La lunga corsa è il secondo lungometraggio di Andrea Magnani, dopo il felice esordio di Easy – Un viaggio facile facile. La pellicola, passata in in concorso al 40esimo Torino Film Festivalè in sala dal 24 Agosto distribuita da Tucker Film.
La lunga corsa il Trailer del film
La lunga corsa: trama
Giacinto, figlio di due detenuti, nasce in carcere dove i genitori sono rinchiusi. Durante il battesimo il padre lo usa come scudo per evadere. Cresce in prigione tra una madre che lo ritiene un errore e Jack, il comandante delle guardie, che ne diventa il padre putativo. Il bambino non riesce a staccarsi da Jack e dal luogo di detenzione che ritiene la sua casa. Compiuti i diciotto anni, cerca in tutti i modi di restare, prima provando a farsi arrestare e poi diventando anche lui una guardia. Diventa anche amico di Rocky, un’anziana detenuta condannata al carcere a vita che lo spingerà a correre e lo iscriverà a una corsa campestre. Alla fine, dopo molte peripezie e resistenze, Giacinto si lascerà alle spalle la sua vecchia vita per iniziarne una nuova.
Una favola surreale
La lunga corsa è raccontata in un lungo flashback. Giacinto esce da un carcere e si avvia a una fermata di autobus. Mentre è in attesa, un’auto sbanda e si ferma sul ciglio della strada. Una donna sta per partorire e torniamo indietro di vent’anni al momento della sua nascita.
Favola surreale fin dall’incipit con il portone di un carcere che è una fantasia. Così come i personaggi stralunati.
Adriano Tardiolo porta la sua espressione di eterno stupore verso il mondo, che aveva anche al suo esordio in Lazzaro felice di Alice Rohrwacher nel suo Giacinto, uomo-bambino. Il Jack di Giovanni Calcagno, fin dal nome, è una maschera, un’illusione, ribadita da una recitazione che lo avvicina più a un personaggio da fumetto. Così come l’organico del carcere composto da personale femminile diretto da una donna monocola con la benda all’occhio destro (che cambia a ogni scena) interpretata da Barbara Bobulova.
E a ben vedere, tutti i personaggi, nei gesti, nelle parole, nelle espressioni, sono derivati da un immaginario infantile. La stessa scelta delle divise delle guardie che, più che quelle dei carcerieri, appaiono le uniformi dei piloti di aereo o di hostess, oppure le camionette vecchio stile molto improbabili. Così come il carcere: pura metafora della gabbia in cui Giacinto vuole vivere.
Uccelli da gabbia e da voliera
Del resto, se già Andrea De Carlo scrisse agli inizi degli anni Ottanta il suo secondo romanzo dal titolo emblematico Uccelli da gabbia e da voliera, Andrea Magnani la sua seconda pellicola la immerge nella grande metafora del prigioniero contento.
Che si sia dietro le sbarre da condannato, volontario come Giacinto o come Jack, siamo in un mondo che è un’intera prigione, perché la prigione ce la portiamo sempre con noi. Anche nella casa del comandante ci sono sbarre alle finestre. Così come il padre malato della direttrice vive in un appartamento in cui il balcone è chiuso da sbarre. Insomma, siamo tutti in gabbia, piccola o grande che sia.
Del resto, Giacinto corre in modo meccanico, con il busto in avanti e le braccia indietro distese lungo il corpo, quasi a imitare il movimento di un uccello che prende la rincorsa per spiccare il volo. Ma l’uomo-bambino non vuole, perché preferisce restare nella sua comoda gabbietta accudito da Jack e dalla detenuta Rocky, simulacri di un padre e una madre che lo hanno abbandonato. E, forse, la divisa da “pilota” di Jack può essere congruente con un personaggio che decide chi può “volare” via.
La lunga corsa vs. Easy
Al suo secondo lavoro Andrea Magnani scrive un’altra favola come aveva già fatto con Easy. Autore della sceneggiatura, il regista ha dichiarato di essersi ispirato ai ricordi affettivi della sua infanzia vissuta in un piccolo paese, con la voglia di fuggire, di viaggiare e conoscere il mondo.
Così se in Easy il personaggio interpretato da Nicola Nocella è costretto a intraprendere un viaggio che lo liberi dalla sua silente depressione e trasformi la storia in un road movie, La lunga corsa appare come l’altra faccia della medaglia in cui è messa in scena la staticità della vicenda.
Dobbiamo dire, però, che il risultato non è dello stesso livello. Manca la poesia e la perfetta alchimia del cast che c’era nel primo film. In Easy, il regista italiano ha lavorato in sottrazione sia nella scrittura sia nella direzione degli attori. Al contrario, La lunga corsa soffre di un eccesso di accumulo favolistico – sia nei dialoghi che nella messa in scena – che lo rende spesso fin troppo meccanico e programmatico.