Prequel di The Witcher, disponibile dal 25 aprile 2022 su Netflix, The Witcher: Blood Origin è una miniserie di 4 episodi, che spiega la nascita di una delle figure più affascinanti del fantasy. Se si deve a Henry Cavill – a breve sostituito da Liam Hemsworth – la notorietà del “cacciatore di mostri”, convincenti si rivelano anche i nuovi interpreti, sicuramente meno noti, ma altrettanto adatti.
Creato da Declan de Barra e da Lauren Schmidt Hissricha, The Witcher: Blood Origin riprende tutte le suggestioni dell’originale, ancorandosi sempre alla serie di romanzi di Andrzej Sapkowski. L’effetto finale è buono, ma non eccezionale, rivelandosi un’appendice utile e interessante, ma forse non memorabile.
La Leggenda dei Sette narra che un piccolo gruppo, composto di elfi, nani e stregoni, all’apparenza schierati su fronti opposti, unì le forze per combattere un impero imbattibile.
Voglio che canti una storia sul riportarla in vita.
Sette improbabili guerrieri, emarginati e costretti a cambiare rotta, divennero così un esempio, mostrando al mondo intero quanto potevano essere forti le idee, i sogni condivisi, il desiderio di libertà.
Dal Clan del Cane proviene Fjall Stoneheart (Laurence O’Fuarain), mentre a quello del Corvo appartiene Éile (Sophia Brown). Scian (Michelle Yeoh) è l’ultimo membro di una tribù nomade, Meldof (Francesca Mills) una nana in cerca di vendetta. Syndril (Zach Wyatt) e Zacaré (Lizzie Annis) sono un fratello e una sorella con poteri magici. Chiude il quadro, Callan (Huw Novelli), soprannominato Fratello Morte.
Difficile addentrarsi nella trama di The Witcher: Blood Origin senza rischiare di fare spoiler, per cui, se si vuol scoprire quanto e come le vicende dei Sette si intreccino con quelle di Geralt di Rivia, è necessario dedicargli un po’ di tempo.
Chi controlla la storia, controlla il mondo.
Dal punto di vista dello spettacolo, in senso più stretto, la miniserie ha poco o nulla da invidiare all’originale. La computer graficanon prende mai il sopravvento, se non in rari momenti, comunque giustificati dalla scelta di esibire creature mostruose o effetti magici. Per il resto, tutto viene giocato con gli elementi naturali a disposizione. Ne è un esempio perfetto la scena di apertura: pioggia, fango, fuoco e sangue, invadono lo schermo, mentre sullo sfondo si consuma una guerra.
Il franchise The Witcher ha ormai abituato i suoi fan alla spettacolarità più pura e viva, capace di immergere completamente all’interno di un universo altro, magico e stratificato. Le sensazioni si fanno vibranti, viscerali, e la curisoità viene continuamente solleticata da colpi di scena e nuove scoperte.
I temi di The Witcher: Blood Origin, dalla famiglia all’amore
Per quanto riguarda, invece, l’aspetto tematico, The Witcher: Blood Origin non manca di affrontare numerose questioni, sempre, ovviamente e rigorosamente, attraverso il filtro del fantasy. A partire dall’importanza della comunità, del gruppo, al di là di qualsiasi differenza. In un mondo di soprusi, corruzione e veleno, popolato da uomini che bramano il potere e la ricchezza, l’unica arma da opporre è la solidarietà.
Come ci fidiamo a vicenda?
Una solidarietà che può portare alla creazione di una famiglia alternativa, la quale non condividerà legami di sangue, ma qualcosa di altrettanto forte. I Sette rappresentano, in tal senso, un simbolo potente, sebbene abbiano più le fattezze di un clan, ciascuno con i suoi metodi e la sua fede, messi al servizio degli altri. Fondamentali il confronto e lo scambio, al fine di raggiungere il medesimo obiettivo.
La libertà è – e resta – un valore da difendere, anche a costo di un sacrificio personale. E la musica si fa suo tramite, arrivando a toccare e unire luoghi e popolazioni ai confini del mondo. Veicolando idee e messaggi, una canzone può mostrare ciò che si nasconde dietro l’animo degli uomini e delle donne, e svelare i sentimenti che li muovono.