Il film irlandese The quiet girl, dopo aver vinto alla Berlinale, nella sezione Gran Prix on the Generation Kplus International Jury, e altri importanti premi internazionali, e dopo il grande successo in patria, ha partecipato anche all’Irish film Fest alla Casa del Cinema di Roma. È stato candidato all’Oscar 2023 come Miglior Film Internazionale. Ora, dopo un anno dall’uscita in sala, è inserito nella programmazione di Raiplay.
Ottimi i risultati per il regista Colm Bairéad, che esordisce nel cinema di finzione, e ne ha curato anche la sceneggiatura.
In questo racconto di formazione, delicato e intenso, il dolore è sapientemente contenuto; eppure oltremodo emozionante.
The Quiet girl. La trama
Cáit è una bambina di nove anni proveniente da una famiglia sovraffollata, disfunzionale e impoverita. Lottando silenziosamente a scuola e a casa, ha imparato a nascondersi davanti agli occhi di coloro che la circondano.
Con l’arrivo dell’estate e l’avvicinarsi del termine della gravidanza della madre, i genitori decidono di mandare Cáit a vivere da parenti lontani…I Kinsella, una coppia di mezza età che Cáit non ha mai incontrato prima, mostrano verso di lei una grande premura e attenzione.
Giorno dopo giorno, Cáit fiorisce e non si sente più invisibile agli occhi degli altri….(sintesi della trama ufficiale del film, Officine UBU).
Un’immagine del film: foto ufficiale
The quiet girl Silenzi gesti e parole
Siamo agli inizi degli anni Ottanta, nella contea irlandese di Waterfort. Se visto in lingua originale, per tutta la durata di The quit girl, si avverte una lingua estranea, quella gaelica.
Si parla poco, a dire il vero. Parla molto poco Cáit (Catherine Clinch), che porta tutti i segni del disamore, la ferita dei non amati, nel tentativo ostinato di esorcizzarla. Parla pochissimo Seán (Andrew Bennet), il marito di Eibhlín (Carrie Crowley), che all’inizio non accoglie la bambina, chiuso anche lui nel silenzio e nel suo inesprimibile dolore da tenere a bada.
Eibhlín, invece, dà alle sue frasi un non so che di nenia antica, come se le parole venissero da tanto lontano nel tempo e fossero quelle rassicuranti della tradizione. Un tono tranquillo, il suo, nel maternage che da subito caratterizza ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo. Accompagnati dal cibo preparato e offerto amorevolmente. Tesoro, amore, piccola mia: così si rivolge a Cáit: “Se tu fossi mia figlia non ti lascerei mai ad estranei”.
In questa casa non ci sono segreti
E dove non ci sono segreti
Non c’è vergogna
La narrazione di The quiet girl sembra rinnovare la malia di un mito perenne. Pettinare i lunghi capelli della bambina, andare insieme a raccogliere l’acqua nel pozzo, sbucciare le cipolle: ogni azione viene compiuta lentamente, quasi a non voler perdere un attimo di consapevolezza, in questo nuovo rapporto a due che ricalca la maternità di sempre.
Anche il tempo delle inquadrature è lento, ma misurato. A volte si soffermano sui dettagli (il secchio che dondola ad assecondare la camminata della madre e della figlia in prestito), altre volte è l’insieme che accoglie al centro il personaggio, come la corsa della bambina nella nostra direzione. Che rallenta, perché si assapori il piacere del gioco, la sfida proposta dall’uomo alla piccola. Finalmente un’intesa che sta per nascere, la promessa dell’affiatamento che verrà.
Una scena del film: assaporare l’acqua dal pozzo. Foto ufficiale
Le immagini, con la fotografia eloquente di Kate McCullough, impreziosiscono lo schermo dando significato ai dialoghi essenziali, dicendo ciò che le parole non dicono, avvalorando un silenzio che è sempre e solo di attesa. Di ascolto.
La giusta distanza nella resa dei personaggi e delle relazioni
Non ci sono primi piani in questo racconto, bensì le giuste distanze che inseriscono i personaggi nell’ambiente rurale, quasi a voler di volta in volta farceli sentire nella loro quotidiana esperienza, nelle loro nuove o rinnovate relazioni: quella dei genitori provvisori verso l’ospite, amata come una figlia, quelle della bambina che impara a conoscere l’affetto, negato dalla famiglia vera. Quella tra Eibhlín e Seán, colti una volta sola, ma basta, in un momento di effusioni visto con gli occhi di Cáit.
La composizione accuratissima dello sfondo e della scena regala alla narrazione un che di fiaba. D’altra parte, ce ne sono tutti gli elementi. L’allontanamento della bambina, le prove da superare, come quella di identificarsi in un ruolo diverso, se pure in un ambiente migliore. Gli antagonisti (la famiglia d’origine e lo stesso Seán prima del suo coinvolgimento). L’aiutante nella figura di Eibhlín, una fata amorevole e comprensiva, inserita nelle scene più luminose del film. Sul premio finale, presente o meno, non possiamo e non vogliamo dire.
Il racconto si presta a svolte in direzioni diverse, ma la conclusione, se non si è pianto fino ad allora, non può non commuovere chiunque.
Dal libro di Claire Keegan: ‘Foster’
Colm Bairéad ha detto di essere rimasto molto colpito dalla lettura di Foster di Claire Keegan, da pensare immediatamente di farne un film. Purtroppo non abbiamo la traduzione italiana di questo romanzo.
Supponiamo però che la cura degli ambienti sia la stessa della Keegan, autrice di storie che portano titoli semplici, come Piccole cose da nulla, Nei campi azzurri o Dove l’acqua è più profonda. E in The quiet girl, l’acqua è altamente simbolica. Trasparente oppure opaca. Quella del pozzo, da bere ma profonda, o quella dello stagno. A suggerire purezza o pericolo, entrambi elementi naturali ed esistenziali.
Claire Keegan racconta di persone comuni, spesso inserite nella campagna dell’Irlanda, di vite che potrebbero essere le nostre (parafrasando il bellissimo romanzo di Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia). Storie che sono incantevolmente lontane da noi, ma non poi così tanto. Per come i passaggi fondamentali dell’esistenza si somigliano e per come tutte le vite, ma proprio tutte, meritano un romanzo.
Emozioni, sofferenza e dolcezza
Di Claire Keegan, Irish Times sottolinea la sua straordinaria capacità di penetrare nelle vulnerabili e misteriose profondità dell’animo umano. Potremmo dire la stessa cosa del film realizzato da Colm Bairéad.
Se poi si tratta di rendere i pensieri di una bambina di nove anni, attraverso una ragazzina di dodici, sempre in scena dall’inizio alla fine, anche il film può considerarsi straordinario.
Le emozioni delle tre anime che si confrontano e cercano insieme di alleviare la loro solitudine, sono sottolineate dalla colonna sonora di Stephen Rennicks. Un sottofondo, pacato come tutto il tono del film, a contenere la sofferenza, e addolcirla.