«C’è la guerra in questa foresta; non una guerra che è stata già combattuta, né una che lo sarà in futuro, ma una qualsiasi guerra. E i nemici che lottano qui tra loro non esistono a meno che noi non li facciamo esistere…Solo le forme sempre uguali della paura, del dubbio e della morte, provengono dal nostro mondo. I soldati che vedete parlano la nostra lingua e sembrano nostri contemporanei, ma il loro solo paese è la mente».
Con queste parole, recitate dalla voce fuoricampo, si apre Fear and Desire, il primo film di Stanley Kubrick del 1953. Fino a pochissimi anni fa era difficilissimo reperire e vedere questo lungometraggio, misconosciuto se non addirittura odiato dal grande cineasta che lo definì a posteriori “un tentativo serio fatto in modo inetto”. Il maestro non ne parlava affatto volentieri come del successivo Il Bacio dell’assassino e addirittura non ne consentiva la visione.
Dunque per il suo esordio Kubrick sceglie una storia di guerra, tema non a caso ricorrente nella sua filmografia.
Quattro soldati di un esercito non identificato si ritrovano in una foresta dietro le linee nemiche dopo l’abbattimento del loro aereo. Decidono quindi di costruire una zattera con cui discendere il fiume presente nelle vicinanze per ricongiungersi con il proprio esercito. A causa del passaggio di un aereo nemico si rifugiano nuovamente nella foresta dove s’imbattono in una serie d’imprevisti che renderanno estremamente complicato e difficile il ritorno alle linee amiche.
Kubrick ha fin da subito le idee molto chiare sulle sue opere: ne vuole il più totale e assoluto controllo e in questo suo debutto oltre alla regia cura la fotografia, il montaggio, la produzione e il montaggio del suono. La sceneggiatura invece, decisamente esile e poco strutturata, la scrive a quattro mani insieme all’autore del soggetto Howard O. Sackler.
Per realizzarlo si fa prestare da amici e parenti diecimila dollari, anche se il film alla fine ne costerà quasi quarantamila per problemi dovuti alla post sincronizzazione. Distribuito da Joseph Burstyn, importatore di film europei negli Stati Uniti, suscita una certa attenzione della critica ma viene quasi ignorato dal pubblico.
Le principali debolezze del film risiedono nella sceneggiatura e nel soggetto, da cui è tratta, che presenta spesso dei dialoghi e dei monologhi piuttosto pretenziosi e maldestri che invece, nelle intenzioni dei suoi autori, sarebbero dovuti risultare poetici. È un film fortemente antimilitarista, così come lo saranno altre opere del grande cineasta, di ben altro spessore, come Orizzonti di Gloria o Full Metal Jacket. Attraverso il soldato Sidney, interpretato dall’attore e futuro regista Paul Mazursky, ci viene mostrato tutto l’orrore e la follia della guerra e s’intravede, seppur debolmente, una delle prime maschere kubrickiane divenute un vero e proprio marchio di fabbrica nei film a seguire.
Da notare la bella e notevole fotografia in bianco e nero ed i movimenti della macchina da presa, definiti all’epoca “alla Rashomon” per il sottobosco picchiettato di luce che ricordava, appunto, il grande film realizzato da Kurosawa pochi anni prima. Sicuramente in questo suo debutto il giovane Kubrick, appena 25enne, presta molta più attenzione agli aspetti tecnici (ricordiamoci che fin da ragazzo si fa notare come brillante fotografo) a discapito della storia e della direzione degli attori dove, invece, si dimostrerà maestro assoluto nelle opere a venire.
Un debutto per certi aspetti non riuscitissimo ma che contiene già molti elementi ricorrenti nella filmografia kubrickiana come il messaggio antimilitarista, la totale mancanza di fiducia nei confronti del genere umano e un certo onirismo riconducibile ad alcune opere dello scrittore Arthur Schnitzler, l’autore di Doppio Sogno da cui verrà tratto Eyes Wide Shut, ultimo capolavoro del grande cineasta newyorkese.