In programma, nella sezione Panorama, alla 73esima edizione della Berlinale, Silver Haze porta la firma di una delle cineaste più interessanti della sua generazione. Olandese, classe 1982, Sacha Polak presenta un’altra opera di grande spessore, intensa e poetica. E torna a dirigere, per la seconda volta, la bravissima Vicky Knight, attrice non prefessionista, ma decisamente dotata di quel qualcosa in più che le fa bucare lo schermo.
La storia prende, appunto, il via da una serie di eventi realmente accaduti alla Knight, messi insieme e raccontati anche attraverso momenti di improvvisazione. Il risultato possiede una verità, una delicatezza e un ardore, a dir poco, incancellabili.
Silver Haze | La trama
La ventitreenne Franky (Knight) porta i segni dell’incendio in cui stava quasi per perdere la vita da bambina. Quindici anni dopo, lavora come infermiera nello stesso ospedale in cui è stata salvata. Tra gli impegni in reparto e il prendersi cura della madre – che spesso se ne approfitta – la giovane donna porta avanti anche una sua personale missione.
I responsabili della tragedia, in cui Franky ha perso un amico e buona parte della sua serenità, non sono mai stati trovati. Sebbene ci fossero, all’epoca, dei sospettati, nessuna accusa, nè condanna, furono mai formalmente formulate. L’incontro con Florence (Esmé Creed-Miles), dolce, ma instabile, le mostra un’altra via da percorrere.
Potresti essere capace di perdonare.
Una via disseminata di amore, di gesti d’affetto e della possibilità di perdonare. Pian piano, Franky si stacca dalla sua famiglia disfunzionale, per andare a vivere con quella di Florence. Anche lì, la situazione non è esattamente rose e fiori, ma c’è un potenziale umano imprescindibile.
I dettagli che creano la poesia
Dita che maneggiano il tabacco, tatuaggi dal significato enigmatico, maschere a gas durante un amplesso e un “ti amo” gettato un po’ lì. Sono i dettagli a creare la poesia. La narrazione ne è costellata, come un firmamento, dentro il quale i personaggi esistono.
Cr: Viking Film
Silver Haze racconta uno spaccato di vita difficile, dove il passato ha un ruolo determinante. Le ferite, sulla pelle e nel cuore della protagonista, determinano ogni aspetto della sua esistenza. Dagli incontri al modo di relazionarsi, diffidente, superficiale, vendicativo.
Tutti compiono errori.
Il primo a esserne destinatario è il padre, ritenuto insensibile e incapace di prendersi cura dei propri cari. L’abbandono causa degli strappi e dei buchi, che rischiano di ingoiare le anime di chi li subisce. Come Franky, spinta dalla rabbia e dall’odio nei confronti dell’uomo che avrebbe invece dovuto proteggerla, amarla e tenerla stretta sino alla fine dei suoi giorni.
La forza dei sentimenti
Sentimenti potenti e, al tempo stesso, laceranti, dai quali si viene condizionati e di cui non ci si libera mai, forse, completamente. Franky convive con un dolore costante, nonostante trovi sempre il modo di trattare con tenerezza, comprensione e riguardo i suoi pazienti.
Anche con la sorella Leah (Charlotte Knight) mostra quel lato materno di cui soffre la mancanza, non ritrovandolo, invece, in colei che ha dato loro i natali. Franky e Leah hanno un rapporto sincero, non privo di incomprensioni e litigi, ma caratterizzato da qualcosa che somiglia molto all’amore.
E proprio l’amore diventa una sorta di fil rougea livello narrativo, esplorato da punti di vista diversi. All’interno delle famiglie, che siano o meno legate dal sangue; tra due esseri umani che scelgono di stare insieme e trascorrere momenti fondanti e indimenticabili; o, semplicemente, nei confronti della vita.