“Forse non tutti sanno che” la prima parte del film “L’Alba del Pianeta delle Scimmie” è ispirata a un esperimento reale, avvenuto lungo gli anni ’70, e che è stato portato sullo schermo da James Marsh, col suo pluripremiato “Project Nim”
Chi ha visto il recente film di fantascienza L’Alba del Pianeta delle Scimmie, avrà trovato affascinante e forse inverosimile la prima parte di connubio tra lo scimpanzé e gli umani. “Forse non tutti sanno che” quella prima parte è ispirata a un esperimento reale, avvenuto lungo gli anni ’70, e che è stato portato sullo schermo da James Marsh, col suo pluripremiato Project Nim.
Marsh aveva dimostrato di saper utilizzare il mezzo documentaristico in maniera poetica (tra gli altri) già nel precedente Man on Wire, vincitore del premio dell’Academy, che raccontava l’avventura dell’equilibrista che volle attraversare le torri gemelle su un filo. La vicenda dello scimpanzé Nim fu molto seguita negli anni settanta dall’opinione pubblica, e vide parecchie figure darsi la staffetta, di buon grado o meno, nell’educazione dell’animale. Nim infatti è stato cresciuto, sin dalla nascita, come un essere umano e come un essere umano ha sviluppato il suo percorso emotivo. L’esperimento consisteva nel trovare un contatto tra la scimmia e l’uomo nella comunicazione. Lo studio sul linguaggio aveva portato a sorprendenti risultati nella relazione tra Nim e la famiglia che lo seguiva (anche se poi fallimentari negli obbiettivi), ma anche a una evidente apertura emotiva da parte dell’animale. Quando poi i fondi finiscono, Nim viene addirittura affidato a un laboratorio come cavia, per poi innescare una battaglia legale che lo “salverà” e lo affiderà a un ranch.
Al di là della storia in sé, sicuramente toccante, Project Nim è un documentario polivalente nei suoi significati. Da un lato c’è la presunzione di dover snaturare il linguaggio di una creatura, considerando a priori come standard quello umano. Dall’altro c’è la grave superficialità di chi ha cresciuto Nim, e che ha comunque considerato lecito fare un esperimento sull’ipotetica emotività di un essere da accomunare all’uomo, sperimentando sui sentimenti. Tutto ciò dà adito ad ulteriore considerazione. La mancanza di comunicazione è alla base del disfacimento umano, perché vizia i sentimenti e li rende insinceri. Il linguaggio può unire le creature, ma a patto che venga accompagnato da dignità, affetto e rispetto.