Unlocked di Kim Tae Joon è un thriller della Corea del Sud disponibile su Netflix. Interpretato da Yim Si-wan (Emergency declaration, The Attorney), Chun Woo-hee (Goksung – La presenza del diavolo) e Kim Hie-won. Il film è tratto dal romanzo di Akira Shiga, Stolen identity, che a sua volta ha ispirato il film omonimo del 2018 diretto da Hideo Nakata.
Con Unlocked Netflix sfoggia un prodotto ben realizzato, dentro i canoni del thriller psicologico, che non esagera mai nei modi. Per questo è capace di creare e avvolgere lo spettatore in una pungente ed efficace inquietudine che rimane nella testa e nello stomaco per due ore in apnea.
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Unlocked di Kim Tae Joon, la trama
Na-mi (Chun Woo-hee) dopo una serata di festa con le amiche, perde il cellulare sull’autobus. Per sua sfortuna, lo ritrova Jun-yeong (Yim Si-wan), uno stalker perverso che installa sul telefono uno spyware e si impadronisce della vita di Na-mi. Agisce nell’ombra per conoscerla e rubarle password e interessi, e in una notte come le altre, si intromette sui suoi profili social e ne compromette la reputazione e la professionalità.
In realtà Jun-yeong è molto più che un hacker malato. Contemporaneamente alla vicenda di Na-mi, infatti, è in corso un’indagine su di un killer seriale che il detective Ji-man (Kim Hie-won) è convinto possa essere lui.
Le storie parallele convogliano tutte sull’insospettabile Jun-yeong, ma ogni svolta la sceneggiatura si porta dietro una non scontata morsa di tensione.
Montaggio e fotografia
Prima di riflettere sui significati di un film diretto con maestria di genere, malgrado sia un’opera prima, citiamo il lavoro peculiare e dettagliato dell’inquadratura. Una offerta fotografica che non lascia al caso alcun fascio di luce, virato appositamente per sollecitare una reazione emotiva. Ricorda il lavoro egregio della scuola fotografica coreana, già ben visibile in serie quali Piccole donne o in appassionanti polizieschi dark come The policeman’s lineage.
Il solo montaggio della sequenza d’inizio, poi, è capace di farci appoggiare il telefono a un metro di distanza dalla nostra mano. È una introduzione necessaria a portarci nel mondo deviato in cui è precipitata Lee Na-mi, dove la verità non è più vera.
Tensione e tortura nel thriller Netflix Unlocked
Dettaglio dopo dettaglio, si avverte il turbamento. Una imprevista morsa di tensione.
In Unlocked l’antagonista, un killer dal cervello brillante, non si cela e non c’è smascheramento, se non parziale. Piuttosto viviamo la tagliente disumanità, efferata e priva di alcuna pietà, con cui costruisce una gabbia di cristallo attorno alle sue vittime. È altrettanto chiaro in principio come il suo rivale sia un detective, qui nella doppia veste di famigliare.
I crimini si svolgono in un piano virtuale, digitale, lasciando un turbamento reale, per quanto prossima si avverta la possibilità che questo possa accadere a chiunque. Il nostro volto, le nostre informazioni, viaggiano nel virtuale pregno di buchi neri in cui si perde il controllo. Nel momento in cui a Mi-na, inconsapevole, viene rubata l’identità, quella minaccia digitale inconsistente invade il mondo reale e si fa tangibile e pericolosa. Ma a quel punto è troppo tardi.
Godibile e appassionante, Unlocked sfodera una eccellente ultima mezz’ora di film, capace di far scivolare le due ore senza risultare scontato e con un piglio mordente. Nello spannung finale la ragazza si trova a dover fronteggiare il nemico senza sapere di averlo alle calcagna. La fotografia s’inasprisce, i volti si fanno più bui, tranne nella stanza in cui si cammina tra la vita e la morte, dove le luci accese non ricordano che un obitorio. Siamo in una prigione, ma avrebbe dovuto essere un rifugio; si voleva salvare e invece si è spinti alla morte.
Pregiato era il materiale di partenza con cui Kim Tae Joon ha lavorato; perfido lo sguardo di Yim Si-wan (un ex idol prestato al cinema solo in anni recenti!); si trattiene il respiro e si pensa immediatamente a come tutelarsi da quella dissennatezza digitale. È così che il turbamento diviene quasi tortura.