Si è conclusa, nella splendida cornice della Mole Vanvitelliana di Ancona, con un’affluenza di pubblico cui non eravamo più abituati dai tempi precovid, la diciannovesima edizione del festival Corto Dorico.
La giuria, composta dal regista Claudio Cupellini, l’attrice Donatella Finocchiaro e il direttore della fotografia Michele D’Attanasio, ha decretato vincitore Tria – del sentimento del tradire di Giulia Grandinetti; il premio del pubblico è andato, invece, a A BetterHalfdi Marco Calvani. Dell’importante sezione internazionale Short on Rights, in collaborazione con Amnesty International, vincitore è stato il corto Split Ends di Alireza Kazemipour, premio del pubblico a Warsha di Dania Bdeir. Il premio del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani per il miglior lungometraggio è andato a Settembre di Giulia Steigerwalt.
Giulia Grandinetti premiata da Donatella Finocchiaro
Per fare un bilancio di questa diciannovesima edizione, abbiamo intervistato il codirettore di Corto Dorico, Luca Caprara.
Qual è la specificità di un festival come Corto Dorico?
La specificità consiste proprio nei corti, perché il festival, negli anni, è riuscito a diventare un punto di riferimento nel mondo del cortometraggio, così come ci dicono autori, produttori e distributori. Tra i festival italiani si distingue specificamente anche per la grande attenzione che diamo al cinema dei diritti umani, all’impegno sociale per i diritti civili, infatti una sezione molto importante del festival è il concorso internazionale Short on Rights, Acorto i diritti, in collaborazione con Amnesty International. Una collaborazione che ci onora e che porta al festival tutta una serie di corti internazionali da oltre sessanta Paesi, che trattano specificamente il tema dei diritti civili.
Quanto è complicata l’organizzazione di un festival come Corto dorico?
Tanto, davvero, perché è un festival che si sviluppa su otto giorni, una settimana intera più due weekend. Alla fine, quest’anno siamo arrivati ad avere ottanta appuntamenti, tra proiezioni, incontri, concerti, panel, masterclass, formazione con le scuole, quindi una mole di lavoro ingente, da pensare e organizzare prima, da realizzare poi.
Luca Caprara
Dal tuo osservatorio, che momento vive il cortometraggio?
Da un certo punto di vista, è un momento molto interessante perché, per esempio, quest’anno, e parlo solamente del concorso nazionale, abbiamo avuto un record di iscrizioni, ben trecento corti. Poi vedo, verso questa forma di narrazione cinematografica, un sempre maggiore interesse da parte di quello che non è il mondo prettamente del cortometraggio, con produttori di lungometraggi che guardano e osservano con crescente attenzione gli autori di corti per individuare nuovi talenti. Un rovesciamento negativo della medaglia è l’impressione di un certo appiattimento, nel senso che troviamo sempre più raramente quell’opera folgorante che ti abbaglia con la sua originalità. Poi va sottolineato che la qualità media dei cortometraggi che ci arriva è altissima, anche quella dei prodotti italiani è assolutamente degna di nota.
Che bilancio possiamo fare di questa edizione?
Il bilancio è quello di un festival che ho definito della ripartenza, dopo tutto quello che sappiamo essere successo a causa del covid. Essere il festival della ripartenza significa che, rispetto all’anno scorso, abbiamo avuto numeri in crescita, ma senza ancora raggiungere, nell’intero arco della manifestazione, le stesse cifre di presenza del 2018 o 2019, cioè tutto ciò che era prepandemico. Un festival è un modo molto immersivo di vivere il cinema, ma sconta anch’esso l’invasività delle piattaforme. Noi siamo un festival per il pubblico, ma anche per gli autori e gli addetti ai lavori; è un evento importante per un territorio come il nostro e, quindi, mi viene da dire che l’edizione 2022 segna la volata per qualcosa, tanto più che quella del 2023 sarà l’edizione del ventennale del Festival, quindi sono estremamente fiducioso e proiettato già verso la prossima edizione.
La sala proiezioni della serata finale del festival
Quali sono i momenti che più porterai dentro di te di questa edizione?
Questa domanda entra in un contesto emotivo, del rapporto che uno instaura con tutto il gruppo di lavoro del festival, importantissimo. Io dico sempre, fin dalla conferenza stampa iniziale, che io sono quello che è davanti al microfono, ma, dietro, c’è un gruppo straordinario che si adopera per costruire il festival, una struttura composta da tante persone. Un po’ si può paragonare a un film, il regista è quello che ha i crediti principali, ma, senza tutta una squadra di lavoro dietro, nessun film si farebbe. Poi ci sono i momenti che sono legati alle giornate del festival e lì, sinceramente, capisci che stai facendo bene quando gli autori, grazie al festival, trovano un loro pubblico o un collegamento con l’industria del cinema. È questo che ti dà il senso della necessità dell’esistenza, ancora, di un festival, non solo Corto dorico, l’essere, cioè, un qualcosa al servizio di un territorio, di un pubblico, dei giovani studenti all’interno di un percorso formativo. È questo che, sia io che gli autori dei film, in un modo o nell’altro, ci porteremo dentro.
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