Marco Azrael
Domenica pomeriggio,orientativamente poco dopo l’ora di pranzo. Colonna sonora aghia sophia dei CCCP – fedeli alla linea che fastidiosamente gracchia dalle malmesse casse del pc.
Gira che ti rigira è venuto il tempo di cavarmi fuori un nuovo articolo e, come succede sempre quando si hanno troppe idee, non so minimamente da dove cominciare. Mi frulla nella testa l’idea che l’overdose di argomenti non sia altro che una scusa messa alla bell’e meglio dal subconscio per far da alibi alla mia pigrizia. Essere consci dei propri difetti è il primo passo per superarli recita un antico adagio orientale, o perlomeno credo che sia un detto orientale (se non lo fosse, dovrebbe quantomeno esserlo!). In questi casi la cosa migliore da fare, per non dire l’unica, è reagire mettendosi immediatamente a lavorare sulla cosa più vicina a portata di mano. Dopo un rapido esame degli argomenti che mi ero ripromesso di trattare, ne trovo uno papabile, scritto sulla mia agendina proprio per la data di oggi e con lui trovo anche la spiegazione a tutti gli attacchi di pigrizia e alle scuse accampate dal mio io più recondito.
In effetti l’evento del giorno, ovvero l’annuale edizione di Esoterica non è in cima alla lista delle mie preferenze, ma è l’unica cosa a disposizione nell’immediato ed essendo, come al solito, mostruosamente in ritardo con la consegna dei pezzi, mi metto di fronte all’inevitabile scelta tra vincere le mie reticenze, o beccarmi una lavata di capo per aver trascurato gli impegni presi. Essendo una persona estremamente insofferente ai rimproveri, come tutti gli egocentrici, rompo gli indugi e opto per la prima, trascino il fondoschiena congestionato dal pranzo domenicale alla macchina e vado a lavorare. Manca la colonna sonora in auto a causa dell’umore non proprio esaltato, mi limito quindi a sintonizzarmi su Radio Onda Rossa, lasciando ad altri la fatica di scegliere per me. Tanto per come si prospetta la giornata è meglio che cominci a relativizzare l’importanza dei miei gusti, almeno per oggi.
Arrivo al luogo dove si svolge Esoterica: quest’anno è il Black Out rock Club e ciò non migliora certo il mio entusiasmo. Chi mi conosce sa, infatti, che non amo particolarmente quel luogo per il fatto che mal si concilia con le mie attitudini snob e settarie. In effetti, a parte tre o quattro concerti, di cui uno in cui suonavo col mio gruppo e un altro paio di occasioni nelle quali sono stato trascinato a forza da amici con l’ormone impazzito, ho sempre evitato di buttare il mio tempo e il mio denaro in quel locale, che considero una versione alternativa del Piper per fighetti costosamente vestiti di nero che non hanno mai capito un cazzo del punk e/o affini. D’altro canto l’ambiente che si respira alla convention è in tono. Tra tamburi sciamanici agitati da improbabili stregoni forniti di corna di cervo alla moda del dio Cernummus, bancarelle che vendono campane tibetane e kit per fatture che vanno dall’amore alla morte, sembra di essere catapultati in una “Diagon Alley de noantri”, molto più casereccia della versione originale. In un angolo, sotto al cartello “offerta libera”, campeggia la finestra istoriata con vetri colorati raffigurante Boris Karloff nei panni del Frankenstein della Universal che una volta decorava l’Halloween, un vecchio pub romano di San Lorenzo chiuso da un paio d’anni.
Il target del pubblico, manco a dirlo, è prevalentemente composto da fan di Marylin Manson, adolescenti o tardo adolescenti over 30, categoria quest’ultima alla quale potrei appartenere anche io se non fosse che, in primis, non ho mai comprato un kit per fatturare a morte un’eventuale ex fidanzata colpevole di avermi tradito col netturbino, secondo, non sono mai stato un fan di Marylin Manson, avendogli sempre preferito di gran lunga i Christian Death, ovvero gli originali che lui scopiazza.
Ovviamente leggendo il quadro della situazione potrebbe venire da chiedersi il motivo per cui abbia inserito Esoterica tra gli eventi che valeva la pena di visitare. Non per l’evento in sé, questo mi pare chiaro, ma perché, per usare le parole di Riccardo Cecchini, curatore della manifestazione nonché proprietario di una libreria di settore che suscita tutta la mia invidia di commerciante, “Esoterica, altro non è che un immenso raccordo”. In effetti il posto è un porto di mare che cattura una media di 5000 visitatori, c’è di tutto, passa di tutto: dal mistico sufista al raeliano che vede in Dio l’altro volto degli alieni, dagli omini verdi con l’aureola ai metallari satanisti, dai massoni (o sedicenti tali) fino all’esoterista vecchio stampo, dai modi un po’ troppo elitari anche per me. Insomma nella variegata umanità che gira intorno a me in quel luogo forse c’è qualcuno che merita la mia attenzione e la fatica di scrivere due righe.
Il pomeriggio passa in fretta, vado in giro, faccio domande, raccolgo informazioni, ma alla fine nulla di veramente interessante. L’unica cosa di un certo rilievo è una bella conferenza di Francesco Dimitri che introduce al suo ultimo libro sul Necronomicon, o meglio sui Necronomicon, visto che scopro che durante il corso degli ultimi due secoli ne sono stati scritti almeno una dozzina. L’incontro è indubbiamente interessante, Dimitri è colto, eloquente, autorevole. Ma per mia sfortuna si tratta di una videoconferenza, l’autore in realtà parla da un computer a Londra, il che fa sfumare la possibilità di un’intervista.
Mi sono così trovato a riflettere amaramente sulla giornata andata perduta, fumando al freddo dei giardini sul retro, visto che nel locale vige il più ferreo salutismo, altro punto in meno al Black Out nella mia personalissima lista di posti da frequentare …. O evitare.
Tra il crepuscolo che scendeva e i neon esterni che cominciavano ad accendersi, in mezzo ai banchi esterni di libri usati, di cui alcuni invero molto rari, scorgo però una figura familiare e stropiccio gli occhi di fronte al più classico colpo di fortuna. Parafrasando una celebre battuta tratta da Brian di Nazareth dei Monty Python, non posso fare a meno di dire a me stesso “certo che hai più culo che anima”. Con la sua figura robusta e l’aria aristocratica avanzava verso di me, sorridente, Marco Azrael, voce e leader degli XP8, gruppo EBM assolutamente apprezzabile, che in Italia ha suonato con band del calibro degli V. N. V. e metà dell’anima che insieme a Vant dà vita al Pagan Pride, manifestazione ormai leggendaria tra i neopagani e gli esoteristi della capitale e oltre (sicuramente una tra le più serie). In un simile frangente, non è di poco conto il fatto che Azrael sia, se non proprio un fraterno amico, sicuramente un mio buon conoscente, e anche se negli ultimi anni ci siamo persi un po’ di vista i nostri rapporti sono sempre stati molto cordiali e di reciproca stima. A vederlo non sembra poi molto cambiato dagli anni della nostra frequentazione, magari va detto a suo merito di aver sostituito un po’ della ciccia – che caratterizzava, ahimè, entrambi – con una più salutare massa muscolare. Ma a parte questo e il numero di tatuaggi, aumentati in progressione geometrica con il passare del tempo direi che è lo stesso di sempre. Il che, devo ammetterlo, è causa di non poca invidia.
All’epoca, tardi anni ‘90, facevamo parte delle prime cyber community, così diverse da quelle attuali nell’epoca dei social network popolati perlopiù da ormonauti e semianalfabeti informatici a cui basta saper manovrare la tastiera quel tanto che serve per tentare qualche approccio su Facebook. Intendiamoci, non è che allora il sesso fosse un tabù, e noi, internauti pionieri, casti idealisti votati alla conoscenza platonica: sesso se ne faceva tanto e volentieri se c’era l’occasione, ma non era il fine, in quanto il modo di rapportarsi alla rete era radicalmente diverso. Un’opportunità per scoprire le potenzialità inespresse, un mezzo, un luogo in cui comunità anarcoidi di apolidi senza nome si incontravano e si mescolavano, libere dai legami dello stato presente di cose; un posto in cui l’anonimato non era uno scudo, ma un modo per ottenere una seconda possibilità, e si era legati al proprio avatar come ad una seconda pelle. Condivisione, creatività, sperimentazione senza vincoli o legacci di sorta legati alla routine quotidiana in un qualcosa di completamente nuovo ed estremo. Ognuno era un lamer, o lamerotto in romanesco, uno che provava a cimentarsi con la rete, da autodidatta o quasi: ogni tanto “bucavi” qualche sito o qualcuno che ti stava particolarmente antipatico e gli facevi cadere la connessione di continuo a furia di overpingarlo; ogni tanto facevi qualche cazzata e ti friggevi l’hard disk da solo….Ma lasciando da parte certi piccoli inconvenienti, restava costante il desiderio di mettersi in comune, scegliendo liberamente poi se condividere il proprio tempo e le proprie idee anche nella realtà fisica con le persone o i gruppi verso i quali si provava un’affinità elettiva, incontrando gente con cui normalmente non avresti mai avuto a che fare .
Azrael ed io appartenevamo ad una di queste comunità che scorrazzavano senza soluzione di continuità dai siti web ai canali irc. Si frequentavano gli stessi locali legati alla musica o alla cultura B.D.S.M. e, di tanto in tanto, ci si incontrava per qualche serata psichedelica. Le serate a casa di Azrael erano caratterizzate dal fatto che quasi sempre si finiva tutti a giocare a fight club suo nel giardino. Di quelle cene, difatti, ho memoria di una buona serie di lividi di ogni dimensione e di tutta una gamma di tonalità dal violaceo al nero, ed è per puro caso che non ho aggiunto alla collezione anche qualche cicatrice. Parliamo però ormai di secoli fa, un’altra era in cui ero più giovane e più stupido, o forse solo più libero.
Tornando a noi, mi sentivo abbastanza imbarazzato nel chiedere un’intervista ad un amico con cui anni fa ero uso prendermi a pugni, ma in quel mercatone del soprannaturale una delle menti pulsanti del Pagan Pride era la cosa più seria, se non l’unica, di cui valesse la pena di scrivere. Quindi, confidando nella mia faccia di bronzo, mi avvicino e dopo i convenevoli di rito vado subito al dunque. Conosco bene Marco, so che la cosa lo ha divertito (e nemmeno poco), però con un modo tipicamente suo, che lascia intuire di proposito i propri ascendenti nobiliari senza mai parlarne; sembra prendere la cosa molto sul serio, mi invita addirittura ad un tavolo in disparte per procedere all’intervista senza essere disturbati: “Quando si scherza tocca da esse seri”, avrebbe detto il Marchese del Grillo e, in effetti, dietro i modi velatamente teatrali, Azrael è una persona molto seria con l’abitudine di nascondere il grande impegno che mette nei suoi progetti, quasi volesse dar a intendere che non gli costano sforzo. Eppure, durante una scorsa edizione del Pagan Pride è riuscito a condurre con piglio accademico un seminario sulla natura di Qelippot e Sephiroth nella kabala, riuscendo – ed è questo il dato sorprendente – a risultare perfettamente comprensibile nella sua esposizione anche con un pubblico di perfetti ignoranti dell’argomento, incluso il sottoscritto.
Certe volte devo faticare moltissimo per rivedere in lui il ragazzotto parafascista di un’era addietro. È la metafora del vero esoterista : in continuo mutamento, mutato dagli eventi circostanti, con il fine di migliorare se stesso. D’altronde è un momento di grazia, come lui stesso ammette “si sta vivendo un revival delle controculture” afferma mentre mi corregge, con paternalistica fermezza, quando uso il termine “culture altre”. Troppo accademico, ingessato, inadeguato alle realtà alternative che dall’ultimo scorcio del XX° secolo ad oggi sono tornate prepotentemente sulla scena, mettendo sempre e ferocemente in dubbio i dogmi della cultura egemone, sottolinea più volte il plurale nel definire le culture alle quali il Pagan Pride si apre: “Un’esperienza trasversale che incoraggia il sincretismo, che trova nelle diversità la sua ricchezza, il suo essere rivoluzionaria”
E Marco stesso non manca di definirsi un rivoluzionario nel delineare gli scopi del progetto del quale è parte, il fine ultimo delle sue attività: favorire quella presa di coscienza collettiva che porti al cambiamento. Quale cambiamento? Chiamalo kalì-yuga, chiamalo Ragnarock, chiamalo grande computo o apocalisse, la morale è sempre la stessa: la fine di un mondo. O meglio, di questo mondo, il che non significa affatto di parlare della fine DEL mondo in termini assoluti. Il discorso ovviamente può risultare banale per chiunque abbia un minimo di infarinatura sulle culture alternative, dalla galassia del New age, ai Wiccan: il problema è che la sovraesposizione di millenaristi apocalittici in ogni speak corner a disposizione ha omogeneizzato l’argomento, riducendolo a puro folklore catastrofista ignorando, poi, i contenuti e le analogie interpretative che stanno alla base di pensieri ben più profondi. Marco questo lo sa bene; e quel che conta è che sa che lo so anche io, quindi non si fa pregare con altre domande e, senza bisogno di domande specifiche, va ad esporre una spiegazione che 10 anni fa mai mi sarei aspettato da lui: il problema è la società del libero ed incontrollato consumo! La società di un capitale impazzito che tende esclusivamente al suo allargamento, un capitale che ingoia voracemente ogni diversità, stigmatizzando quelle che non riesce ad uniformare, un capitale che ha dimenticato che il reale benessere dipende non dalla quantità di oggetti che possediamo, ma dalla qualità del rapporto con l’ambiente circostante.
“Cazzo Azrael! Mi sei diventato ecologista?” Mi rendo conto che l’intempestiva interruzione di un discorso così alto è da classificarsi solo come pura maleducazione … ma mettevi nei miei panni: ascoltare queste parole da uno che passava il sabato sera in armature di latex, cercando la rissa col curioso di turno che si faceva scappare il solito commento un po’ “stronzo” passando davanti al locale in cui stanziavamo, è per me un piccolo shock! “E perché no?” sorride affabilmente, sorvolando sulla mia cafonaggine.
Ma c’è dell’altro, la rete di relazioni non tocca solo la natura, le connessioni sono tra uomo e uomo, arte, musica, spiritualità e in perfetta discrepanza con il luogo comune che vuole vedere nei neopagani dei frikkettoni barbuti in tuniche di lino, tutti intenti a scimmiottare druidi o antichi sciamani coperti di pelli: un anello importante di questa catena di interdipendenze è la tecnologia. Quest’ultimo punto è confermato dal sito stesso del Pagan Pride, un vero network per realtà ed esperienze di singoli, nonché dalla frequenza con cui Marco armeggia con il suo I-Phone. Quasi borbotta riponendolo: “Internet è un grosso danno … ma anche un grosso vantaggio”. Il vero problema è la massificazione che la rete produce al giorno d’oggi. Chiunque si sia mai fatto una passeggiata dentro il Pagan Pride avrà certo notato l’enorme esposizione di diversità, messe lì, volutamente, senza nessuna soluzione di continuità; i sincretismi poi vengono fuori solo per coloro che si fermano un attimo con la voglia e la curiosità di conoscere e confrontare.
Ed è proprio alla massificazione che Azrael dedica la sua critica più aspra, nella duplice veste di musicista/esoterista. Per lui infatti l’antico legame tra musica ed esoterismo si è sciolto proprio per la banalizzazione dell’offerta: “la musica non fa più porre domande” – ammette triste, esattamente come quei culti alla moda, preconfezionati da guru improvvisati, con il loro pacchetto di regole e riti che altro non fanno che ricopiare i dogmi di questa realtà e sovrapporli a piani di sviluppo che si vorrebbero differenti. Ci si veste in un modo falsamente eccentrico, in uno stile disegnato da altri, si ripetono le solite cantilene “magiche” senza conoscerne il vero significato e così ci si illude di battere sentieri e soluzioni nuove, senza mettere o mettersi in discussione, al sicuro nella casa delle proprie verità, che si vogliono assolute e con la pancia ben piena. La realtà è l’opposto quasi iconoclasta di questo stato di cose: “sono la necessità e la voglia di uscire dalla massa che fanno della spiritualità senziente un atto rivoluzionario”.
Non si scoraggia perché per lui il momento è favorevole, questa “crisi” di cui tutti parlano è strutturale di sistema, può essere una grande opportunità per il cambiamento, “basta solo avere il coraggio di comunicare le proprie esperienze”. Azrael e Vant, lavorando al Pagan Pride, si pongono a disposizione questo obiettivo. Di più, direi che con le loro differenze ne costituiscono il simbolo vivente. Azrael, proiettato nel futuro, cita nel suo quotidiano Baricco e Steve Jobs. Vant , legato alla tradizione, allo studio dei vecchi culti, emana tutto il fascino del De Martino che parla di antichi saperi. Intervistarli insieme sarebbe un’esperienza interessante che mi riprometto di fare.
La Serata volge al termine, ci abbandoniamo un po’ ai ricordi uscendo dalla dimensione dell’intervista, mentre comincia a fare decisamente freddo. Ci salutiamo, abbracci, impegni a non far passare altri 10 anni, scambi di numeri e progetti. Si parla addirittura di un libro sulla natura anarchica delle prime cyber comunità da scrivere a quattro mani. In fondo partorire progetti è uno degli aspetti più comuni nei rituali di commiato, così come è comune prassi il disattenderli sempre. Eppure la storia del libro mi intriga e continua a ronzarmi in testa come un’ipnotica litania celtica. Magari veramente non passeranno altri 10 anni per rivedersi di nuovo. Ci spero.
Esco nel parcheggio, ordinando già mentalmente il materiale per la stesura del pezzo, salgo in macchina, inserisco il pilota automatico e parto. La giornata è finita. Colonna sonora nell’autoradio: Pagan lovesong dei Virgin Prunes.