La collina della libertà di Hong Sang-soo (Hill of freedom) è una commedia leggera del 2014, presentata a Venezia in quell’anno, che ben si inscrive nella cinematografia lieve di Hong Sang-soo.
Il film sarebbe più apprezzabile in lingua originale, dato che i protagonisti, coreani e giapponesi, usano l’inglese come lingua veicolare creando situazioni ironiche negli intoppi della traduzione. Purtroppo la versione sottotitolata perde un po’ quel valore, su cui di fatto il regista aveva consapevolmente giocato.
La collina della libertà, la trama
Mori (Ryô Kase) è giapponese e ha lavorato a lungo in Corea del Sud. Durante quella permanenza si è innamorato di Kwon (Seo Young-hwa), e adesso è tornato a cercarla per chiederle di seguirlo. Purtroppo Kwon è partita, e Mori rimane nei paraggi della sua casa per giorni e giorni in attesa che si faccia viva.
Nel frattempo decide di scriverle diverse lettere per raccontarle delle sue giornate strane, passate a bighellonare, a dormire, a leggere libri, e contemporaneamente a riflettere sulla sua identità che in questa pausa forzata ha dovuto rimettere in discussione. Tra gli incontri di questo periodo, Mori conosce anche Yeong-sun (Moon So-ri), una ragazza con cui flirta malgrado la sua testa continui a pensare a Won.
Non importa se la trovo o no. Mi basta essere qui ed averla cercata.
Un film pacato
Un film di Hong Sang-soo è da sempre una esperienza che divide. C’è chi lo ama e lo abbraccia nella semplicità e nella imperfezione della sua narrativa, c’è chi lo trova quasi amatoriale.
Questo film è un prodotto breve, di poco più di un’ora, che si apprezza come un racconto delicato.
C’è un dettaglio della sceneggiatura che sostiene tutta l’opera, un pretesto molto semplice: la protagonista riceve un plico di lettere che le cade di mano, e nel raccoglierle le mescola. Quando le legge, la cronologia degli eventi si confonde dando al film un procedere ellittico. Le ellissi sono continue non solo sugli accadimenti, ma anche nelle chiacchierate, leggere, a tratti sconclusionate, non necessariamente connesse tra loro.
Hong passa dalla futilità ai discorsi filosofici. In fondo, serve tutto nella vita, per sostenere le emozioni: discorsi leggeri e pensieri profondi. E Mori, un Ryo Kase esageratamente informale, si aggrappa benissimo a questo tramestio di idee, accompagnato da sigarette pesanti e lo stesso identico libro sul tempo della vita che ci mette settimane a terminare.
Il sottotesto culturale
Ne La collina della libertà, senza troppo celebrare o alzare la voce, troviamo un incontro gentile tra due culture divise storicamente, ma che qui si raccontano, apprezzandosi. La rivalità tra Corea e Giappone viene messa da parte tra queste anime buone. Il rispetto e la stima delle persone si guadagnano con gesti semplici. I giudizi, le prime impressioni, riveduti con umiltà. Ma non si tratta mai di un alto discorso filosofico, bensì di una chiacchiera radicata al quotidiano e alle imperfezioni della vita vera.
Come si diceva, potrebbe risultare noioso assistere alla routine dei personaggi; potrebbe risultare vano non avere alcuna suspense da cui sentirsi stimolati. Eppure, un cinema che rallenta, senza però esagerare nella durata, è una visione utile e ristorativa. Un plauso delicato a una dialettica quasi persa, inghiottita dalla computer grafica.