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Il valore del cinema indipendente | Intervista a Fabrizio Ferrari, direttore del RIFF
Ecco il resoconto della nostra intervista al direttore atistico del RIFF, Fabrizio Ferrari.
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2 anni agoon
Giunto alla sua ventunesima edizione, il RIFF – Rome International Film Festival conta, da anni, sulla passione, sull’impegno e sulla solerzia di Fabrizio Ferrari, direttore artistico della kermesse e piacevole interlocutore della nostra intervista.
Tra salti nel passato e uno sguardo rivolto verso il futuro, Ferrari ha raccontato la nascita del RIFF e quali sono alcuni degli eventi più attesi, sottolineando l’importanza del cinema indipendente, ma non solo. L’edizione 2022 del Rome International Film Festival si tiene dal 17 al 25 novembre, tra il Cinema Aquila, la Sala Troisi e l’Institut Francais.
Come è nata questa avventura del Rome Indipendent Film Festival?
Venticinque anni fa mi trovavo in America, per lavoro e per amore. A Los Angeles tutto riguarda il movie business. Prima avevo fatto un altro tipo di attività commerciale, poi lì sono stato coinvolto in questo mondo. Ho cominciato a collaborare con un festival, che si chiamava Moxie – Santa Monica Film Festival; ora non c’è più. Mi sono trovato molto bene, perché potevamo vedere i film insieme, facevamo la selezione, cercavamo sponsor, curavamo l’organizzazione e via dicendo. Quando sono tornato a Roma, sono stato un anno così, non sapevo veramente cosa fare della mia vita.
Un giorno, mi sono svegliato, proprio con l’idea di voler fare qualcosa per la mia città e per il mio paese.
Non sapevo che tipo di attività svolgere. Poi è nata questa idea e ho chiamato il mio amico, il direttore del festival di Santa Monica, e gli ho proposto un gemellaggio. Non sono un esperto di cinema, non ho studiato, ma ho fatto delle piccole esperienze sul set, come assistente fonico e fotografo di scena. Ho seguito alcuni film indipendenti e non, ho lavorato addirittura con un premio Oscar.
Il tuo sguardo da “non esperto” potrebbe essere un valore aggiunto a questa realtà e alla manifestazione.
È anche un po’ quello che chiedo alle persone che collaborano con me, che sono tutte giovani, alcune volontarie, altre, per fortuna, ora vengono retribuite. Ci tengo a sottolineare che, per i primi 2-3 anni, ho dovuto farmi conoscere, perché è un mondo molto chiuso questo, con soli 18.000 euro di budget. Poi sono riuscito a vincere i bandi e a prendere i contributi dal Ministero, dal Comune e dalla Regione senza nessuna raccomandazione, e con dei punteggi molto alti.
Già dal 2002-2003, la meritocrazia ha cominciato un pochino a funzionare.
E questo è anche un incoraggiamento per i giovani che, come me, vent’anni fa pensavano che senza raccomandazioni non si va avanti. Io e lo staff siamo stati premiati. Non è solo una questione di selezione, quindi di avere un’esperienza a livello cinematografico, visivo o altro, perché è il pubblico in sala che decide. L’importante è avere un gusto e capire se c’è una storia, qualcosa che ti emoziona.
Da spettatore che tipo di cinema prediligi?
Vedo un po’ di tutto, perché l’importante è che ci sia una storia che ti emozioni, che ti lasci qualcosa dentro. E il giorno dopo, quando ti svegli, ripensi a quella scena, a quell’evento.
Una volta finita la selezione per il festival, mi guardo Masterchef magari…Avrò bisogno di qualcosa per distrarmi.
Dopo quattro mesi di film e documentari sul sociale, sulla politica, sulle pandemie, sulle guerre. Abbiamo, per esempio, un documentario sul Brasile, The Wind Blows the Border, in apertura, che riguarda proprio la situazione politica, culturale, ma soprattutto ecologica, di alcuni paesi del Terzo Mondo. Poi passiamo al documentario di Christian Carmosino (Il paese delle persone integre, ndr.), che parla delle elezioni in Burkina Faso.
Quali sono i titoli, gli eventi e gli ospiti più attesi?
Mi auguro uno di questi sia Alice di Krystin Ver Linden, che verrà dall’America a presentare il film. Selezionata tra i dieci migliori registi esordienti da Variety, la sua opera è passata al Sundance ed è una storia vera, interpretata da Keke Palmer (Nope) e incentrata su una schiava in una piantagione in Georgia, negli anni Settanta-Ottanta. Un’opera prima incredibile, che fa parte della nostra sezione Black Films Matter. L’appuntamento è previsto per il 18 novembre, alle 21.30, al cinema Troisi.
Poi c’è Loving Memories di Guillaume Bureau, che sarà un’anteprima mondiale, che uscirà nelle sale francesi nel 2023. Ancora non l’hanno finito, manca il montaggio finale. Per questo lo stiamo aspettando, così come due film italiani. Opere freschissime, che stanno finendo in questi giorni, quindi in anteprima assoluta.
Quanto le location contribuiscono a creare la giusta atmosfera per godere dei film e condividere le emozioni?
Il cinema Troisi è nuovissimo, con una capienza di oltre 300 posti. Sta facendo un lavoro incredibile su Roma, con eventi presentati dai protagonisti, dai registi. Lì veramente si vive un’emozione grande, grazie anche alle ultime tecnologie. Anche il Nuovo Cinema Aquila, sebbene abbia qualche anno in più, crea la stessa atmosfera. Il problema è un altro: noi abbiamo cercato di utilizzare diverse location, per esempio l’Istituto Francese, come strategia per cercare di riavvicinare il pubblico al cinema.
Sappiamo benissimo che c’è una profonda crisi, ormai da anni. Tutti vedono contenuti dal telefonino, col Covid la situazione è peggiorata; comunque c’è stato un allontanamento da parte dei giovani, soprattutto in Italia. Abbiamo voluto, quindi, cercare di decentralizzare, per permettere ai giovani di partecipare al festival, utilizzando anche le due biblioteche, la Mameli e la Collina della Pace, per fare degli incontri. Anche il prossimo anno cercheremo di coinvolgere sempre di più gli studenti di cinema, portando magari anche lì da loro i registi per delle masterclass.
Bisogna saper creare una giusta atmosfera.
È importante che regista e cast siano presenti in sala, per creare un’atmosfera piacevole, interessante, come stanno già facendo alcuni cinema di Roma.
Qual è la soddisfazione più grande ottenuta con il RIFF?
Io sono contento di avere con me persone che lavorano, spesso e volentieri con un compenso minimo, ma con la stessa passione, la stessa intraprendenza e lo stesso coraggio che ho io. Ormai sono vent’anni e comincio a essere anche stanco, però vedo tanti giovani che hanno la stessa passione e la voglia, ed è ciò che mi permette di andare avanti. Questa è la cosa che mi rimane di più.
Il cinema indipendente, secondo te, come si inserisce nel panorama italiano?
Il cinema indipendente si inserisce bene nel panorama italiano, ma sono i distributori che si inseriscono male.
Noi presentiamo come film di chiusura, fuori concorso, Troppa famiglia di Pierluigi Di Lallo, con Ricky Memphis. Un film indipendente, fatto con pochi finanziamenti pubblici, che meriterebbe di uscire in sala. Ma sappiamo bene che in sala escono solo i film che hanno una grossa distribuzione. Da qualche anno, da quando abbiamo il digitale, saranno 10-15 anni, è possibile realizzare film a low budget, avendo poi un prodotto ad alto livello. Penso a Spaghetti Story di Ciro De Caro, che quando uscì al Cinema Aquila con noi fu un successo. Poi lui è stato molto bravo a spingere il suo film.
Il problema è poterli far fruire e lì, all’inizio, è dipeso anche dalla tv pubblica, che finanzia la produzione di film con soldi pubblici che poi la televisione pubblica non inserisce nel palinsesto. È una cosa assurda. Mi sembra che, in questi ultimi anni, le cose siano un po’ cambiate. I film riescono a uscire, a essere visti sia in sala che sui canali Rai. Con l’avvento delle piattaforme streaming sono stati anche acquistati; durante il periodo del Covid anche quelli più importanti.
Tra le persone che frequentano il RIFF vi è mai capitato di imbattervi in qualche distributore?
I distributori sono abituati ai grossi mercati, vanno alla ricerca anche di film non ancora prodotti, per accaparrarsi i diritti. Cercano soprattutto i film grandi, che possono portare al cinema e incassare. Con quelli che presentiamo noi è un po’ difficile, anche se c’è qualcosa. Quest’anno ne abbiamo diversi, che sono piccolini, indipendenti, ma forti.
Noi, per esempio, presentammo Hunger, il primo film di Steve McQueen, con Michael Fassbender, prima che diventasse famoso. Abbiamo avuto due o tre titoli, i cui registi, allora sconosciuti, hanno poi avuto una carriera. Ogni tanto riusciamo ad avere un titolo importante, che magari l’anno successivo riceve premi e arriva a sfondare. Quest’anno non si sa ancora…
Un sogno nel cassetto che ancora non hai realizzato con il RIFF.
Il Comune di Roma e la Regione Lazio hanno fatto un lavoro riguardo ai finanziamenti, agli aiuti, sia alla produzione che alla promozione, in maniera esemplare. L’unica cosa che non vedo bene è il lavoro che sta facendo il Ministero dei Beni Culturali, credo sia un po’ indietro. Spero che il nuovo Ministro riservi più attenzione ai festival meritevoli.
Ci sono 10 festival che prendono l’80% del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo, ndr.), ovvero tra i 100mila fino ai 4 milioni di euro, e ci sono poi 200 festival che prendono tra i 5 e i 20mila euro. Bisogna fare una selezione e capire bene chi sostenere. Ecco, il mio sogno è che anche al Ministero dei Beni Culturali ci sia un pochino più di attenzione nella selezione e nella ripartizione di questi fondi, cosa che invece la Regione e il Comune hanno fatto splendidamente. Anche a livello di burocrazia, di presentazione, di rendiconto e di personale.
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