Film d’esordio del regista torinese Mattia Temponi, il fanta-horror El Nido, esplora le paure dei nostri tempi in modo originale e profondo. Distribuito da Minerva Pictures, disponibile in streaming su Amazon Prime Video.
El Nido: La storia
Sara (Blu Yoshimi) e Ivan (Luciano Cáceres) sono due sconosciuti che condividono uno spazio creato ad hoc, denominato El Nido, per proteggersi da un virus spaventoso che trasforma gli esseri umani in una sorta di zombie.
Quelle quattro mura diventano il porto sicuro ma anche la prigione dei due protagonisti: Sara ha contratto il virus e Ivan se ne prende cura dosando medicinali, iniettando sieri, controllando ossessivamente il suo stato di salute. Per la ragazza, l’uomo è il suo “supereroe” e il suo carceriere: il loro rapporto rischia di diventare più dannoso del virus stesso.
La metamorfosi di Sara
El Nido riflette paure e ossessioni della contemporaneità; il mondo distopico del film appare, spaventosamente, simile a quello reale.
Temponi concepisce il film prima del Covid 19, una sorta di “premonizione” filmica che racconta l’incubo claustrofobico delle quarantene, la paura della morte, la strenua lotta per la salvaguardia della propria salute, l’alienazione dell’individuo, costretto a vedere “l’altro” come una minaccia, un possibile “untore”.
Il messaggio del film viene rafforzato attraverso il processo di immedesimazione che coinvolge lo spettatore: Sara è una ragazza come tante che viene colpita dalla sconosciuta malattia mentre la rifugge disperatamente. La sua trasformazione è lenta, graduale, dolorosa, sanguinolenta; il suo corpo cambia e lei, pian piano, si disumanizza.
Ivan (che non a caso, di cognome fa Romero) osserva questa metamorfosi, monitorando costantemente la sua paziente, cercando di controllare gli effetti devastanti del virus. Ma qui entrano in gioco i limiti dell’umano: “nessuno è un supereroe” – sembra dire Temponi, scegliendo, ironicamente, questo nomignolo per Ivan.
In altre parole, nessuno può avere l’assoluto potere e la pretesa di salvare qualcuno.
El Nido da luogo sicuro e inviolabile si trasforma, pian piano (proprio come Sara) in un inferno più spaventoso della minaccia, fuori da quelle mura, e che si cerca di sconfiggere con ogni mezzo.
Temponi realizza un fanta-horror sui generis con le suggestioni dei zombie movie romeriani, pur rispettando gli stilemi del genere: solitamente le trasformazioni negli horror avvengono in maniera rapida, se non istantanea. Non assistiamo al percorso dell'”infetto” o del “mostro” perché, essenzialmente, non dobbiamo entrare in empatia con lui.
Il regista rovescia la prospettiva e ne fa il punto di forza del film. “Io non sono la mia malattia, sono ancora una persona” – dice la protagonista che si aggrappa, con le unghie e i denti, all’ultimo scampolo d’umanità. Il virus è qualcosa, di terribile, che le è capitato ma che potere ha su di lei in quanto Sara?
El Nido si avvale di una buona fotografia che predilige le tonalità scure per esaltare il senso di estraneità e di costrizione in cui si ritrova la paziente. Il fulcro dinamico della storia si concentra, quasi esclusivamente, sulla relazione tra i due attori che riescono a tenere viva l’attenzione dello spettatore, in una spirale di angoscia crescente.
Le relazioni più letali di un virus
Temponi ha descritto il suo film come “la storia di un abuso” in cui il salvatore, in realtà, è un aguzzino e “il mostro” una vittima.
Ivan impone le sue cure alla giovane paziente; la sua missione salvifica sembra essere più necessaria a se stesso che alla stessa Sara. Le circostanze gli conferiscono un potere che va oltre il suo controllo e diventa, abuso, si fa violenza.
Un sopruso quotidiano che si consuma tra le quattro pareti di un luogo protetto. Il regista usa questa relazione tossica tra i due protagonisti per affrontare un’altra piaga della contemporaneità, mettendo in luce le ombre che si agitano dentro di noi e che abitano non solo il mondo ma anche i nostri “microcosmi”, quelli che riteniamo sicuri ma che, in realtà, fagocitano le nostre paure, o peggio, ci rinchiudono in una gabbia.