Fa una certa impressione immergersi nella visione di The Face of a City, documentario brevissimo ma di notevole impatto, proprio mentre le notizie che arrivano dall’Iran continuano a essere niente affatto rassicuranti. Come se, per un cortocircuito dell’immaginario, una questione migratoria sedimentata negli anni si fondesse all’improvviso con tutta la drammaticità del presente.
Uno sguardo sfumato sulla città
Diretto da Farhad Pakdel, cineasta iraniano stanziato a sua volta in Canada, tale lavoro è ora in programma al Festival Mente locale – Visioni sul territorio, manifestazione cinematografica emiliana della quale ci stanno colpendo sia la qualità della selezione che l’interesse per determinati temi sociali.
Spaccato di una realtà disorientata, in evidente fase di disgregazione, The Face of a City ha innanzitutto il merito di rappresentare quelle difficili scelte di vita, che conducono in qualche modo all’esilio, attraverso un susseguirsi di rapidi frammenti la cui natura impressionista, intimista, riconduce comunque a una collettività in affanno. Man mano che i personaggi incontrati dall’autore si avvicinano alla partenza, ogni inquadratura si satura di potenziali ricordi, ossia di interni domestici, zone di transito, campi coltivati ed esercizi commerciali in procinto di essere abbandonati per un lasso di tempo difficilmente prevedibile, tant’è che come sottolineato dallo staff festivaliero “gli spazi della socialità si trasformano in luoghi della memoria”.
Leaving Teheran
E se forse non avremmo disprezzato un prolungarsi delle interviste, per conoscere meglio il background di tali famiglie, al regista Farhad Pakdel va senz’altro riconosciuta la capacità di condensare il senso dell’attesa in scene fortemente evocative; compresi quegli scorci cittadini che sembrano già maturi per sfumare nel ricordo, come nel caso di uno dei luoghi simbolo di Teheran, la Torre Azadi, inquadrata qui in un modo volutamente sfuggente.