Distribuito da Universal Pictures in Italia Anche io – She said di Maria Schrader (nota per la miniserie NetflixUnorthodox e per il film I’m Your Man del 2021) raccoglie commenti entusiastici per il suo indiscutibile valore di denuncia dello scandalo Weinstein (da cui è iniziato il movimento #MeToo).
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Anche io – She Said. Dall’inchiesta giornalistica al libro e al film
Encomiabile, infatti, l’intenzione di portare su grande schermo (fra i produttori si annovera Brad Pitt) la ricostruzione della fatica e del lavoro instancabile e intrepido di due reporter del New York Times, Megan Twohey e Jodi Kantor, poi premi Pulitzer. Autrici del libro da cui è tratto il film: She Said: Breaking the Sexual Harassment Story That Helped Ignite a Movement, interpretate rispettivamente da Carey Mulligan e Zoe Kazan (nipote del famosissimo Elia).
Ecco il trailer di She Said
Anche io: Da perversione a sistema di sopruso
Quella che viene inizialmente indagata come squallida pratica di un pervertito uomo di potere ai danni di giovani e promettenti assistenti e attrici si rivelerà infatti un vero e proprio sistema trentennale di coercizione, di violenza fisica e psicologica, abuso, reiterata riduzione delle donne a silenzio e sudditanza psicologica – la regista stessa ha affermato:
“In She Said c’è qualcosa di più grande di Weinstein”.
E se questo succede a Hollywood, nei confronti anche di star dai nomi altisonanti (Gwyneth Paltrow, l’unica che Weinstein sembra davvero temere, Ashley Judd – qui nel ruolo di se stessa -, Rose McGowan…), quali e quanti soprusi avvengono negli uffici, nelle aziende e in altri posti di lavoro anche del mondo fieramente occidentale?
(From left) Megan Twohey (Carey Mulligan) and Jodi Kantor (Zoe Kazan) in She Said, directed by Maria Schrader.
La tradizione del cinema d’inchiesta
In linea con il tradizionale ed elettrizzante cinema d’inchiesta americano, da Deadline USA di Richard Brooks (1952) a Tutti gli uomini del presidente di Pakula (1976), fino ai più recenti Il Caso Spotlight (Tom McCarthy, 2015) e ThePost (Steven Spielberg, 2017), nei quali fanno capolino finalmente anche donne degne di nota, She Said tenta il colpaccio di costruire un’opera che, nel rispetto del genere, sia tutta e solo al femminile. E, per riuscirvi, nonché per amore di verità e completezza, fa incarnare alle due protagoniste tutti i ruoli che la donna è effettivamente chiamata a ricoprire nella società contemporanea. Madre impegnata con sensi di colpa nei confronti dei figli; partoriente (con tanto di depressione post partum, finalmente ammissibile); moglie disattenta nei confronti di mariti e padri da manuale, che non rimproverano loro le tante mancanze (devono essere evidentemente stati scelti con oculatezza dalle protagoniste, tanto sono comprensivi e servizievoli).
Accanto a quelle delle due giornaliste, tante sono poi le figure femminili che emergono: si tratta delle numerose vittime, anche illustri, del predatore Weinstein, spesso intervistate a mezzo busto, quasi si volesse rimandare alla forma del documentario che arpiona all’oggettività, ma poi si decidesse di prendere le distanze dal genere per spingere l’acceleratore sull’emotività attraverso i loro ricordi dolorosi. Questi vengono restituiti anche con frequenti flashback giocati sul piano del sonoro, sul fuori campo o, di contro, su primi e primissimi piani di vittime giovani e innocenti, che il tempo e la percezione del fallimento hanno fatto sfiorire e reso reticenti. Perché ancora prigioniere di accordi legali che le vincolano al silenzio e, di fatto, garantiscono l’impunità a Weinstein.
Silenzio e voce di donna
Proprio queste denunce che faticano fisicamente a farsi voce sembrano il grumo attorno al quale si sono cristallizzate intere esistenze di capaci assistenti e aspiranti attrici, condannate al fallimento lavorativo ed esistenziale. In questo tentativo di ritratto a tutto tondo della donna, non mancano nemmeno le conniventi, che si tratti di avvocatesse, attrici grate per le opportunità concesse dal grande produttore e potenziali crocerossine (tra queste, Lisa Bloom, figlia di una stimata leader femminista e legale delle vittime di Bill O’Reilly e dello stesso Trump, sui cui abusi, che non gli impedirono di essere eletto presidente Usa, si apre il film).
Per desiderio di completezza e brama di restituzione della complessità, della verità per cui solo se denunciassero tutte insieme ognuna troverebbe la forza di farlo (alla fine della vicenda saranno più di 80 le donne che avranno denunciato Weinstein, condannato a 23 anni di carcere), però, risultano troppe le figure appena abbozzate, la cui esistenza filmica si riduce talvolta a una testimonianza o a un’omissione, a cui segue in maniera automatica una manciata di secondi di meta-riflessione del personaggio coraggioso, o al contrario pavido, con se stesso.
(From left) Jodi Kantor (Zoe Kazan) and Megan Twohey (Carey Mulligan) in SHE SAID, directed by Maria Schrader.
Più forti di così
Ecco, tutto questo, insieme ai primi piani della Kazan con i suoi occhioni azzurri e sempre lucidi, pronti alla commozione, insieme alla regia che in maniera meccanica alterna luoghi e momenti di lavoro a quadretti familiari più o meno idilliaci, non giova alla causa. Appare infatti didascalica la rappresentazione della donna, che può, meglio di chiunque altro, grazie alle sue doti di empatia e sensibilità, di coraggio e determinazione, a costo di una stanchezza cronica che vale la pena. Davvero queste donne così determinate e in gamba devono lacrimare tanto, mostrando fragilità e stupore per gli obiettivi raggiunti, in antitesi con le intenzioni e lo scopo del film, che fa rimpiangere tutti gli uomini del presidente…?!