attore e non pensavo di poterlo fare io stesso. Anche se ho sempre scritto non ho mai pensato di farne un lavoro.
Appena uscito dall’accademia, prima di iniziare a lavorare regolarmente come attore, mi sono trovato dei periodi un po’ più vuoti. Io non sono in grado, come molti altri colleghi, di aspettare; ho bisogno di fare, sono un iperattivo e mi sono avvicinato alla scrittura. Ho scritto un testo teatrale, l’ho mandato a un premio di drammaturgia e ho ricevuto una segnalazione speciale. Da lì ho avuto un’illuminazione.
Poi però ho iniziato anche a lavorare come attore e improvvisamente mi sono trovato con due lavori. Ma in realtà mi sono reso conto che le due cose sono legatissime. Io sono autore anche quando recito, non sono solo un esecutore, così come sono un attore quando scrivo perché, per esempio, adoro e sono attratto dai dialoghi che non potrei conoscere così bene se non fossi attore. Ho bisogno di entrambe le cose.
Nasco come attore e sulla C.I. sono attore e a questo non rinuncerò mai perché è la mia parte leggera. Ma poi c’è la parte che ha a che fare più con il mio inconscio. L’esempio principe per spiegare la commistione di questi due aspetti è Sam Shepard che era un attore conosciutissimo, ma anche il più grande drammaturgo americano degli ultimi anni. Qui è una figura che è stata frequentata poco, ma è molto rilevante. Siamo creatori di mondi anche se il mezzo è un altro.
E a me piace continuare per entrambe le strade per sperimentare sempre cose nuove. La mia nella vita è una battaglia contro la noia!
Progetti futuri
Adesso stai scrivendo qualcosa?
Sì, sto scrivendo il mio nuovo testo. Penso che lo finirò in un paio di settimane, se non vengo interrotto da altro. E se tutto va bene spero di debuttare l’anno prossimo perché il teatro ha sempre questi tempi lunghi: scrivi, debutti e poi vai in tournée l’anno dopo.
L’attore è ora e subito, l’autore, invece, ha tempi molto più dilatati. Io lotto perché non passi molto tempo.
Oltre a Mare Fuori sei anche in un altro prodotto seriale Maria Corleone. Anche qui hai a che fare con la malavita come argomento principale. Ti ha aiutato prendere parte a questi due progetti quasi in parallelo?
È vero, è un tema ricorrente, ma in realtà i personaggi erano diversi, sia dal punto di vista dell’estrazione sociale che del carattere.
Altri progetti futuri?
A breve girerò un film, ma non posso parlarne. Diciamo che i miei impegni dei prossimi mesi saranno scrivere il mio testo teatrale, girare questo film e poi… (ri)guardare Mare Fuori ogni settimana su Rai2.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli