Il sempre più ricco catalogo home video di CG Entertainment (www.cgentertainment.it) si appresta a riscoprire in dvd le opere del cineasta indipendente Davide Manuli. Infatti, mentre già è annunciata l’uscita del suo Beket, ne lancia su disco Girotondo, giro attorno al mondo e La leggenda di Kaspar Hauser. Il primo dei due, oltretutto, nella sua versione director’s cut.
Girotondo, giro attorno al mondo (1998)
Interpretato da Luciano Curreli, Angelo ha appena perso il suo migliore amico, vittima dell’eroina. È infatti l’assurdo e degradato universo urbano di periferia che egli attraversa a fare da scenografia alla circa ora e venti di visione. Un universo tutt’altro che roseo popolato da prostitute, nomadi, travestiti e, ovviamente tossicodipendenti. Un universo che il regista sfrutta per concretizzare quello che è il secondo tassello della sua trilogia in bianco e nero dedicata alla tematica della solitudine. Trilogia avviata appena prima tramite il cortometraggio Bombay: Arthur road prison e conclusa con il sopra menzionato lungometraggio Beket, del 2008.
Un’operazione che potrebbe lasciar pensare ad una risposta tricolore al quasi contemporaneo Trainspotting di Danny Boyle. Ma che sembra, in realtà, più una rilettura fuori di testa del cult Amore tossico diretto dal compianto Claudio Caligari.
Un anarchico viaggio tra grottesche figure parlanti diverse lingue e non lontane da quelle che popolavano i surreali ritratti di borgata pasoliniani. Borgata retrò tanto realisticamente poco attraente quanto artisticamente affascinante. Quella che finisce per rappresentare un ideale involucro di sincerità, isolato da quello che è il moderno e apparentemente lindo mondo borghese. Mentre le riprese eseguite con macchina a spalla abbondano e, complice l’uso sempre funzionale della colonna sonora, il montaggio rende incalzante il tutto. Giustamente definito da Fabio Ferzetti de Il messaggero come un affresco dark della periferia che mescola in maniera assurda Abel Ferrara, Hal Hartley e il primo Kusturica. Con sezione extra costituita dal trailer e da dodici minuti di selfie-intervista con Manuli, l’attrice Simona Caramelli e Agostino Ferrente. Quest’ultimo regista de L’orchestra di piazza Vittorio, Le cose belle e Selfie.
La leggenda di Kaspar Hauser (2012)
Silvia Calderoni veste i panni di colui che, apparso improvvisamente dal nulla e arrivato galleggiando sulla riva di una spiaggia, è il Fanciullo d’Europa. Colui che è erede al trono, fatto sparire per oscuri motivi di potere quando era ancora piccolo. Colui che sconvolge con il suo arrivo gli equilibri degli abitanti di una terra desolata e senza tempo. Ovvero la Granduchessa, la Veggente, il Drago e il Prete, rispettivamente con le fattezze di Claudia Gerini, Elisa Sednaoui, Marco Lampis e Fabrizio Gifuni. Mentre a Vincent Gallo spettano sia il ruolo del Pusher che dello Sceriffo, impegnato ad accudire e proteggere nel suo fortino Kaspar. Man mano che ci si chiede se sia un santo, un idiota, un impostore o, semplicemente, il Re della grottesca combriccola. Immersa in naturali scenografie sarde tutt’altro che distanti da quelle che caratterizzano le immagini di tanti titoli western.
Scenografie che Manuli, dunque, sfrutta per affrontare a modo suo il misterioso fatto di cronaca risalente alla Germania dell’Ottocento. Fatto riguardante un giovane comparso in una piazza di Norimberga e che si scoprì aver trascorso buona parte della sua vita incatenato in una cella buia.
Fatto cui il tedesco Werner Herzog dedicò nel 1974 L’enigma di Kaspar Hauser. Film dal quale, facendo ancora una volta a meno del colore, il buon Davide prende totalmente le distanze. In quanto interessato a proseguire il discorso poetico intrapreso con Beket per confezionare stavolta un’operazione di fantascienza retrò. Per un’ora e mezza circa di visione dal sapore esoterico, spirituale e orientalista. Un’ora e mezza non priva di richiami bergmaniani nell’estetica e che attinge dichiaratamente dalla Nouvelle Vague anni Sessanta di Jean-Luc Godard. Ricordando attraverso un innovativo linguaggio che viviamo in una società priva di senso, di comunicazione e di umanità. Una società in cui Kaspar, appunto, è forse più normale di tutte le persone che lo contornano vedendolo come animale da circo. Il tutto accompagnato dalla bella colonna sonora elettronica di Vitalic (al secolo il parigino Pascal Arbez). Con trailer, galleria fotografica e ventotto minuti tra scene inedite e making of a fare da contenuti speciali al disco.