Il Mediterraneo è troppo spesso rappresentato come il mare dei mille conflitti. Luogo di transito e “confine” ma anche luogo ancestrale e dell’ignoto. Se si osserva dalla terra è chiara la percezione di immensità ma anche il senso di spaesamento che appare all’orizzonte, quando il nostro sguardo s’interrompe. É il mare che “sta in mezzo alle terre” ma che unisce e non per questo separa. In realtà, esiste un’unità profonda nel suo essere “barriera” e una netta identità culturale da narrare e difendere.
Il MedFilm Festival è l’unico evento cinematografico italiano dedicato alle cinematografie del Mediterraneo. Il Cinema Savoy di Roma, il MACRO, la Casa delle Letterature eITsART la piattaforma streaming dedicata all’arte e alla cultura italiana, promossa dal Ministero della Cultura, ospiteranno il fitto cartellone della XXVIII edizione.
Dal 3 al 13 novembre, in programma: 65 film, incontri con gli autori più importanti dell’area del Mediterraneo, meeting professionali, masterclass ed eventi letterari. Il MedFilm è un tuffo coraggioso in questo universo (come nell’immagine della locandina firmata da Gianluca Abbate) perché “Il mare non ha paese nemmeno lui – scriveva Giovanni Verga- ed è di tutti quelli che lo sanno ascoltare”. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Ginella Vocca.
Il Mediterraneo è il denominatore comune che lega l’eterogeneità territoriale e sociale che si trova intorno. Diventa così la principale identità europea?
É una strada da percorrere; un ponte che unisce e necessariamente diventa identità perché bagna le sponde di ventiquattro paesi, di cui tredici europei. Nel nostro festival vogliamo offrire un controcanto a quella che è la narrazione drammatica del Mediterraneo. Questo mare non deve essere solo associato al fenomeno degli sbarchi e dei respingimenti. Vogliamo essere complementari, raccontando la sua bellezza e la sua straordinaria energia produttiva e culturale.
Quali sono i topic affrontati in questa edizione?
Parleremo di potere, di come agisce sulle persone e come ne modifica l’esistenza. Altro tema sarà il sentimento d’amore e come questo può determinare le nostre scelte. Infine, lo sguardo al femminile del cinema. Quest’anno abbiamo una straordinaria presenza di autrici e registe non cercata, ma oggettiva. Quello che abbiamo riscontrato è che le donne della sponda sud, in particolare del Marocco e della Tunisia, sono le più attive sia dal punto di vista creativo che produttivo.
E il cinema italiano come racconta il Mediterraneo?
Come di consueto daremo spazio al nostro prodotto indipendente. Nella sezione Perle proporremo dei titoli molto stimolanti. Tre documentari che si interrogano sul senso del partire, del restare e del fuggire dal proprio paese: Kristos, l’ultimo bambino di Giulia Amati, Qui non c’è niente di speciale di Davide Crudetti e Non sono mai tornata indietro di Silvana Costa. Come evento speciale Un milione di italiani (non sono italiani) di Maurizio Braucci, un musical sul diritto di cittadinanza, ispirato dall’esperienza del regista e sceneggiatore, con le ragazze e i ragazzi del Centro Interculturale Officine Gomitoli della cooperativa Dedalus. E poi, cinque corti per guardare al futuro del nostro cinema: I Santi, Buon Natale, Il barbiere complottista, Tria – del sentimento del tradire, Le variabili dipendenti, diretti rispettivamente da Giacomo Abbruzzese, Viren Beltramo, Valerio Ferrara, Giulia Grandinetti, Lorenzo Tardella. Short film che parlano di futuro, tra utopia e distopia, tra prove di santità, fantasie familiari, ossessioni generate dai mutamenti sociali.
Sarà l’occasione per conoscere autori di quest’area che offrono uno sguardo nuovo del cinema?
Sì, abbiamo tantissimi ospiti. Ad esempio, è con noi l’attrice e produttrice Adila Bendimerad con la sua opera prima La Dernière Reine, il primo film in costume della storia del cinema algerino. Così come interessante è stato l’incontro con la regista tunisina Erige Sehiri di Under the Fig Trees. Film che ritrae con acutezza le relazioni umane narrando un fatto di cronaca. E poi, consegneremo il premio alla carriera a Lubna Azabal uno dei volti più intensi e sorprendenti del cinema mondiale. Ha lavorato con registi del calibro di André Téchiné, Tony Gatlif, Hany Abu-Assad, Denis Villeneuve, Ismaël Ferroukhi, Nabil Ben Yadir. Una grande opportunità per il pubblico di confrontarsi con interessanti autori e interpreti che presenteranno le loro opere.
E poi, c’è l’omaggio a Francesco Rosi
Chi meglio di lui ha raccontato il Mediterraneo? Lo ricordiamo in occasione del centenario della sua nascita. Rifletteremo sul suo cinema e ricorderemo anche Raffaele La Capria, suo amico e coautore. L’evento è in collaborazione con la Cineteca di Bologna. Proporremo l’anteprima della versione restaurata di Le mani sulla città e una masterclass che vedrà dialogare Alberto Anile, curatore della Cineteca Nazionale; lo scrittore Sandro Veronesi e Federico Pontiggia, consulente artistico del festival.
Una sezione è dedicata agli studenti delle scuole di cinema dei paesi del Mediterraneo. Quale sarà il cinema del futuro?
Questi ragazzi sono dei veri visionari. Arrivano dalle scuole di cinema di Italia, Albania, Francia, Grecia, Israele, Libano, Marocco, Slovenia, Tunisia e Turchia. Molti di questi giovanissimi autori hanno le idee chiare su ciò che ci aspetta. Sono propositivi e offrono delle possibili soluzioni alla crisi che viviamo in questa area del mondo. Ciò che mi sorprende è quanto siano focalizzati sul futuro, ognuno con la propria personale lettura. Si possono approcciare con nichilismo ma molti di loro, lo fanno con l’ottimismo della ragione e del sentimento.