Una strepitosa Barbara Lennie è la protagonista di Quando Dio imparò a scrivere, un coinvolgente thriller diretto da OriolPaulo, presentato al 70°San Sebastian International Film Festival e ora disponibile su Netflix.
Un capolavoro di follia e genialità.
Una straordinaria rappresentazione di una vicenda in bilico tra realtà e delirio, ambientata in un manicomio, luogo ideale per mutare la menzogna in verità e viceversa. Quando Dio imparò a scrivereè un film appassionante che disorienta la percezione dello spettatore, mettendo in crisi le sue convinzioni.
La trama di Quando Dio imparò a scrivere
Alice è un’investigatrice privata, affascinante e intelligente, che si fa ricoverare, di sua spontanea volontà, in un manicomio con lo scopo di far luce su un omicidio avvenuto tempo prima. Le cose, però, si riveleranno più complicate del previsto.
Quando Dio imparò a scrivere Un’avvincente partita a scacchi
L’attrice spagnola Barbara Lennie, Premio Goya 2015 come miglior attrice non protagonista per la sua partecipazione al film El Nino, si cala nei panni dell’investigatrice, Alice, ingaggiata dal dottor De Olmo per scoprire cosa si nasconde dietro la morte di suo figlio.
Una premessa classica per un thriller che, in Quando Dio imparò a scrivere, diventa occasione per sovvertire le regole della narrazione classica e lineare. Attraverso le indagini di Alice, all’interno del manicomio inizia un’avvincente partita a scacchi con due abili giocatori che alternano mosse impreviste per mettere sotto scacco l’avversario. Alice è uno dei due formidabili scacchisti, l’altro invece, è Samuel Alvar (Eduard Fernàdez), il primario del manicomio. Lo spettatore assiste allo scontro tra personalità forti e narcisistiche e viene ingannato ripetutamente sullo stato reale delle cose.
Il manicomio: la verità diventa menzogna
L’ambientazione, poi, il manicomio, diventa un luogo ideale dove confondere verità e menzogna, delirio e realtà. I personaggi della storia sono travolti da una spirale di eventi inaspettati e misteriosi a cui le due parti in gioco riescono, in ogni modo, a dare un senso rendendo veritiera la loro realtà. Ma in più di due ore e mezza di visione si è continuamente posti dinnanzi all’interrogativo: è verità o follia?
Il regista Oriol Paulo(Mirage) e gli sceneggiatori Guillem Clua e Laura Sendim danno al film una struttura complessa e affascinante. Una costruzione a specchio, dove si duplicano e poi si moltiplicano i vari punti di vista. Lo spazio del manicomio si dilata, come avviene per il tempo della narrazione, composta da due tracce che si inseguono, per poi sovrapporsi, negandosi a vicenda.
Quando Dio imparò a scrivere tra genio e follia
“Se Dio ci ha creato come una calligrafia perfetta, i pazienti che finiscono qui sono come le linee storte di quando Dio imparò a scrivere”.
È ciò che afferma Alvar alla polizia, quando sono in corso le indagini per una morte avvenuta nel manicomio, mentre Alicia cerca di scappare con l’aiuto degli altri internati. È questo il momento in cui le due linee temporali del film si congiungono: è ora che lo spettatore abbia nuovi elementi che chiariscono finalmente le zone scure. Il fascino di Quando Dioimparò a scrivere, però, consiste proprio nel posticipare il più possibile lo scioglimento della vicenda.
Follia, genio, verità, menzogna, delirio e realtà si rincorrono per l’intera durata del film dove lo scontro tra Alice e Alvar diventa sempre più forte.
Alice vs Alvar
Lo spettatore, nella prima parte del film, non può far altro che solidarizzare con Alice e individuare in Alvar il male. La scoperta, poi, che il primario ha accettato una grossa somma di denaro dal marito di Alice, lo rende ancora più rivoltante. Ma poi il confronto tra la donna e dottor De Olmo mescola ancora una volta le carte in tavola e la situazione si ribalta.
La narrazione di Quando Dio imparò a scrivere procede facendo un passo in avanti e due indietro, rendendo la vicende sempre più avvincente. Ogni nuovo elemento si incastra alla perfezione nell’ingranaggio di una rappresentazione geniale, dove tutto può succedere.
La sceneggiatura, la regia e il cast
Il film è costruito su una sceneggiatura perfetta, valorizzata da una regia potente e mai scontata. Oriol Paula dimostra di conoscere alla perfezione le tecniche del genere thriller e, nonostante la lunga durata dell’opera, riesce a tenere il pubblico incollato allo schermo con continui colpi di scena.
Non è per nulla esagerato proporre un confronto con i maestri del brivido, ormai entrati nell’Olimpo del cinema. Inoltre, la scelta di ambientare l’intero film in un manicomio permette di inserire all’interno della storia personaggi inquietanti, misteriosi, folli e allo stesso tempo geniali. Il nano, l’uomo elefante, i gemelli e il pazzo che sa di essere pazzo danno al lungometraggio un’atmosfera ripugnante e ammaliante allo stesso tempo.
Quando Dio imparò a scrivere ha ricevuto ben sei candidature al festival di San Sebastian, tra cui quella per l’attrice protagonista. Senza nulla togliere all’intero cast, ad emergere è, infatti, proprio Barbara Lennie. L’attrice dimostra di avere grande talento e una grossa dose di eclettismo. Riesce ad essere una donna spietata e diabolica, per poi diventare una povera vittima derubata della propria libertà e non solo. Barbara Lennie è in grado di rendere sullo schermo un personaggio accattivante già in sceneggiatura. La sua interpretazione dà ad Alice un tocco seducente che inganna e soddisfa di continuo.