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Taxidrivers Magazine

“Charlie Muffin” & “Hopscotch”

Tutto il cinema degli anni Settanta. Rubrica a cura di Paolo Gilli

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Ispirato dalla recente uscita cinematografica del bellissimo Tinker, Tailor, Soldier, Spy (da noi La talpa) di Tomas Alfredson, il sottoscritto è andato a rovistare nel polveroso cassetto dei film di spionaggio anni Settanta e ne è riemerso con due piccoli gioielli poco conosciuti. Charlie Muffin (1979) e Hopscotch (1980) sono due pellicole fuori tempo massimo, perlomeno per quanto riguarda il periodo d’oro degli spy-movie. L’innocenza dei primi 007 aveva lasciato da tempo spazio al cinismo più profondo, dettato anche dagli eventi reali nel mondo dei servizi segreti, soprattutto la faccenda “Kim Philby”, che – tra gli altri – fu anche la fonte d’ispirazione del romanzo di Le Carrè.

Charlie Muffin (A Deadly Game, per l’uscita cinematografica statunitense), tratto dal primo romanzo con l’agente segreto ideato da Brian Freemantle, è – a giudizio di chi scrive – tra i più godibili spy-movie mai realizzati. La pellicola, prodotta dalla Euston Films (gli stessi dello storico The Sweeney, conosciuto da noi come L’ispettore Regan) per la rete televisiva britannica ITV, conduce all’estremo l’idea dell’agente segreto inteso come “anti-eroe” . Siamo sulla scia di Harry Palmer (interpretato al cinema da Michael Caine), ma l’influenza anni Settanta fa la differenza.

Muffin, da un bel pezzo, non crede più nel suo lavoro (e rispetto al grande James Bond, la Moneypenny di turno se la porta a letto senza troppi complimenti) e tantomeno nelle ideologie. Questa indifferenza si rispecchia anche nell’aspetto perennemente trasandato e nell’atteggiamento sarcastico nei confronti dei suoi superiori. Considerandolo superato ed ignorante, la nuova direzione dei servizi segreti inglesi se ne vuole sbarazzare il prima possibile (rispecchiando la visione squisitamente inglese della società, che contrappone la classe lavoratrice e borghese all’upper class imperialista – cercate lo storico “Class Sketch” su youtube per essere illuminati a riguardo). Questa avventata, quanto sfortunata decisione dà il via a un’intricata vicenda tra servizi segreti britannici, americani e sovietici. Defezioni, false piste e strategie di controspionaggio disegnano un quadro complesso che si compone soltanto nell’imprevedibile finale. Riuscirà Muffin a farla franca anche questa volta? La risposta la riceviamo soltanto negli ultimi minuti del film.

Il contesto della guerra fredda ovviamente risulta superato, ma fornisce ancora una volta il miglior (e affascinante) palcoscenico su cui far muovere gli attori e infatti tutto, ma proprio tutto, funziona in Charlie Muffin. Innanzitutto, Jack Gold sa il fatto suo e bastano i primi tre minuti di film, con le riprese tutte ad altezza scarpe per rendersene conto. Regista di lunga esperienza ha lavorato sia per il cinema (da ricordare l’interessante The Medusa Touch con Richard Burton, il bizzarro spy-movie Who? con Elliott Gould, nonché il classico di Natale Il piccolo Lord con Alec Guinness), sia per la televisione inglese (The Naked Civil Servant con John Hurt, Fuga da Sobibor con Rutger Hauer e Alan Arkin, The Tenth Man con Anthony Hopkins). Gold riesce a mantenere sempre alta la tensione, senza rinunciare per questo allo humour satirico tipicamente british, elevando così il film nettamente sopra la media. Un regista che andrebbe riscoperto il prima possibile (magari fino a che è in vita), visto anche che attualmente solo una minima parte della sua filmografia risulta disponibile in DVD.

L’altro punto di forza è il cast. David Hemmings (Blow-up, Profondo Rosso) appare in rara forma e il resto degli interpreti non gli è da meno. Clive Revill (Modesty Blaise, The Assassination Bureau), Ian Richardson (all’epoca fresco, fresco dall’ottimo adattamento televisivo di Tinker, Tailor, Soldier, Spy con Alec Guinness nel ruolo di Smiley) e Sam Wanamaker (La spia che venne dal freddo, Assassinio sul Nilo), più una nutrita schiera di caratteristi della tv britannica, si divertono un mondo e la cosa si riflette sul film. In conclusione, Charlie Muffin, da noi totalmente sconosciuto con il titolo L’abbraccio dell’orso, è un must see per ogni amante del genere.

Dell’anno seguente invece è Hopscotch, diretto dal regista/sceneggiatore/direttore della fotografia Ronald Neame (Gambit, The Odessa File, The Poseidon Adventure, Meteor). Meno brillante di Charlie Muffin, il film rimane comunque un simpatico esponente del genere.

Walter Matthau interpreta l’agente Miles Kendig che, deciso a ritirarsi dal mondo delle spie, si inventa il seguente piano: nel caso la CIA tentasse di eliminarlo, Kendig manderà le sue memorie a tutti i servizi segreti stranieri. Quando la CIA si rifiuta di credergli, Kendig inizia a spedire un capitolo dopo l’altro. A questo punto, ai suoi vecchi capi non rimane altro che farlo eliminare ad ogni costo, prima di compromettere ulteriormente le proprie operazioni.

Il cuore di Hopscotch sta proprio in questo: il gioco tra il gatto e il topo, in cui quest’ultimo è decisamente il più furbo dei due, tanto da mettere continuamente a nudo l’incompetenza del governo. In un certo senso si tratta di una variante comica di I tre giorni del condor (Sydney Pollack, 1975), con cui condivide la stessa premessa. In ogni caso il film, tratto dal romanzo di Brian Garfield, rinuncia agli elementi più immediati del genere, ossia la violenza, il sesso e i gadget in stile bondiano, riportando il tutto invece ad un livello più realistico. Un Walter Matthau mattatore viene adeguatamente sostenuto da un cast che include Herbert Lom, Ned Beatty, Sam Waterston e Glenda Jackson (che in coppia con Matthau aveva già girato Visite a domicilio).

Hopscotch all’epoca ebbe un successo di pubblico discreto e fu distribuito anche da noi con il titolo demente Due sotto il divano. Nell’insieme un film divertente, dal ritmo piacevolmente pacato e dal tono contenuto. Per chi volesse recuperarlo, esiste il bel DVD della Criterion Collection.

Paolo Gilli

 

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