1899 è la nuova serie ideata e diretta da Baran Bo Odar, autore del pluricelebrato Dark; gli otto episodi che la compongono sono disponibili dal 17 novembre su Netflix.
La trama di 1899 la serie
Maura Franklyn è solo una dei 1600 passeggeri del piroscafo Kerberos, transatlantico che porta dall’Europa all’America una gran varietà di persone e personaggi. La maggior parte dei quali sta fuggendo da qualcosa del proprio passato o della propria vita, sperando di trovare nella nuova terra una nuova esistenza.
Invece Maura sembra avere altre tipologie di scheletri nei suoi armadi, così come il misterioso capitano della nave: tutto esploderà quando incontrano, in mezzo all’oceano, il Prometheus, altra nave della stessa compagnia del Kerberos scomparsa misteriosamente quattro mesi prima.
1899 la recensione della serie
Si parlava, qualche tempo fa, della bellezza di Dark “nonostante l’ermetismo narrativo, l’estrema difficoltà per entrare nel mondo creato da Baran Bo Odar, l’apparente arroganza per come è trattata una materia così delicata e sofisticata”. Attesissima per una lavorazione durata quasi quattro anni, la nuova creazione del regista svizzero conferma nel bene e nel male la qualità del suo lavoro, ma soprattutto la complessità delle sue costruzioni narrative, così articolate e stratificate da essere una mosca bianca in un panorama seriale dove la trama orizzontale diventa prevalente su quella verticale e il breve tragitto fa da padrone su una programmazione narrativa che si accorcia sempre di più.
È più che altro per questo, e non per reali aderenze nella trama, che 1899 (ma come d’altronde anche Dark) può essere paragonata a Lost, oramai pietra angolare della narrativa per immagini moderna. Tutti e tre viaggi iniziativi, tutti e tre racconti che si disvelano pian pino mostrando dapprima solo la superficie in un inganno per gli occhi e per la mente, tutti e tre piramidi di senso e di significato a volte fin troppo alte da scalare.
“La mente è più estesa del cielo: perché messi fianco a fianco, l’’una conterrà l’altro con facilità, e te anche.
La mente è più profonda del mare: perché siedili azzurro contro azzurro, e l’una assorbirà l’altra, come una spugna un secchio assorbe”: quale dichiarazione d’intenti più chiara di questa frase, posizionata proprio all’inizio del primo episodio di 1899?
Che inizia come un thriller ma si apre a nuovi territori, esplorando strade inedite e inquiete. E qualsiasi cosa, ad ogni episodio, lo spettatore crede di aver capito o meglio intuito, verrà irrimediabilmente scardinato dalle rivelazioni che arriveranno subito dopo.
1899 procede con incedere lento e sinuoso, ipnotico quasi, mentre lascia apprezzare il gusto di Odar per le ambientazioni cupe e insolite (questa volta una nave: una vera e propria sfida scenografica, vinta in pieno, che permette l’utilizzo di tonalità, atmosfere e geografie impossibili altrove) e la sua regia virtuosa, che si estende ad un controllo totale sulla messa in scena fino alla musica.
Infatti, quello che probabilmente lega i suoi show è il loro posizionarsi, al di là del genere, in un’estetica innegabilmente steampunk, con le sue musiche dissonanti e stranianti, estrapolate da un contesto culturale e asservite ad un altro cronologicamente fuori posto, ma anche le sue tecnologie -apparentemente- anacronistiche, se osservate nel luogo e nel tempo in cui sono inserite.
Così come Dark “metteva al centro della sua narrazione l’impossibilità dell’uomo di scegliere il proprio destino: e insieme, la certezza che Spazio e Tempo, pur essendo determinazioni che governano la nostra vita, sono concetti prettamente umani, e come tali finti e finzionali, coperte di comodo per dare un senso e una finitezza a qualcosa che senso e finitezza per definizione non ne ha: l’esistenza”; in maniera simile e adiacente, 1899 trova la sua giustificazione narrativa mettendo al centro la percezione della realtà, investigando sulla distanza tra ciò che viene percepito e ciò che effettivamente è reale.
Ricerca che diventa luminosa nell’ultimo, sfavillante episodio che esalta le caratteristiche dello show e rimanda ovviamente ad un prosieguo, anche se Netflix non ha ancora confermato una seconda stagione.
Questo mentre si affiancano altre tematiche profonde e scure come l’oceano dove navigano i protagonisti, come l’elaborazione del lutto e della perdita, l’autodeterminazione e il senso di colpa: linee parallele che intersecano continuamente quella principale, aggrovigliandovisi senza pericolo di confusione.
Perché la scrittura è limpida e precisa, facendo sì che la descrizione dei personaggi risulti lucida e centrale: anche con l’aiuto di una simbologia spintissima ma sempre centrata, che passa dalla caverna di Platone alla letteratura di Philip K. Dick (creatore dei Simulacri così come li intendiamo oggi nella sci-fi) ai dipinti di Goya, dallo scarafaggio egizio alla piramide greca, che sembra essere proprio il centro focale del mistero.
Ad esempio, per capire insieme. La piramide all’epoca era chiamata MR, pronunciato MER: due segni consonantici ricchi di significato, con il prefisso M che indica il luogo, ed R che designa l’atto di salire, quindi luogo dell’ascensione. La piramide è il simbolo della perfezione: corrisponde alla terra e alla stabilità, perché il Mistero Divino si esprime attraverso 3+1=4 (3 è Dio, 4 il Mondo), e i quattro quadrati che partono dal quadrato di base della Piramide terminano con Uno, il piramidon (la sommità), ovvero il divino.
1899 è così: complessa nel dispiegarsi ai nostri occhi, essenziale nella spiegazione.
E calda e avvolgente nella visione, proprio come un percorso iniziatico.