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‘Il grande giorno’ conversazione con Massimo Venier

Più che regista, Deus ex machina del cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo. Con Massimo Venier abbiamo parlato del suo nuovo film, Il grande giorno

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Più che regista, Deus ex machina del cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo. Con Massimo Venier abbiamo parlato del suo nuovo film, Il grande giorno

Al cinema Il grande giorno, il film di Massimo Venier con Aldo, Giovanni e Giacomo. Distribuito da Medusa Film,

Il grande giorno di Massimo Venier

Uno degli aspetti più efficaci della tua regia è che, in una cornice molto concreta come quella del matrimonio, la messa in scena rimanda a un universo ideale e metaforico. Nella prima immagine i futuri sposi sono immersi in un paesaggio da sogno con la panoramica dall’alto dell’isola e l’acqua del lago che li colloca immersi in un paesaggio edenico, più ideale che reale.

Sì, è tutto perfetto e quasi magico. Tranne loro, gli sposi. Si guardano perplessi fin dall’inizio. È una cornice ideale, sì, ma per i genitori. Al centro della storia c’è il perfetto matrimonio borghese che è anche, se non soprattutto, una esibizione di sé. Poi, però, se si scava anche solo un po’ sotto la superficie, si capisce subito che le cose non stanno esattamente così. Quello sarà anche il paradiso, ma non è il paradiso che si vuole davvero. Ci sono purgatori molto più interessanti.

Realtà e immaginazione

La bellezza delle immagini e la voce off concorrono a raggiungere un livello d’astrazione che trasforma il particolare in universale. Non per niente la voce narrante è quella del prete, ovvero di una figura in bilico tra cielo e terra.

Sì, non è un caso che la scelta di far raccontare la storia sia caduta su questo prete di montagna, così diverso dal sontuoso Cardinale che era stato scelto per celebrare il matrimonio. Al contrario, il nostro è un prete inadatto, che si presenta male. Scalcinato, spettinato, polveroso. Ma capace di portare una semplicità e una sincerità che forse è quello che manca alla vita dei personaggi di cui stiamo parlando.

Il contrasto tra ideale e reale, tra concretezza e astrazione, fanno parte da sempre del cinema che hai realizzato con Aldo, Giovanni e Giacomo. Opposti destinati a ritornare nella dialettica dei corpi e nei diversi giochi linguistici. D’altronde AGG sono uomini adulti, ma il loro è un comportamento quasi fanciullesco.

Hai parlato di corpi che cambiano, crescono e invecchiano, ma a volte i desideri rimangono gli stessi: capita di dimenticarsi o di non accorgersi di essere cambiati e si finisce per non assecondare il cambiamento. Il contrasto tra l’idea che si ha di sé e la realtà non è certo un’esclusiva dei nostri film. Oserei dire che è un elemento di ogni storia, o almeno di tutte quelle che mi piacciono. Io cerco di giocare con questo conflitto – che poi è il conflitto che mi interessa di più – usando l’ironia, i toni della commedia. Anzi, per me la comicità nasce proprio da questi contrasti, dallo scontro tra desiderio e realtà.

L’apertura de Il grande giorno di Massimo Venier

Firmi una serie di sequenze i cui significati vanno oltre ciò che raccontano. Partendo dall’ideale di perfezione di cui si diceva, l’inserto di apertura, in cui Giovanni dice agli inservienti di coprire i tralicci con le piante perché nel “suo” matrimonio tutto deve essere perfetto, risulta paradigmatica.

Esatto, tutto il film è un po’ così. C’è una regola, che non ricordo se ho sentito da qualche parte, ma che cerco sempre di applicare quando si scrive e quando si gira, ovvero che ogni cosa dovrebbe raccontarne almeno due. Quello che stai vedendo in quel momento deve funzionare per quello che è, ma dovrebbe essere anche la preparazione di quello che vedrai alla fine. Ci sono due percorsi diversi, con velocità diverse, con ritmi diversi e con significati diversi. La scena che citi è buffa perché Giovanni è divertente per la sua mimica, il suo modo di dire le cose, per il contrasto tra la sua grandeur e la semplicità degli inservienti costretti a spostare quaranta chili di piante per coprire un traliccio. Poi, come dici tu, c’è anche il desiderio di non esporre ciò che non piace, la paura – più che la vergogna – di mostrare le cose come sono. A volte questo doppio significato è dato dalle immagini, altre volte dai dialoghi, dalle situazioni, dai dettagli. La difficoltà è quella di non essere troppo didascalici né troppo ermetici. E soprattutto noiosi. Il tentativo è quello, poi non è detto che ci si riesca.

Il mitico trio

Partendo da quella sequenza mi sembra che tutta la sceneggiatura tende a decostruire un poco alla volta quest’idea di perfezione. La scena in cui viene tolta l’insegna con su scritto il nome della Villa portandone alla luce il vero nome è la conferma di quanto stiamo dicendo.

È proprio così, piano piano le cose si sgretolano e sulla superficie delle cose inizia a venire a galla la verità. Il difficile è farlo usando la commedia, la comicità, perché la cosa che ci piace di più è divertire il pubblico raccontandogli una storia.

E infatti questo sgretolamento è affidato ad Aldo, alla sua presenza esplosiva, che è l’esatto contrario di quello che Giovanni e Giacomo avrebbero voluto in un evento come quello. Lui rappresenta l’imperfezione fatta uomo. E infatti è adorabile.

È un vero e proprio sabotatore!

È il sabotatore involontario, ma devastante. Lui distrugge il matrimonio un po’ alla volta, in maniera molto divertente. Ma nel farlo porta finalmente un po’ di vitalità, perché quando arriva lui improvvisamente le cose diventano imprevedibili, ma anche belle.

A differenza degli altri è privo di sovrastrutture.

Esatto, è puro, ma anche inopportuno. È molto dolce – come lo è Aldo nella vita -, per cui ha il desiderio di piacere e di dare felicità agli altri. All’inizio questo porta a dei disastri perché ti spiazza, ti lascia senza parole. Poi però, forse, la loro salvezza dipende proprio da lui.

La fotografia de Il grande giorno di Massimo Venier e i significati

Non la voglio fare troppo intellettuale perché come hai detto Il grande giorno è un film che vuole divertire, però la tua messa in scena stimola questo tipo di domande. La prima è legata al fatto che la realtà dei personaggi dipende dallo status dell’immagine. Mi riferisco, per esempio, alla fotografia di Margherita proiettata sul muro del salotto. Il film si apre già con valenze psicoanalitiche perché così sono la presenza dell’acqua e la villa affacciata sul lago. La sproporzione tra la grandezza di quella fotografia rispetto ai corpi di Giovanni e della moglie nel suo essere incombente preannuncia il peso che in qualche modo avrà Margherita sulle sorti del matrimonio. La tua messinscena è una perfetta sintesi di questo concetto.

Adoro quando qualcuno spiega così bene cose che non avevo idea di avere fatto! Intanto ti ringrazio per le tue parole. Nelle mie intenzioni la fotografia di Margherita e quelle dei ragazzi hanno soprattutto uno scopo narrativo. Ci fanno capire che gli sposi sono i figli di due soci che si frequentano da sempre; che il matrimonio è quasi più dei genitori che dei figli. Si tratta di una premessa che il pubblico deve conoscere, perché dice molto di quella coppia e di quel matrimonio. Poi, certo, le foto sono il ricordo, il passato che Giovanni vuole reiterare quindi rappresentano un po’ il desiderio che il passato continui a essere, anche se magari non è più così. Vale anche per le vecchie foto della scuola in cui ci sono lui e Giacomo alle medie, vale per le foto dei bambini che stavano insieme da piccoli. Poi però appare una foto non prevista, quella della ex moglie, incombente come il peso del passato che si porta dietro. Ma soprattutto è l’annuncio dell’arrivo di nuovi problemi.

Spazio e tempo

Il grande giorno mette in scena la sua parte ideale nelle prime sequenze, le uniche a non seguire un andamento spazio-temporale lineare. Uno dietro l’altro appaiono i personaggi, la torta e altre cose ancora. Non per niente, quando inizia il racconto vero, a riportarci di colpo alla realtà è l’imprecazione di Giacomo, scocciato dei tanti soldi spesi per il matrimonio.

Sì, è proprio così. La sequenza cui ti riferisci è quella del matrimonio immaginato da Giovanni, a metà strada tra sogno e immaginazione. Con il fantastico Vittorio Zorini, direttore della fotografia per me indispensabile, ci siamo divertiti a girarla così. Poi, però, irrompe la realtà, che è molto diversa, piena di contrasti destinati a esplodere come spesso succede nelle riunioni famigliari. Possiamo dire che non ci siamo inventati niente: il matrimonio e la famiglia sono per antonomasia un luogo di conflitti.

A differenza di un classico come C’est la vie – Prendila come viene (diretto da Olivier Nakache e Éric Toledano, ndr), il tuo è un film ambientato sulle rive del lago, uno spazio cerniera tra un luogo reale, la città, e la sua dimensione simbolica, riassunta dalla microcomunità presente nell’isola. Ciò che vede lo spettatore è qualcosa a metà strada tra pubblico e privato, tra il modo di vivere dei protagonisti e la legittimazione di quello da parte degli invitati.

Come dicevi il contrasto è il sale della storia. Il lago, per me, da questo punto di vista, è un luogo perfetto. Noi lombardi vediamo il lago di Como come un posto di gran classe in cui ci sono le grandi ville, c’è la Confindustria che fa le sue riunioni a Cernobbio, c’è l’elegantissima Bellagio. Cose di altri tempi, oserei dire, che piacciono molto a questa famiglia di Segrate che aspira a essere qualcosa di più di quello che è. Io provengo dalla periferia di Milano e conosco molto bene la realtà dell’hinterland, dei capannoni, delle aziende familiari, è qualcosa per cui ho molto rispetto. E non mi è difficile immaginare l’aspirazione per questi luoghi glamour, George Clooney, l’eleganza borghese. Poi però, se gli togli quella patina un po’ falsa, sono luoghi splendidi, con una natura stupenda. Lo si vede alla fine del film, quando quel luogo perde completamente l’allure borghese ed elegante diventando un posto bello e naturale dove si può essere se stessi. Abbiamo scelto di ambientare la storia sul lago di Como per questa doppia funzione.

Personaggi e cibo ne Il grande giorno di Massimo Venier

Il prima e dopo di cui hai appena detto lo vediamo in atto nel rapporto che i personaggi hanno con il cibo. All’inizio quest’ultimo è né più né meno uno status symbol e, solo alla fine, quando i protagonisti diventano se stessi, diventa qualcosa di cui godere.

È verissimo perché il cibo, tra l’altro, è davvero vita e convivialità e quel pranzo finale è contemporaneamente malinconico, ma anche rigenerante. È il tramite per ritornare a un rapporto con le cose più diretto, quello che se il risotto ti fa schifo, lo dici e mangi ciò che ti piace. In quel finale, i personaggi finalmente si ritrovano, scherzano, stanno davvero insieme e sono sinceri, riuscendo a ritrovare per l’ultima volta la complicità con la quale sono cresciuti e hanno vissuto per tanti anni.

A proposito del rapporto con le cose, essendo un film che racconta la media borghesia, la relazione tra oggetti e personaggi scandisce, di volta in volta, la felicità dei protagonisti. L’inizio è dominato dalle cose, riprese nel momento in cui entrano in campo e saturano la scena. Prima i vasi con le piante, poi le bottiglie e il cibo, tutti accessori che sono al centro di singole scene. Sul finire succede lo stesso, ma in senso contrario. L’epilogo è sancito dalla messa al bando degli oggetti, sgomberati da quello spazio.  

Sì, infatti, anche in questo non abbiamo fatto niente di rivoluzionario. Però è chiaro che se ti togli i vestiti della festa poi stai più comodo, mangi con le mani e sei più felice. All’inizio è tutto un aggiungere orpelli, alla fine è il contrario. Quando racconti un matrimonio ci sono due o tre passaggi obbligatori e questo è uno di quelli.

Il grande giorno di Massimo Venier: il contrasto tra AGG e il resto del cast

A parte Aldo, Giovanni e Giacomo nel film metti insieme attori e attrici abituati a frequentare un cinema drammatico e d’autore. Il contrasto dei corpi rispetto a quelli di Aldo, Giovanni e Giacomo, la verosimiglianza e la duttilità sono le caratteristiche di un cast di prima scelta.

Sì, verosimiglianza e duttilità credo che siano le caratteristiche principali di ogni attore bravo. Poi, certo, ci sono il fascino, il carisma, il magnetismo, la capacità di arrivare in modo diretto al pubblico, che sono doni individuali, che non si insegnano. Nel corso degli anni la mia fortuna è stata quella di incontrare un folto gruppo di attori di talento, intelligenti, preparati, attenti al dettaglio. E me li tengo stretti. In più, ogni tanto, ne conosco di nuovi. In questo caso è toccato a un’attrice clamorosa come Elena Lietti. L’ho vista recentemente a teatro e sono rimasto folgorato dalla sua capacità di arrivare alla verità con una recitazione semplice e diretta, fatta tutta in sottrazione. E poi ad Antonella Attili, in grado di trasmettere al suo personaggio sfumature molto profonde e sincere. Ecco, l’intelligenza è una caratteristica che appartiene a questi attori, anche a quelli più giovani. Sanno fare tutto, sono duttili e verosimili. Il cast del film mi rende davvvero orgoglioso.

C’è una scena in particolare, quella del dialogo tra Lietti e Mascino, girata per la maggior parte in piano sequenza. Potrebbe essere la misura dell’orgoglio di cui parlavi.

Quella è una scena in cui a essere fondamentali sono gli attori. L’abbiamo girata in condizioni difficili, un po’ come tutto il film a dire il vero. In generale Il grande giorno è stato complicatissimo dal punto di vista tecnico per questioni di location. Gli attori sono stati fenomenali nell’adattarsi alle difficoltà e alle acrobazie fatte per far sembrare tutto realistico e naturale.

La sontuosa location del matrimonio in realtà è la combinazione di almeno cinque posti diversi, ubicati in regioni diverse, con campi e controcampi girati in settimane diverse. La scena in questione è tutta sulle spalle degli interpreti e la puoi fare così lunga solo quando hai due attori, in questo caso due attrici, in grado di creare quell’atmosfera, quella verità. Anche a me piace quel dialogo perché mi permette di vedere all’opera due grandi attrici.

Un riuscito film corale

Per chi ama il cinema è veramente un regalo, all’interno di un film in cui è possibile godersi le interpretazione di un numero considerevole di attori. Da parte loro Aldo, Giovanni e Giacomo invecchiano bene nel senso che la loro comicità si è asciugata mettendosi sempre di più al servizio della storia e degli altri personaggi. Il rischio evitato era quello dell’eccesso caricaturale.

Sì, sono d’accordo. È stato un lavoro fatto con grande attenzione, innanzitutto in fase di scrittura. Con Davide Lantieri e Michele Pellegrini siamo convinti che quello che hai detto è il pericolo più grande e quindi bisogna evitarlo. Aldo, Giovanni e Giacomo sono molto intelligenti e lo capiscono, anche se l’istinto li spingerebbe a fare quello per cui sono nati. Adesso, però, quando la storia lo consente, crediamo sia giusto utilizzare altre corde. Aldo, Giovanni e Giacomo riescono a essere credibili rimanendo se stessi. D’altronde quest’ultimo è un aspetto molto amato dal pubblico quindi è complicato trovare un equilibrio. Per trovarlo ci vuole grande cura sia in scrittura sia sul set. La nostra speranza è di esserci riusciti.

Trattandosi di una sceneggiatura scritta a più mani, anche per voi si trattava di trovare un equilibrio tra diversi punti di vista.

Con Davide e Michele lavoro da tempo. Siamo degli amici che lavorano con grande affiatamento. Abbiamo caratteri diversi: loro in particolare sono due persone intelligenti, caratteristica per me fondamentale. Abbiamo molto rispetto uno dell’altro e dei ruoli che ognuno di noi riveste nel film. Pensa che la sceneggiatura è stata scritta interamente su Zoom: per via della pandemia non ci siamo mai visti di persona ed eravamo molto preoccupati di questa cosa, invece, la nostra sintonia ci ha permesso di superare ogni difficoltà. Penso che questo sia il segreto di molte squadre cinematografiche.

Il grande giorno: nuova collaborazione tra Massimo Venier e Brunori SAS

La collaborazione con Brunori SAS mi sembra diventata una costante dei tuoi film. L’attinenza dei testi fa delle canzoni un controcanto alle vicende de Il grande giorno.

So che Figli della borghesia sembra una canzone scritta apposta per il film invece è uscita un anno prima: l’ho ascoltata appena è uscita – sono un fan di Brunori – e un minuto dopo averla sentita mi sembrava perfetta per il film. L’ho immaginata al montaggio in una sequenza senza dialogo e ho capito di non poterne fare a meno. Nel momento in cui gli ho telefonato per chiedergliela è nata una nuova collaborazione. Questa volta si è adattato a fare una colonna sonora più lontana dalle sue corde abituali perché il film richiedeva una musica – almeno all’inizio – più orchestrata, classica. Dario è stato bravo a capire il tono e a trovare il giusto equilibrio inserendo all’interno di questa classicità tocchi di ironia.

Io e Dario siamo diversi, ma alla fine ci piacciono le stesse cose, anche se ci arriviamo da direzioni differenti. Per qualche misteriosa alchimia le sue canzoni stanno bene sulle mie immagini e viceversa. La canzone che c’è in coda è anch’essa di repertorio. Inizialmente doveva comporne una apposta, poi, a causa dei suoi mille impegni e dei suoi infiniti sold out, non ha potuto. Allora ne abbiamo presa un’altra – quasi a caso – e con Enrica Gatto, la montatrice, l’abbiamo inserita nella copia lavoro in attesa di quella nuova. Era perfetta per ritmo e toni. Alla fine è rimasta quella. Per la gioia immensa di Dario, che se può risparmiarsi una fatica è solo contento. Un’altra cosa che abbiamo in comune.

Il Grande Giorno di Massimo Venier

  • Anno: 2022
  • Durata: 90'
  • Distribuzione: Medusa
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Massimo Venier
  • Data di uscita: 22-December-2022