Cinque stanze di Bruno Bigoni, presentato al Torino film Festival (fuori concorso, sezione Fedeli alla linea) arriva in sala dal 25 Settembre. Il film è distribuito da Altamarea Film, in collaborazione con l’Università di Milano, IULM.
Il cast: Riccardo Magherini, Debora Zuin, Federica Fracassi, Gaia Carmagnani.
Cinque stanze Trama ufficiale del film
K è un uomo ormai anziano, sposato da più di trent’anni con Lara, poco più giovane di lui. Il loro è stato un matrimonio d’amore, ma il lutto per la morte della figlia di quattro anni, che li ha colpiti ancora giovani, li ha lasciati fragili e disperati. Soprattutto da parte di K c’è stato un allontanamento, che nel corso del tempo è diventato indifferenza e sopportazione nei confronti di Lara.

Riccardo Magherini e Federica Fracassi (Silvia, nel film)
Cinque stanze Esordio
Il film inizia in una maniera a dir poco struggente. Un uomo anziano (forse invecchiato un po’ precocemente), siede sulla panchina di un parco. Potremmo essere in una città qualunque in questo bianco e nero che non si compiace dei contrasti; anzi sembra voler insistere sul grigiume che ammanta tutta la storia. Un dolore soffocato, lo sconforto fatto di rimpianti, sensi di colpa, vuoti e assenze.
K. legge la lettera della moglie che lo ha abbandonato per andare a morire lontano da lui, come non fosse degno di questa condivisione. Eppure lei lo chiama tesoro mio, scambiando dopo una vita, ancora, la debolezza di lui per fragilità, come dovesse proteggerlo, comunque sempre. Gli scrive di aver cura di sé, di comprare la frutta dal fruttivendolo anche se è più cara e di portare le camicie a stirare dai cinesi che lo sono meno. Di compare il latte fresco, più sano e più buono.
Ci ricorda Lisa, la moglie di Tony (Ricky Gervais) che nella serie Netflix, After Life, dal monitor del computer raccomanda al marito di portare a spasso il cane, chiudere il gas, non bere troppo, quando lei non ci sarà più. In After life un lutto inconsolabile per troppo amore; in Cinque stanze, invece, per l’incapacità di comunicare affetto.
La dimestichezza coniugale, però, quella confidenza che non si rinnoverà mai più dopo la morte di uno dei due, non può fare a meno di commuovere.
Cinque stanze Gli ambienti e i tempi
Poi le situazioni si ripetono, come le giornate del lutto sempre uguali, un lutto carico di rimpianti, sensi di colpa, occasioni perdute. La narrazione è divisa in cinque capitoli, uno per ogni stanza e ognuno preceduto dall’immagine di un tessuto, a pois o a fiori (una tenda, un vestito di Lara?). Ad indicare la familiarità? La casa, si sa, è altamente simbolica per la strutturazione e l’individuazione del Sé. Ma troppo tardi si fa luogo della mente, e dell’anima, per il nostro protagonista, che si muove spaesato, spesso ripreso in un lato della scena. È nettamente in posizione centrale invece nell’ultima, mentre guarda il mare, e ci fa ben sperare in un’apertura, finalmente.

Ultima scena del film di Bruno Bidoni
I tempi sono quelli successivi alla morte di Lara, e di poco precedenti, in cui la vita di coppia è ritratta con un realismo avvilente. Quando c’è lei, tutto è perfettamente in ordine; quando non c’è più i suoi vestiti sono ammucchiati ovunque. La sua presenza sostituita da gonne e camicette sul letto, sul divano, appese ai mobili, e dal fantasma che ogni tanto si intravede nello specchio. Oltre a quello della loro bambina morta a quattro anni.
Nella seconda stanza, quella da letto, la solitudine di K., è intollerabile, accompagnata a tratti dai ricordi di una sensualissima giovane Lara. In un passato recente, prima che lei se ne vada, le tocca il seno; ma che modo maldestro di accarezzare una donna!
In altre sequenze, invece, lo si vede con Silvia, l’amante che si è stancata di aspettarlo perché lui non ha saputo scegliere.
Il personaggio, I personaggi
Il disamore per Lara è tutto racchiuso in quel gesto di toccarle il seno, che avrebbe potuto essere una carezza, e non lo è stata. Quante carezze sono andate perdute? Quali parole non sono state dette? Da quanto tempo? Anni o decenni, non sappiamo. Possiamo immaginare che la morte della bambina li abbia allontanati, ciascuno a covare il dolore privatamente (“Da quando è morta Nina io sono diventato di pietra”). D’altra parte, Bruno Bigoni, che ha scritto la sceneggiatura con il supporto di Beba Slijepcevic, alla tragedia dedica solo una brevissima sequenza: un’immagine a colori e un grido spiazzante.
Dovrebbe esserci antipatico quest’uomo senza qualità, ma l’allusione a Joseph K., nel cognome, ce lo rende meno distante, anche perché la sua sofferenza tardiva è sincera, come il suo rimuginare ad alta voce nel silenzio delle stanze .
Lara, rassegnata, finge di credere ai doppi turni e ai viaggi di lavoro del marito. È più giovane di lui, molto più gradevole d’aspetto. Eppure, rimane lì, in un legame spento, complice di quelle assurde nevrosi coniugali che si consumano in due.
“Hai visto cosa ci ha fatto… cosa ci ha fatto il tempo? Cancella il desiderio, cambia le cose, stabilisce le regole”. Lara parla più che altro con stessa, e per se stessa, avendo ormai rinunciato a un possibile recupero.
Silvia è la presenza più vitale: comunica energia all’uomo ingrigito e impigrito che è diventato K, ma non abbastanza da fargli rinunciare alle stanze abitate con Lara, cariche di disattese e vuote di promesse.
La regia di Bruno Bigoni
Cinque stanze ci si propone con una struttura complessa, che frantuma il tempo e lascia a noi il compito di riordinarlo. Complessa, ma non complicata, come in alcuni film che hanno bisogno di tutta la nostra logica per afferrarli. Qui passato prossimo, passato remoto e presente sono montati volutamente senza linearità, ma non compromettendone la comprensione.
Il bianco e nero è interrotto dal colore quando il ricordo si fa più intenso. Ribaltando la consuetudine di riservarlo alla memoria. Di solito è il presente ad essere colorato, ma c’è poco colore da dare a questa desolazione.
La fotografia discreta gioca con le tonalità del grigio e non pretende di stupire con le contrapposizioni. Curatissima, nelle visioni d’insieme e in alcuni dettagli in casa, come i piatti accatastati nel lavello, le cornici della cassettiera, o le scarpe allineate ai piedi del letto.

Cinque stanze: una bella immagine del film
Splendida la canzone I baci di Alessio Lega, nella chiusura di questa tristissima, ahinoi quotidiana, narrazione. Un monito, per tutti, sull’importanza degli affetti e su come non bisognerebbe mai darli per scontati.
Intervista di Veronica Ranocchi al regista, Bruno Bigoni:
‘Cinque stanze’ il regista Bruno Bigoni racconta il suo film – Taxidrivers.it