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‘Judgement’ di Park Chan-wook, un cortometraggio d’esordio del regista di ‘Decision to leave’

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Judgement di Park Chan-wook è uno dei primi lavori del regista coreano, da lui scritto e diretto. Un cortometraggio thriller ambientato claustrofobicamente tutto nella stessa fatiscente stanza di un obitorio.

Judgement precede di un solo anno Joint Security Area ed è un esercizio di stile e di scrittura del regista che da sempre lavora sul disincanto del pregiudizio umano, sia intenzionale o meno, sui rapporti personali e sulla vicinanza.

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Judgement, la trama

Un becchino mezzo alcolizzato riceve una coppia di genitori per il riconoscimento di un cadavere. Ma nel mostrare loro la ragazza defunta, sostiene a sua volta di esserne il padre. Entrambe le presunte figlie hanno un passato di fuga da casa, per cui è da molto tempo che i rispettivi genitori non le vedono; la qual cosa rende più difficile determinare l’effettiva identità della morta. A complicare la situazione, un presuntuoso giornalista che mette zizzania e dubbi tra i tre.

A un passo dalla riconciliazione, compare una figlia vera e un’inevitabile ulteriore disgrazia.

L’atmosfera e i punti macchina

Non c’è dubbio sul fatto che prima di entrare nel vivo della storia, Park Chan-wook abbia voluto soffermarsi a descrivere il suo protagonista, inquieto necroforo dal passato sofferto. E lo fa non con le parole, ma con azioni distorte, punti macchina fastidiosamente prossimi, dettagli desolati di storture e malfunzionamenti. Il rubinetto che perde, la lattina di birra, il corpo deforme.

Nel narrare in questi toni, assembla nello stile visivo: cinema francese dalla Nouvelle Vague, note di Kubrick alienato, la Hollywood classica del bianco e nero nettamente campito, così come i punti macchina ribassati di Orson Welles; e non ultimo, il cinema documentario d’archivio che cita il montaggio delle attrazioni di Ėjzenštejn. Una overdose, in poco meno di mezz’ora, che non sarebbe possibile se dietro la macchina da presa non ci fosse la mente che ha poi dato vita alla Trilogia della Vendetta (Mr. Vendetta, Lady Vendetta, Oldboy) o al più recente Decision to leave. Qui si diverte, si esercita e omaggia ciò su cui si è formato. C’è quasi troppa accozzaglia perché sia altrimenti. Il suo stile si è evoluto in una fluidità ellittica consapevole e ricercata, ben lontana dai singhiozzi del suo cortometraggio di inizio.

L’ossessione della ragione

In Judgement di Park Chan-wook, si rimprovera ai personaggi di ostinarsi a voler trovare il vincitore della paternità di quella donna. Anche se questo significa avere una figlia morta e ammettere di essere stato un pessimo genitore.

Why would you all wish this dead girl to be your daughter?

Una situazione assurda che prende vita in questo ambiente umido, decadente, sporco e opprimente. L’avvicendarsi delle motivazioni ci ricorda la difesa dei giurati del film di Sydney Lumet (La parola ai giurati, 1957). Quel che colpisce di più però è il ragionamento sul punto di vista, l’angolo da cui si guarda il mondo che il regista propone: quel fraintendimento che ritorna ossessivo, declinato da un film all’altro in storie ed emotività diverse. Ma sempre presente.

Il male che non è male, la vendetta che è giustizia, il nemico che è amico, la moglie che non è proprio quel che ci si aspetta.

Guardato a trent’anni di distanza, Judgement di Park Chan-wook pare una pellicola impolverata uscita da uno scantinato segreto, che rivela un giovane regista con storie tormentate da raccontare. Ebbene, da quello scantinato, si è arrivati alla Palma d’Oro.

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