Barbarian è un film diretto da Zach Cregger e disponibile su Netflix e Disney Plus.
Ci sono alcune cose che si ripetono come un mantra, nella critica specialistica sul cinema: tra cui l’abitudine di indicare il cinema horror come uno tra i generi che ha fortuna imperitura da sempre al botteghino (basta vedere, nelle confortanti classifiche del boxoffice di novembre, come si è difeso il pur mediocre Gli Occhi Del Diavolo), ma soprattutto come uno dei più attenti alla realtà che ci circonda, dal punto di vista culturale e sociale ma anche da quello metatestuale.
Barbarian di Cregger sta qui a dimostrarlo.
LA TRAMA
A Detroit per un colloquio di lavoro, Tess (Georgina Campbell) arriva in città a notte fonda e durante una pioggia torrenziale: davanti all’appartamento che ha affittato per il suo soggiorno, scopre anche che l’alloggio è stato già affittato e prenotato, erroneamente o meno, dall’agenzia per due volte a due persone differenti.
C’è già infatti Keith (Bill Skarsgård), un ragazzo all’apparenza innocuo e amichevole, che offre alla donna la possibilità di dormire sotto lo stesso tetto per la notte: inizialmente dubbiosa, considerando le circostanze avverse decide di accettare.
Ma durante la notte Tess trova la porta della cantina aperta con delle luci accese. Malauguratamente, decide di scendere: la sua vita non sarà mai più la stessa.
CONOSCERE LE REGOLE PER INFRANGERLE
Cregger conosce a menadito le regole non scritte dell’horror, conosce ogni meccanismo della paura e sa bene come prendere all’amo lo spettatore, dal meno smaliziato al più scafato: perché Barbarian fin dalle sue primissime inquadrature gioca con chi guarda, con le aspettative che crea e con il già visto, che rielabora felicemente e con guizzi geniali.
Ma nello stesso tempo -senza potere e volere svelare assolutamente nulla della trama piena di detour e svolte inaspettate- Barbarian non è paragonabile a nulla di conosciuto: perché ha la struttura di tesseratto, che ruota all’interno dello spazio quadrimensionale.
Ampliando la sua struttura interna e lasciando inalterata quella interna, il film opera continui stravolgimenti dei canoni narrativi, anche a costo di trasformarsi in più film in uno, ma restituendo un’operazione ricca e vivida come poche altre nel panorama contemporaneo, che si lascia leggere su più testi rimanendo ugualmente affascinante sia dal punto di ista politico e sociale sia da quello cinefilo. Dimostrando quanto l’horror sia ancora oggi capace di riflessioni lucide e stringenti.
L’incipit di Barbarian nasce, nelle intenzioni del regista, dalla volontà di mettere in scena le intuizioni del saggio The Gift of Fear, specialmente nelle pagine dove viene detto quanto le donne dovrebbero fidarsi del proprio intuito in relazione agli uomini.
INCUBO REAGANIANO
La paura che interessa a Cregger è quella stratificata, che ingloba dentro le componenti culturali e i retaggi identitari di ogni società: la prima parte, con uomo e donna messi a confronto nella fiducia l’uno dell’altro rimanda ad un’analisi sui retaggi dietro la forma e la sostanza.
Senza dovere svelare nulla del seguito, da qui in poi la visione e le metafore si allargano come cerchi nell’acqua: e passano dal confronto individuale ad una dimensione più estesa, approfondendo lo sguardo sulla cittadina di Brightmoor, il sobborgo più degradato di Detroit.
Sprofondando Barbarian in un incubo terrificante dove tutto è sinonimo di una sconvolgente caduta sociale, dove il dolore e la miseria producono solo altro orrore e sono figlie di una politica che ha investito nelle modalità sbagliate, abbagliando con un nuovo sogno americano tirato a lucido ma così accecante da far cadere la popolazione operaia in una trappola.
Come conseguenza di tutto questo, l’opera di Cregger corre su binari sempre più veloci fino ad assumere, nell’ultima parte, una velocità folle di esecuzione mista ad una follia di impulsi barbari, sfilacciando non solo la narrazione ma anche la struttura dell’orrore. È un viaggio, un sentiero che parte dall’America reaganiana e arriva fino al fondo del tunnel più oscuro di oggi, perso in dimensioni frantumate che confermano quello che si sa da sempre: siamo barbari, e lo saremo sempre.