Regista eclettico, attivo anche nella televisione e nella pubblicità, capace di attraversare tutti i generi cinematografici, segnandoli con la lezione realista del suo mentore Roberto Rossellini, Ruggero Deodato deve la sua fama a una straordinaria abilità tecnica e narrativa nel rappresentare la violenza della società.
Il cinema di Ruggero Deodato racconta come la violenza insista da sempre nell’immaginario degli uomini. Dalla rappresentazione mitologica di Ursus, il terrore dei Kirghisi (1964) a quella fumettistica di Fenomenal e il tesoro di Tutankamen (1968), a quella parodica di I quattro del pater noster (1969) e Zenabel (1969). La messa in scena della violenza diventa sempre più realistica ed estrema nel contesto urbano di Ondata di piacere (1975), Uomini si nasce poliziotti si muore (1976), La casa sperduta nel parco (1980), Ballad in Blood (2016), fino a quella neoprimitiva di Ultimo mondo cannibale (1977), Cannibal Holocaust (1980) e Inferno in diretta (1985). I suoi film più celebri escono in un decennio, gli anni Settanta, che vedono un’esplosione della visione della violenza, dalla televisione al cinema, come effetto di un mutato contesto sociale, in un’Italia che sembrava impazzita, in un dilagare di terrorismo e brutale criminalità che faceva contare ogni giorno nei telegiornali il numero di morti e feriti nelle città.
Il cinema di Ruggero Deodato non fa mai alcun diretto riferimento agli eventi dell’epoca e, pure, ne è direttamente figlio, proprio nella rappresentazione della violenza, che diventa una sua cifra stilistica in chiave spettacolare. In questo assecondando i gusti del pubblico e andando oltre.
Il tema del confronto tra la natura e la società occidentale organizzata è, però, la vera radice del cinema di Ruggero Deodato, sin da Gungala la pantera nuda (1968), e ha dato origine alle sue due opere più forti e originali, Ultimo mondo cannibale e Cannibal Holocaust, riverberandosi in tutta la sua filmografia, comprese le incursioni in varie forme del barbarico, dal passato al contemporaneo.
Il nodo del cannibalismo, per cui è rimasto celebre, è quello che più si lega a una percezione di primitivo tabù, una visione raccapricciante che fa riemergere antichi fantasmi, connessi a un mondo selvaggio da censurare e pure riemergente da antiche paure della società, come dimostrano anche fiabe a lungo tramandate.
Per Ruggero Deodato, il cannibalismo era una metafora della società dei consumi, delle merci, dello spettacolo ultimo di un’umanità persa nel suo istinto di regressione animale. A chi gli chiedesse che effetto facesse essere ricordato soprattutto per questi film o avere un soprannome come Monsieur Cannibal, così rispondeva: «Del soprannome m’importa poco. Cannibal Holocaust è un grande film, ma ne ho fatti di tutti i generi e i cannibali c’entrano poco. Certo le persone amano dare etichette. Se ripenso ai film fatti in quei decenni sono un bel miscuglio di titoli, completamente diversi gli uni dagli altri. A me piace molto variare. Non puoi capire quanto mi sarei potuto arricchire facendo tanti Cannibal Holocaust. Ho rifiutato tante volte, andavo a cercare sempre storie diverse».
Cannibal Holocaust
Ancora oggi il cannibalismo è una delle metafore più forti, violente e incisive della nostra società, vedi il recentissimo Bones and All di Luca Guadagnino. Il ritorno del rimosso di questo antico tabù trova i nostri anni come in un specchio il decennio dei Settanta, rivalutando quel cinema ed emulando, in forme diverse, l’audacia di cineasti che hanno raccontato la ferocia e l’inquietudine dei loro anni, in un cinema che osava il gusto dell’eccesso e trova ora nuove forme di coscienza davanti ai nostri occhi, riportandoci agli archetipi d’inconfessabili paure.
Oggi, tutti i giornali piangeranno il maestro Ruggero Deodato, ma nel tempo hanno solo ignorato, snobbato o massacrato i suoi film.
Per chi lo ha conosciuto, rimarrà, sempre, negli occhi e nel cuore, il suo amore per le donne, il cinema e, soprattutto, la sua sorprendente, irrefrenabile vitalità.
Ruggero, per te che amavi i viaggi di scoperta, quest’ultimo sarà solo il più grande.
Ballad in Blood