Aldo, Giovanni e Giacomo: da Tre Uomini e una Gamba al Giorno Più Bello
Sono il trio comico più longevo della comicità italiana: dal 1992 imperversano tra tv, teatro e cinema, e adesso riprendono le loro caratteristiche migliori con Il Grande Giorno, in sala
Potrà suonare strano a chi li ha amati e seguiti negli ultimi film al cinema, o per chi ancora ricorda i loro caratteri e personaggi creati per la Gialappa’s; eppure Aldo, Giovanni e Giacomo nascono a teatro nei primi anni Novanta, con spettacoli come Lampi d’Estate, Ritorno al Gerundio, o Aria di Tempesta. Messe in scena che affinano la loro alchimia e mettono insieme umori e suggestioni di tre grandi autori/attori.
Certo, il successo arriva con la tv: non tanto nel 1992, quando fanno capolino nel TG Delle Vacanze o in Su La Testa, ma appunto con la collaborazione con la Gialappa’s Band per Mai Dire Gol, dove in un biennio entrano in tutte le case e destrutturano la comicità in tv.
Perché il clamore che si leva intorno a loro (e Tafazzi, i Bulgari, Johnny Glamour, Nico, Vomitino con tutti gli altri) non nasce da risate strappate con improvvisazioni o battute estemporanee: Aldo Baglio (palermitano del 1958), Giovanni Storti (classe 1957, Milano) e Giacomo Poretti (1956, anche lui milanese doc) con la sua moglie dell’epoca Marina Massironi, prendono l’uomo qualunque e ne accentuano i vizi dimenticando ogni pregio.
TRE UOMINI E UN FILM (DI SUCCESSO)
L’hinterland ambrosiano ovviamente è il luogo privilegiato da cui nascono gli abbrutimenti dei loro caratteri: ma vestiti con la loro vulcanica esuberanza e sulfurea ironia, sottile e pungente, esondano subito dagli stretti confini geografici e si impongono per la loro originalità appuntita e mai banale.
Al cinema arrivano nel 1997, forti di una popolarità incredibile, e debuttano con l’aiuto della regia di Massimo Venier, anche lui collaboratore della Gialappa’s e quindi perfettamente a suo agio con quel tono surreale ed esilarante. Venier si dimostra da subito fondamentale -e Il Grande Giorno lo dimostra ancora di più- per tenere insieme tutto e fermi alcuni paletti, evitando al fiume in piena che sono i tre di travolgere tutto
Tre Uomini e Un Gamba (disponibile su Netflix) partì in sordina ma arrivò lentamente, come un vero e proprio diesel, ai 40 miliardi di lire, conquistando anche una candidatura ai David di Donatello per il miglior regista esordiente, un Nastro d’Argento speciale ai tre, un Ciak d’Oro per la migliore attrice non protagonista -la Massironi- e un premio al Fort Lauderdale International Film festival come miglior commedia. Senza dire che da allora entra nel novero dei film must per la televisione generalista, programmato ciclicamente e con immutato favore.
Il passaggio dalla tv al grande schermo, in quegli anni Novanta che saturavano la televisione con i comici nei vari contenitori (si era in piena esplosione di programmi di comicità folle e surreale, iconoclasta e rinnovatrice), fu fatto con garbo e intelligenza: Tre Uomini e Una Gamba è un film lineare nella sua drammaturgia semplice. E riesce anche a non far pesare sulla sua struttura gli insert dei loro personaggi -che non potevano certo mancare per un favore commerciale- mostrandoli come stacchi onirici, addirittura dando un tocco di classe a quello che a tutti gli effetti era un road movie. Un’opera prima che non pagava il solito dazio degli emergenti, anzi si faceva notare per la sua parsimonia nell’uso degli ingredienti e mostrava il lato malinconico dei tre attori come l’altra faccia della medaglia della loro comicità desaturata e destrutturata.
Un successo prevedibilmente difficile da ripetere, per tanti motivi: non ultimo, il pubblico mainstream che aspetta il secondo film come la replica esatta del primo.
COSI’ E’ IL CINEMA?
Cosa che Aldo, Giovanni e Giacomo (AGG, acronimo di GAG) fanno puntualmente: provando però ad eseguire un film a tema ma modo loro. Così E’ La Vita (Netflix), 1998, incassa esattamente la metà del primo (si ferma a poco più di venti miliardi di lire): ma lo sforzo fatto per aumentare la dimensione cinematografica -con una trama e un soggetto ben delineati e finale a sorpresa- a discapito di quella televisiva -una serie di siparietti in verticale legati da una storia orizzontale- non convince né il pubblico né la critica, mettendo in luce come il film non riesca a soddisfare nessuna sua velleità.
Se allora tre è il numero perfetto, Chiedimi Se Sono Felice (2000) è uno dei maggiori incassi dell’annata 2000/2001, ed occupa attualmente l’undicesimo posto dei film di maggior incasso in Italia. Un successo che non si ferma al botteghino ma continua anche a vent’anni di distanza con un cult following che cresce di anno in anno. Ogni battuta del film è diventata parte dello slang quotidiano, ogni scena un meme da social: Chiedimi Se Sono Felice è forse (insieme a Il Grande Giorno che però si pone come il suo opposto comico) il picco della loro maturità artistica.
CHIEDIAMOGLI SE SONO FELICI
Storia solidissima, tempi perfetti, recitazione intrisa di realismo: sono tanti i fattori che contribuiscono a fare del loro terzo film un’opera perfetta, non ultimo la presenza di una vena romantica sofferta e dolente che sa come non mettere da parte la comicità spinta a mille. Mai una concessione al melò o al pecoreccio, ma una sceneggiatura precisa al millimetro e i quattro protagonisti che si mettono in gioco portando in scena i loro caratteri dimenticando i caratteristi.
Inoltre, Chiedimi Se Sono Felice (Netflix) ha un cuore cinefilo mai nascosto, inserendo addirittura squarci improvvisi e anarchici di metateatro come McGuffin (elemento del racconto che non ha influenza sulla trama portante con effetti, ma solo per come fa rapportare i personaggi in scena).
L’enormità che però riesce a produrre è la gestione definitiva del surrealismo da sempre anima del trio: l’impostazione del film è quella di un fluire di eventi quotidiani, accettando la straordinarietà di alcuni accadimenti. È in questo modo che si crea un mezzo di connessione potentissimo con lo spettatore, veicolato dalla risata.
È sicuro che la perfetta riuscita del film sia da attribuire alla coesione della sceneggiatura con il girato, e di Venier con i tre autori/attori, un senso della misura che porta alcune sequenze tra le più intense del cinema italiano degli anni Zero. Non c’è un gesto superfluo o una frase poco felice, i dialoghi e le situazioni sono dotati di una leggerezza miracolosa, anche grazie a movimenti di macchina complessi, carrelli, zoom, panoramiche, mentre le luci ritagliano lo spazio in maniera raffinata e seducente.
Una delle trovate più affascinanti dei primi due film del trio era un prologo dove impersonavano Al, John e Jack, tre mafiosi nella Brooklyn degli anni Sessanta. Tre personaggi incredibili, di una comicità insieme irresistibile e intelligentemente cinematografica: ripescati come protagonisti nel film successivo al successo di Chiedimi Se Sono Felice, e inseriti proprio nel titolo: La Leggenda di Al, John e Jack (disponibile su Disney Plus).
LA LEGGENDA DI ALDO, GIOVANNI E GIACOMO
Se allora con il film precedente avevano raggiunto il loro apice narrativo, con questo affinano il tiro e puntano in altissimo: perché ora Aldo, Giovanni e Giacomo non solo destrutturano la commedia, ma la riassemblano con il loro nonsense cinico e nichilista, si incastrano tra di loro in modo perfetto, sfumando sulla caduta di stile e riuscendo a catturare il mito del tempo comico.
Un copione scintillante con dialoghi briosi, al servizio del Trio che non lascia falle in una rete di copertura di una storia che non dà respiro. Il quid pluris di questi tre brillanti cineasti è questa volta l’innovativo approccio ad una comicità nuova e classica, un uso spregiudicato del corpo attoreo, della mimica facciale e una completa padronanza del linguaggio cinematografico .
Il risultato è uno sgangherato gangster movie sui generis, degno dell’Hollywood che fu (con sprazzi del dinamico duo Lemmon – Matthau) che trova spazio anche per dotti ammiccamenti cinefili (Memento e Vertigo) con attori-interpreti camaleontici al limite del trasformismo.
Ma più in alto sali, più fa male e rumore la caduta.
TU LA CONOSCI PAOLA?
Nel 2004 Tu La Conosci Claudia? (Disney Plus) arriva in sala: al centro Paola Cortellesi, che si preparava a diventare una grande attrice e proprio in Chiedimi aveva fatto la sua primissima apparizione al cinema.
Il film, sempre con Venier in cabina di regia, tenta di ripercorrere i sentieri del road movie degli inizi, con un occhio a Tre Uomini e Un Gamba e l’altro alle felici intuizioni della loro opera terza.
Una narrazione che si smarca completamente dal cinema generazionale degli inizi, ma che non ha l’impeto dei film precedenti: allora neanche la brava Cortellesi riesce a salvare Tu La Conosci Claudia? da una patinata sufficienza, con toni troppo enfatici da una parte e un intimismo troppo ricercato dall’altra, senza riuscire ad appartenere a nessun territorio.
Da qui in poi, è allora tutta salita.
Dopo il film con la Cortellesi, il sodalizio con Massimo Venier si interrompe.
Dall’ Anplagghed Al Cinema del 2006, ovvero il teatro su grande schermo, al Cosmo Sul Comò (regia di Marcello Cesena, Netflix), spentissima rilettura del film ad episodi; da Ammutta Muddica Al Cinema al Ricco, Il Povero E Il Maggiordomo (regia di Aldo, Giovanni e Giacomo e Morgan Bertacca, ora su Netflix) del 2014, commedia sfiatata che tenta malamente di riprendere i caratteri/caratteristi degli inizi; il cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo è un riciclo continuo di idee e situazioni che sembra spegnere lentamente gli echi del successo sprecando il loro talento in opere prive di idee.
Con la sola eccezione, parziale, de La Banda Dei Babbi Natale (Disney Plus) che infatti vede alla regia Paolo Genovese, film riuscito ma che utilizza i tre solo come attori eliminando quasi del tutto ogni loro specificità se non per rimandi forzosi.
Nel 2016 Fuga Da Reuma Park (sempre Bertacca in regia, Netflix) gira voce sia il canto del cigno del trio che pare voler sciogliersi, senza più spinte: e infatti ognuno tenta la strada solista, riuscendoci o meno.
IL RITORNO PIU’ BELLO
È del 2020 però Odio L’Estate (Netflix), un ritorno in grande stile forse sopravvalutato, ma che ha sicuramente il merito di mostrare Baglio, Poretti e Storti in forma e più maturi, pronti a riprendere il loro percorso proprio da dove si era interrotto (con Tu La Conosci Claudia?, probabilmente, che seppure non riuscito era pur sempre un loro prodotto).
Arrivando allora al 2022 e Il Grange Giorno (uscito il 22 dicembre in sala), attualmente la forma-cinema più compiuta di Aldo, Giovanni e Giacomo subito dopo (o all’opposto, come si diceva sopra) di Chiedimi Se Sono Felice.
Un film che completava il sentiero intrapreso con la Gialappa’s e perfezionato con Tre Uomini e Una Gamba: ovvero la capacità di un umorismo fisico che nessuno in Italia aveva avuto il coraggio di percorrere fino in fondo ad eccetto di Roberto Benigni, che però poi ha compiuto un detour da cui non è più tornato. Odio L’Estate aveva mostrato come volevano proseguire i tre: Il Grande Giorno è quindi un passo compiuto e completamente riuscito, nel momento in cui si rinuncia apertamente di far ridere (ma per fortuna non a sorridere) a favore di uno svolgimento narrativo articolato e complesso.
Ed è anche l’opposto di Tre Uomini e Una Gamba: prima di tutto dal punto di vista dei personaggi (lì tre figli in fuga dai padri in vista di un matrimonio; qua due padri -più uno- che inseguono i figli in vista di un matrimonio), e poi da quello della struttura filmica. Prima concentrata sulla destrutturazione e sulla comicità fisica; ora basata su una ricostruzione drammatica e drammaturgica e una malinconia che lascia poco spazio alla risata e molto alla riflessione.
Tutto il film poi ripropone, con nuove declinazioni e sguardi più maturi, i due grandi temi che, dopo venticinque anni, si possono considerare quasi ossessioni autoriali di AGG: l’amicizia (spesso tradita) e la voglia di evadere da una vita che non si sente più propria, soprattutto da quelle circonvoluzioni quotidiane che prima si mettevano semplicemente alla berlina.
Il Grande Giorno dimostra una grande maturità oltre alla solita misura (che è una delle componenti essenziali della migliore comicità dei tre): specialmente nel costruire una storia che conta anche altri personaggi -e attori- oltre al nucleo. Elena Lietti, Antonella Attili e Lucia Mascino sono i poli che sviluppano una personalità che contrasta quella dei protagonisti, e intridono il film di un sentimento che è stato sempre strisciante nei precedenti, ovvero il senso di fine.
Ma dove in Tre Uomini e UnaGamba, Chiedimi Se Sono Felice o Così e’ La Vita la fine coincideva con il deus ex machina della sceneggiatura che dava in ogni caso una conclusione più armoniosa a racconti malinconici; in questo ultimo la riflessione è su quell’illogica propensione che abbiamo tutti di sentire come bello e lieto solo l’inizio di ogni cosa, guardando alla fine come ad un dolore dal sapore inevitabile.
Venier torna alla regia, e si vede: mancava probabilmente il suo tocco magico (che già aveva fatto capolino in Odio L’Estate) per rendere compiute le sceneggiature e i movimenti di macchina di Aldo, Giovanni e Giacomo fucina di idee ma bisognosi di un artigiano del set pronto a dare forma compiuta ai loro slanci.
In questo modo, Aldo, Giovanni e Giacomo svicolano intelligentemente e con prepotenza dalle spire delle stanche e sbiadite copie del proprio passato che erano diventati, riacquistando di colpo uno spessore che in tanti pensavano non potesse più esserci.
Come se si liberassero dalla loro iconicità, giocano con le macchiette e invertono il senso di alcune loro cose, restituendo un film sincero che arriva anche a commuovere, percorrendo il versante di meta-riflessione che hanno da sempre sfiorato ma mai centrato così in pieno.