Il corpo di Aisha che riposa nella notte bluastra sembra avvolgersi più in un sudario che tra le lenzuola. Le pieghe del letto si fanno quasi liquide; un ragno le cammina sul viso. Così si apre Nanny, il lungo d’esordio di Nikyatu Jusu, capace di guadagnarsi il premio Gran Premio della Giuria al Sundance(US Dramatic Competition). Ora che il film è disponibile su Amazon Prime Video, si può apprezzare la tempra da amazzone dell’indie della regista americana di origini africane (Sierra Leone). Sotto le sembianze di riuscitissimo horror a fuoco lento, tra i tanti della Blumhouse Production, Nannyruggisce per originalità del linguaggio, coniugando all’insegna del black power brividi nerissimi e abbagliante suggestione simbolica.
Il trailer
La trama
Aisha (Anna Diop) è un’immigrata senegalese senza documenti che cerca lavoro a New York per far venire il figlio Lamine a vivere con lei negli Stati Uniti. Trova lavoro come babysitter di Rose (Rose Decker), sei anni, figlia di una coppia bianca benestante che spesso si dimentica di pagarla. Combattuta tra la nostalgia del figlio, la cura di Rose e l’avventura sentimentale (con Malik, interpretato da Sinqua Walls), in condizioni di lavoro sempre meno tollerabili, Aisha comincia a sperimentare misteriosi incontri soprannaturali. Da un lato, le premonizioni e le inquietanti visite di Anansi, figura mitologica dell’Africa occidentale che assume la forma di un ragno. Dall’altro, spesso in sogno – o incubo – il contatto con Mami Wata, spirito acquatico africano a volte raffigurato come una sirena. Tra suspense e apnea acquatica, Aisha cercherà di tenersi a galla, domando le ombre nere della rabbia per non affogare.
Le tinte nere dell’horror
Sospeso tra le inquietanti figure folk della notte e le comparse da incubo subacqueo, Nannyappare davvero vibrare delle atmosfere nero-gotiche de La forma dell’acquadi Del Toro o di Babadookdi Jennifer Kent. Ma c’è anche l’effetto acquario, esteticamente notevole, della casa dei bianchi ricchi: luci color acciaio, con rare accensioni di rosso infernale, e inquadrature spesso distanziate, quasi si spiasse la vita domestica dal divisorio di un vetro. È l’atmosfera algida, ma potenzialmente crudele, di autori come Park Chan-wook, ma anche di qualche suo connazionale (il Kim Jee-woondi A Tale of Two Sisters, citato esplicitamente dalla regista). Con le scene in piscina, poi, che non risparmiano fredde ventate di horror nordico (Lasciami entrare di Tomas Alfredson).
La chiave di tanto dark side, però, è nelle quote nere: non solo autori esplicitamente citati da Nikyatu Jusu, come Ousmane Sembéne o Kasi Lemmons (vedasi La baia di Eva, tra bambine, vodoo e sangue in Louisiana); bensì il cavallo di Troia del sistema hollywoodiano a supremazia bianca, ossia Jordan Peele. A lui, volente o nolente, si ricollega quel misto di horror mainstream, presenze afroamericane e sottotesto allegorico che sta di recente interrogando il dispositivo di genere.
La sua Africa (della regista)
Oltre a esporsi ai monsoni di certo horror coreano e a glaciali umori di Scandinavia, Nannyappare percosso continuamente dal vento caldo dell’Africa. Ovunque: alle feste etniche; quando la nanny sussurra le ninnenanne del proprio Paese d’origine; nella figura di un’anziana “spiritista”; nelle battute su Sierra Leone e Senegal tra Aisha e la sua fiamma Malik. Soprattutto, però, è nell’immaginario di Anansi e Mami Wata, e nel rapporto che con esso stabilisce Aisha, che Nanny mostra di avere non solo un bestiario, o un pantheon, diverso da quello del classico horror a fuoco lento; piuttosto, una diversa autonomia linguistica, espressiva.
Una scena “festosa” di Nanny
Senza nulla togliere, s’intende alla cottura. Perché per circa un’ora, il film è allusivo, col buon repertorio di mestiere: lentissime zoomate, rapidi passaggi di echi musicali disturbati, leggende a mezza voce, presagi di varia sorta. Compresa la fotografia di un ragazzo di origini africane che urla tra le fiamme, appesa alla parete della casa dei datori di lavoro di Aisha. Il padrone di casa, Adam, spiega che si tratta di una foto presa durante una rivolta a Lille. Aisha guarda, inquietata, lo scatto infernale:
(Adam) Già, quel ragazzo. Aveva un vero fuoco dentro. Il miglior oratore che abbia mai visto, era come Malcolm X, pendeva dalle sue labbra. È morto adesso.
La via dell’acqua
Ma non è quella del fuoco la via del film. In Nanny, l’inferno privato di Aisha, tutto nella lontananza dal figlio Lamine, affiora a poco a poco attraverso i riferimenti all’acqua, che già comparivano nella scena iniziale e che tornano, ossessivi nel suono e nell’immagine, prima e durante l’onda d’urto degli ultimi 25 minuti. Gli incubi si fanno fluidi, l’immersione nel subconscio regala scene di bellissima apnea. Come l’horror fosse un salvagente espressivo, vale a dire un dispositivo utile a raccontare drammi, premonire tragedie, mediare le paure di Aisha col linguaggio nativo della sua cultura. Allo specchio, è così che parla la coscienza più nera.
Aisha allo specchio, con un riflesso inquietante, in una scena di Nanny
Primo film horror a vincere al Sundance, Nanny non è dunque una banale crociera di clichés dell’orrore. All’ultimo riflusso di senso, diventa invece un film autenticamente drammatico. Annerito, afroamericanizzato nel racconto: l’horror non è più il linguaggio del padrone bianco, ma un modo liquido, personale e originario, per raccontare i recessi più bui dell’anima. Bell’escamotage, per dirlo col francese nativo di Aisha; e per sottolineare che qui, grazie alla brillante tenacia di Nikyatu Jusu, è nato davvero un film dal linguaggio potente e originale.
Nanny
Anno: 2022
Durata: 99'
Distribuzione: Amazon Prime Video
Genere: Horror, drammatico
Nazionalita: Stati Uniti
Regia: Nikyatu Jusu
Data di uscita: 16-December-2022
Vuoi mettere in gioco le tue competenze di marketing e data analysis? Il tuo momento è adesso!
Candidati per entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi Drivers