Uno degli ultimi – grandi? – film che ha saputo spiegare la magia del cinema è stato The Fabelmans (2022) di Steven Spielberg. Cinema inteso come spettacolo filmico e come sala cinematografica.
Il piccolo Sammy (Mateo Zoryon Francis-DeFord), portato per la prima volta dai genitori al cinematografo, rimane estasiato dallo spettacolo a cui assiste. Il più grande spettacolo del mondo (The Greatest Show on Earth, 1952) di Cecil B. DeMille è il film che lo illumina, e la scena del treno che si scontra violentemente con l’auto gli suscita al contempo desiderio e paura.
Il titolo di quel lontano film circense di DeMille è perfetto per descrivere il cinema che, sin da quel lontano 28 dicembre 1895, ammalia e/o terrorizza gli spettatori di tutto il mondo. Paura e desiderio – anche titolo dell’esordio nel lungometraggio di Stanley Kubrick – possono essere i due principali poli emotivi di un singolo individuo oppure di un’intera platea.
Nella sequenza in cui Sammy è con i genitori nel cinema, ecco che appare alle sue spalle il fascio di luce del proiettore, che fende il buio della sala e rilascia sul maxi schermo le immagini. Quel raggio incantatore è la magia del cinema.
Ecco, partendo da quell’inquadratura estrapolata da The Fabelmans, è possibile creare una “pellicola” di inquadrature che hanno saputo cristallizzare il prodigio di quel raggio magico. Una sequenza di immagini sulla falsariga di quella finale di Nuovo cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore.
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The Dreamers (2003) di Bernardo Bertolucci. Il magico raggio di luce
La magia del cinema, che cos’è?
“Il cinema è un’invenzione senza futuro”
(frase attribuita a Louis Lumière)
“Il cinema non è un pezzo di vita, è un pezzo di torta”
(Alfred Hitchcock)
“La fotografia fissa la verità. Il cinema filma la verità 24 volte al secondo”
(Jean-Luc Godard)
“Il cinema è uno dei tre linguaggi universali; gli altri due sono la matematica e la musica”
(Frank Capra)
“Per me, il cinema è recitazione. Quando tiri le somme, la qualità di un film è tutta questione di quali attori hai, e di come recitano”
(Orson Welles)
“Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito”
(Sergio Leone)
“Il cinema è come il mondo di Alice nel paese delle meraviglie, la creatività scorre senza filtri, è un flusso continuo di emozioni che si evolvono”
(Nicolas Winding Refn)
“Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative alla vita vera, che gli provvede solo il materiale grezzo”
(Umberto Eco)
“Il cinema è come una vecchia puttana, come il circo e il varietà, e sa come dare molte forme di piacere”
(Federico Fellini)
“Il cinema è quel posto dove vai, compri un biglietto e poi trovi uno che te lo strappa. Quello è il cinema, no?”
(Sergio Citti)
“Mi venne in mente che alla domanda ‘che cosa può raccontare il cinema?’ si poteva rispondere “tutto”, e questo mi dava effettivamente un brivido”
(Paolo Sorrentino)
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Adrenaline (1989) di Aa.Vv.. Un gruppo di spettatori ciechi, metafora che lo spettatore può anche non credere ai proprio occhi.
La magia del cinema, quello straordinario raggio di luce che strega bambini e adulti
Ecco una sequenza di immagini, estrapolate da differenti pellicole, che mostra l’alchemico fascino di quel raggio di luce che esce dal proiettore e che ammalia bambini, adolescenti e adulti.
Luce che fende il buio della sala e illumina lo schermo e fa brillare o terrorizzare i nostri occhi. Ecco, questa è la magia del cinema.
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The Fabelmans (2022). L’epifania cinematografica di Sammy con il film Il più grande spettacolo del mondo.
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Nuovo cinema Paradiso. Il piccolo Salvatore (Totò Cascio) adora andare al cinema, e rimane stregato dalle immagini del grande schermo.
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Belfast (2021) di Kenneth Branagh. Il piccolo Buddy (Jude Hill) rimane estasiato dal cinema, super spettacolo colorato.
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Hugo Cabret (2011) di Martin Scorsese. L’infante Hugo Cabret (Asa Butterfield) assieme a Isabelle (Chloë Grace Moretz) assistono ai prodigi del cinema, ancora muto però già totalmente magico.
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Incompreso (1966) di Luigi Comencini. Il piccolo Andrea (Stefano Colagrande), per riempire la solitudine e la poca attenzione del padre, va al cinema, e si atteggia da sprezzante adolescente.
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Il lungo giorno finisce (1992) di Terence Davies. L’introverso Bud (Leigh McCormack) adora il cinema, che gli da quella gioia che non ha nella vita reale.
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The Fabelmans. Divenuto adolescente, Sam (Gabriel LaBelle) continua a rimanere ammaliato dal cinema, in questo caso con il western L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) di John Ford.
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I ragazzi della 56ª strada (1983) di Francis Ford Coppola. Ultimi momenti di quiete, prima della tragedia. La sala cinematografica come luogo d’incontro, e dove la differenza di ceto scompare.
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L’ultimo spettacolo (1971) di Peter Bogdanovich. Il giovane Billy (Sam Bottoms) assiste a una delle ultime proiezioni di una saletta di periferia, che fra poco chiuderà definitivamente i battenti.
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Amarcord (1973) di Federico Fellini. L’adolescente Titta (Bruno Zanin) non è interessato al film che proiettano, ma è entrato al cinema solo per poter stare vicino alla Gradisca (Magali Noël); vero oggetto del desiderio.
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Kundun (1997) di Martin Scorsese. Il Dalai Lama (Gyurme Tethong), ormai adolescente, guarda ammirato i prodigi del cinema. Spettacolo che, per un momento, lo rende comune mortale.
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Donnie Darko (2001) di Richard Kelly. Quello che doveva essere un incontro tra fidanzati, nella vuota e oscura sala, presto sarà per Donnie Darko (Jake Gyllenhaal) una tetra rivelazione.
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Una vita violenta (1962) di Paolo Heusch e Brunello Rondi. Tommaso (Franco Citti) entra in un cinema dove proiettano Il generale Della Rovere (1959) di Roberto Rossellini. Non per ammirare la pellicola resistenziale ma, con altri camerati, per sabotare la proiezione.
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Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick. Il pestifero adolescente Alex (Malcom McDowell), viene rieducato con il cinema, per mezzo della Cura Ludovico.
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Cry Baby (1990) di John Waters. I carcerati si godono il cinema, libera finestra sul mondo. Hanno anche occhialini 3D, peccato il film sia un B-movie anni ’50. Lo humour di Waters.
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Splendore nell’erba (1961) di Elia Kazan. L’aristocratico Bud Stamper (Warren Beatty), al cinema con gli amici, si gode una semplice vita adolescenziale, fatta anche di film.
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L’angoscia (1987) di Bigas Luna. Una giovane spettatrice comincia a sentirsi male, a non sopportare il malsano terrore che gli suscita la pellicola horror “La mamma”.
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Red Screening – Proiezione mortale (2020) di Maximiliano Contenti. La pellicola vuole confermare che la sala cinematografica non è sempre così confortevole… se c’è un assassino dentro.
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Scream 2 (1997) di Wes Craven. Sullo schermo un film dell’orrore, e in sala… il terrore che si tramuterà in morte. Maureen Evans (Jada Pinkett Smith) fa bene ad aver paura.
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Goodbye, Dragon Inn (2003) di Tsai Ming-liang. Il vecchio e fatiscente cinema Good Fortune sta chiudendo, e come ultima proiezione viene dato il classico Dragon Inn. Uno spettatore assiste con venerazione la fine di un’epoca.
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C’era una volta a… Hollywood (2019) di Quentin Tarantino. Sharon Tate (Margot Robbie) rapita dal cinema. Uno degli ultimi momenti di gioia prima della sua tragica fine.
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Barton Fink – È successo a Hollywood (1991) di Joel e Ethan Coen. Le kafkiane vicende cinematografiche del drammaturgo Barton Fink (John Turturro), non proprio convinto del cinema.
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Cape Fear – Il promontorio della paura (1991) di Martin Scorsese. Quella che doveva essere una normale serata in famiglia al cinema, sarà per Sam Bowden (Nick Nolte) un’infausto incontro con Max Cady (Robert De Niro).
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Be Kind Rewind – Gli acchiappafilm (2007) di Michel Gondry. A chiusura del film, la gente del quartiere, affezionati clienti della vecchia videoteca, assistono ai “remake” casarecci realizzati da Jerry (Jack Black) e Mike (Jerry Mos Def)
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Empire of Light (2022) di Sam Mendes. Hilary (Olivia Colman) non può far a meno della magia della sala cinematografica.
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Crimini e misfatti (1989) di Woody Allen. Cliff Stern (Woody Allen), documentarista fallito, educa settimanalmente la propria nipote al buon cinema classico.
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Tre uomini e una gamba (1997) di Massimo Venier. Entrati casualmente in una saletta di periferia, il trio assiste all’introvabile neorealista Biglietto amaro. Aldo (Aldo Baglio) e Giovanni (Giovanni Storti) parteggiano ognuno per un personaggio.
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Una vita al massimo (1993) di Tony Scott. La coppia di fuggitivi Clarence Worley (Christian Slater) e Alabama Whitman (Patricia Arquette) si nasconde in un cinema.
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Manhattan (1979) di Woody Allen. Isaac Davis (Woody Allen) ed Emily (Anne Byrne Hoffman) amano soltanto il cinema intellettuale.
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I vitelloni (1953) di Federico Fellini. I neo sposi Fausto (Franco Fabrizi) e Sandra (Leonora Ruffo) si godono il cinematografo, uno dei luoghi canonici per passare assieme una serata assieme.
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Nitrato d’argento (1996) di Marco Ferreri. Il regista ricostruisce una sua personale storia delle sale cinematografiche, e mostra differenti tipologie di spettatori che si sono avvicendate nei decenni.
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Il comune senso del pudore (1976) di Alberto Sordi. Giacinto (Alberto Sordi) ed Erminia (Rossana Di Lorenzo), per concludere i festeggiamenti delle nozze d’argento, vanno al cinema. Purtroppo proiettano soltanto film zozzi.
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Veronika Voss (1982) di Rainer Werner Fassbinder. L’ex diva Veronika Voss (Rosel Zech), vive nel culto del passato.
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Nel corso del tempo (1976) di Wim Wenders. Molte sale cinematografiche stanno chiudendo. Pochi spettatori sono ormai attratti dalla sala cinematografica . Bruno (Rüdiger Vogler), riparatore di proiettori, constata mestamente ciò.
La magia delle sale cinematografiche, (ex) templi per il desiderio e la paura
Da quel lontano 28 dicembre 1895, la sala cinematografica è diventata la “scatola magica” dove poter vedere il più grande spettacolo del mondo. Lo schermo diviene una finestra sul mondo. La sala cinematografica un luogo di aggregazione. Piacevole, ma anche no.
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Sciuscià (1946) di Vittorio De Sica. I bambini chiusi in un fatiscente riformatorio, con il cinematografo vivono per un momento nella gioia, perché possono vedere luoghi lontani.
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Prova a prendermi (2003) di Steven Spielberg. Si entra in sala e si sogna, e al contempo possono sorgere delle idee truffaldine, come capita a Frank Abagnale Jr. (Leonardo Di Caprio).
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Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli. Negli anni ’60 il cinematografo era ancora un luogo dove poter sognare, guardando i divi e luoghi esotici.
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The Artist (2011) di Michel Hazanavicius. L’età dell’oro del cinema, quando le sale erano immense ed erano strapiene.
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Stanlio & Ollio (2018) di Jon S. Baird. Le sale erano ugualmente piene anche per vedere una formidabile coppia comica, sebbene i film non fossero perfetti.
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One Second (2020) di Zhang Yimou. Povertà, dittatura… unica soluzione per sognare è il cinema. Nella Cina maoista, le sale dei piccoli paesi sono affollate di cittadini che con gioia guardano il film offerto, sebbene spesso siano solo cinegiornali.
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Dèmoni (1985) di Lamberto Bava. La sala cinematografica luogo d’incontro, condivisione, di gioia… ma anche di terrore. Quando le immagini escono direttamente fuori dallo schermo.
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Gremlins (1984) di Joe Dante. Ma anche i mostri possono rimanere ammaliati dal cinema, e i Gremlins si lasciano trasportare dalla proiezione di Biancaneve e i sette nani (1937).
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Un lupo mannaro americano a Londra (1981) di John Landis. David (David Naughton), divenuto licantropo, incontra per l’ultima volta il suo amico morto sbranato Jack (Griffin Dunne) in un cinema porno di Londra.
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A morte Hollywood (2000) di John Waters. Il gruppo di terroristi cinematografici, capeggiati dal regista pazzoide Cecil B. Demented (Stephen Dorff), durante la fuga entra anche in un cinema porno, dove gli spettatori espletano le loro emozioni.
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Splendor (1989) di Ettore Scola. Una sala cinematografica di un piccolo paese laziale, che ha vissuto tante stagioni di successo, dovrà chiudere.
Visioni private… visioni proibite
Il giovane Sam Fabelmans riguarda il materiale girato proiettandolo nello sgabuzzino della sua stanza. Camera oscura e ugualmente luogo sicuro dove poter ricontemplare la propria opera.
Non è il solo, e non è soltanto una prassi produttiva. È come quando si scrive un testo e lo si rilegge per controllare se ci sono errori, e al contempo per compiacersi di quello che si è creato.
Sono visioni private, solitarie (sebbene possano esserci collaboratori attorno), a volte proibite.
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The Fabelmans, il solitario Sam riguarda quanto ha girato.
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Super 8 (2011) di J.J. Abrams. Il provetto regista Joseph Lamb (Joel Courtney) controlla, assieme al suo assistente, il materiale girato.
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Fanny e Alexander (1982) di Ingmar Bergman. Prima del cinema, la lanterna magica. Il giovane Alexander (Bertil Guve), alter ego di Bergman, costruisce storie “filmiche” con la lanterna magica.
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Charlot (1992) di Richard Attenborough. Anche il grande Charlie Chaplin (Robert Downey Jr.) ricontrolla l’efficacia tenuta di quanto ha girato.
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Ed Wood (1994) di Tim Burton. Lo scalcinato regista Ed Wood guarda con emozione l’ultima scena che ha girato con Bela Lugosi, morto improvvisamente. Sicuramente la sua più bella scena da regista.
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The Artist (2011). L’ex divo di successo George Valentin (Jean Dujardin) riguarda il suo passato glorioso.
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Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder. L’ex diva Norma Desmond (Gloria Swanson), ormai auto-reclusasi nella sua villa, mostra allo sceneggiatore Joe Gillis (William Holden) i suoi antichi fasti cinematografici.
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Good Morning Babilonia (1987) di Paolo e Vittorio Taviani. David Wark Griffith è Dio, demiurgo della Hollywood d’oro. In sala di proiezione, osserva quanto hanno realizzato i due fratelli italiani Bonanno (Vincent Spano, Joaquim de Almeida).
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The Aviator (2004) di Martin Scorsese. Ma altro Dio di Hoolywood che visionava personalmente il materiale, fu Howard Hughes (Leonardo Di Caprio), che ormai preda delle sue ossessioni è rintanato nella saletta dello studio.
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I complessi (1965) di Aa.Vv.. Gildo Beozi (Ugo Tognazzi), stimato Professore molto puntiglioso sulla morale. Un giorno scopre che sua moglie, in gioventù, fece un’apparizione osé in un filmettino. Ne rimane profondamente scandalizzato durante la proiezione in saletta.
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Hollywood Ending (2002) di Woody Allen. Il produttore Hal Jaeger (Treat Williams) osserva con molta perplessità il materiale girato dal regista Val Waxman (Woody Allen).
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Il disprezzo (1963) di Jean-Luc Godard. Il regista Fritz Lang è compiaciuto di quanto ha filmato, mentre il produttore americano Jerry Prokosch (Jack Palance) non capisce tutta quella cultura.
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Due settimane in un’altra città (1962) di Vincent Minelli. Il regista Maurice Kruger (Edward G. Robinson), impegnato a Cinecittà con un Peplum, è invece molto tranquillo.
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All That Jazz – Lo spettacolo continua (1979) di Bob Fosse. Sicuro e vanitoso è il regista Joe Gideon (Roy Schneider), che mostra il suo film al produttore che, inizialmente era preoccupato.
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I dimenticati (1941) di Preston Sturges. Anche se il film è completato ed è ben realizzato, al regista John Lloyd Sullivan (Joel McCrea) sorge il dubbio che in tempo di guerra non è giusto realizzare commedie.
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Quarto potere (1941) di Orson Welles. E sempre in una saletta di proiezione, ci si può domandare se il materiale visionato è completo per descrivere la vita del magnate Charles Foster Kane (Orson Welles).
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L’uomo di marmo (1976) di Andrzej Wajda. Dubbi di ricostruzione storica che si presentano anche alla coriacea filmmaker Agnieszka (Krystyna Janda), che vuole realizzare un documentario sull’eroe operaio Birkut (Jerzy Radziwiłowicz).
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I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. Un gruppo ladruncoli visiona il filmato realizzato per lo scassinamento della cassaforte. Immagini pessime, ma dopotutto anche i grandi autori hanno sbagliato fuoco e inquadratura.