Passato per il Florence Queer Festival lo scorso ottobre, BLACK AS U R è un documentario di Micheal Rice. Da spettatore italiano e bianco, mi pare opportuna la premessa che un racconto così personale, e immerso in una realtà di vita che non è la mia, debba essere commentato con cautela. Con la consapevolezza di non poter comprendere a fondo certe dinamiche.
Una questione nella questione
Le vicende infuocate che ha vissuto l’America negli ultimi anni, e soprattutto le rivolte contro il razzismo – sistemico e violento – che ancora oggi affligge le persone nere, sono il punto di partenza dal quale l’autore pone una domanda. Anzi, una, chiamiamola così, questione nella questione: “Do all Black lives matter, or only heterosexual Black lives?”

In altre parole, l’omofobia esiste – e in che quantitativo – all’interno della comunità nera americana? Una fascia di popolazione storicamente discriminata, come si comporta con le persone che, all’interno della stessa, sono parte di un’altra minoranza? Il regista prova ad esplorare una questione chiaramente scomoda e spinosa. Il Movimento #BlackLivesMatter, esploso a fine maggio 2020 dopo l’uccisione di George Floyd, ha portato per le strade americane (e di tutto il mondo) milioni di persone, di ogni tipologia, per urlare con forza che il razzismo non è più accettabile.
Spesso si cade nell’errore di pensare che, se una persona vive sulla propria pelle un determinato tipo di discriminazione, debba necessariamente essere sensibile anche a quelle di cui soffrono gli altri. Ma si tratta appunto di una semplificazione che non trova riscontro nella realtà. D’altro canto, basti pensare a quante suddivisioni interne e lotte intestine attanagliano le formazioni politiche.
Rice esplora allora, grazie a molteplici testimonianze, di studiosi, docenti e persone appartenenti alla comunità black e queer americana, la questione dell’omofobia, che lui ha subito in prima persona, tra le persone nere. Uno dei mantra del film è proprio “ALL Black Lives Matter”: tutte le vite nere contano, a prescindere dal loro orientamento sessuale.
Come sottolinea la dottoressa Charlene Sinclair, presenza ricorrente nell’ora e mezza di documentario, “Belonging Is A Privilege”. La sensazione di appartenenza a un gruppo, a una community, è già di per sé un privilegio. La maggior parte delle persone intervistate, però, ha sofferto sulla sua pelle cosa voglia dire essere discriminati e non accettati anche dalle persone che dovrebbero essere un porto sicuro nella propria vita.
Il film è accattivante nella sua costruzione
Per quanto gli argomenti trattati siano evidentemente non leggeri né piacevoli, l’ora e mezza scorre benissimo.
Da un lato perché la questione viene sviscerata in molte sue sfaccettature, spesso non considerate, dall’altro perché la costruzione registica aiuta a mantenere viva l’attenzione. Tra una testimonianza e l’altra, assistiamo ad alcuni estratti della preparazione di uno spettacolo teatrale del regista stesso, al divertimento street di un gruppo di persone queer che accendono la propria personalità e creatività ballando per il metrò e per la strada, ad alcune performance musicali.

É una costruzione visiva accattivante, che non distoglie il focus dalla questione principale, ma l’accompagna nel modo giusto, per immergere ancor più gli spettatori nella realtà raccontata.
Assistere a sprazzi “concreti” delle vite rappresentate è un bonus che il film sfrutta in modo accattivante.
Una conclusione propositiva
La problematica non verrà senz’altro risolta in breve tempo. Di questo anche l’autore stesso sembra essere ben consapevole. Tuttavia, il finale dà un twist di positività alla narrazione. Ascoltiamo come un ragazzo transgender si senta finalmente chiamare dal padre con il suo giusto pronome, quello maschile. E come, dopo aver passato momenti di difficoltà estrema, una ragazza transgender abbia coronato il suo sogno di diventare una modella.

“There is an environment to create: you are always loved“, chiosa Sinclair. L’ambiente giusto, ideale, in cui ogni persona dovrebbe crescere e vivere, dev’essere di accettazione ed amore. Senza penalizzare chi, in qualsiasi modo, differisce dalla normatività sociale, che si tratti del colore della pelle o dell’orientamento sessuale.