Rita De Donato è uno dei personaggi del film I racconti della domenica di Giovanni Virgilio. Il film, distribuito da Movieside Distribution, è in sala dal 10 novembre. Per introdurre gli spettatori alla visione del lungometraggio abbiamo chiesto a Rita De Donato di presentare la sua Angelica.
L’Angelica di Rita De Donato
I racconti della domenica è un grande racconto corale. Tra i personaggi presenti, il tuo, quello di Angelica, è un pezzo importante del puzzle. Come hai lavorato per la realizzazione del personaggio? Ti sei ispirata a qualcuno o qualcosa? Cosa hai provato la prima volta che hai letto il copione?
All’inizio ho subito pensato che quello di Angelica era un personaggio con delle sfaccettature inusuali per il periodo in cui si svolge la storia. Poi, però, mi sono confrontata con il regista, che è anche autore. E proprio lui, in occasione della conferenza stampa, ha rivelato l’origine de I racconti della domenica. Parte da una storia vera: la vicenda umana e politica di suo nonno. Tutti i personaggi intorno sono, quindi, personaggi realmente esistiti, chiaramente rielaborati e reimmaginati per dar vita a una storia con delle caratteristiche in grado di rendere un film piacevole da vedere.
Io, quindi, mi sono ispirata ai racconti che il regista mi ha fatto di questo personaggio e ho provato a dare un taglio moderno. Angelica è una donna che prova un sentimento assolutamente proibito perché ha un innamoramento profondo e puro per un ragazzo che diventa prete. Ma lei non si arrende, è molto determinata. E questo mi (e le) ha permesso di dare anche una nota leggera al film. A tratti è anche buffa nella sua convinzione. L’ho amata molto perché è mossa dalla purezza di un sentimento che lei considera così vero e profondo tanto da sfidare anche le convenzioni del tempo. Anche se anche oggi sarebbe una cosa non facile da gestire.
Proprio per questo mi viene da dire che quello di Angelica è un personaggio molto moderno. Forse quello che fa da collante tra passato e presente all’interno del film.
È il personaggio meno convenzionale. Il regista mi ha detto che questa figura realmente esistita ha scelto poi di rimanere da sola; è rimasta fedele a questo sentimento fino alle estreme conseguenze. Quindi, in qualche modo, rappresenta, con tutte le caratteristiche del tempo, una forma di femminilità, di donna che sceglie liberamente cosa desidera anche se questo va contro le convenzioni di quel periodo. Ha una chiave di modernità rispetto agli altri personaggi del film. Si tratta di un film molto corale con tante figure e lei dà una nota leggera e allo stesso tempo moderna.
Il personaggio
Se dovessi descrivere con tre aggettivi il tuo personaggio quali useresti? Uno direi sicuramente moderna.
Sì, e poi per me Angelica ha rappresentato la purezza, quindi direi pura. E a tratti anche forse una forma di ingenuità, ma comunque di determinazione. Quindi, a parte moderna, direi determinata, pura e ingenua. In fondo è una sognatrice. Lei crede nei suoi sogni. Ho avuto una grande simpatia per questo personaggio. Anche perché per la realizzazione del film abbiamo affrontato tante difficoltà, tra covid e non solo e ci sono stati vari ritardi. Quindi Angelica è un personaggio al quale sono rimasta legata per molto tempo, per anni.
Quanto c’è di te in lei e viceversa?
Appena ho letto il personaggio ho pensato che eravamo molto diverse e che avrei dovuto fare un lavoro per allontanarmi dalle mie caratteristiche personali. Poi, in realtà, lavorandoci, non solo sul set, ma anche continuando a tenere questo personaggio vicino nei momenti in cui abbiamo dovuto sospendere e poi riprendere il lavoro, ho visto che ci sono dei lati in comune, ma trasposti in un’altra dimensione. Per esempio l’aspetto della determinazione nel credere in un sogno che porta ad avere fiducia e, appunto, determinazione e credere che tutto sia possibile anche quando il mondo intorno cerca di andare contro questa convinzione. Mi sono agganciata a questa nota molto positiva che non tiene conto dei no e dei giudizi, delle cose negative. Va dritta verso il suo obiettivo. Anche io, con più difficoltà, provo a essere così. Il lavoro sul personaggio è sempre un lavoro su di sé, anche quando il personaggio è molto lontano da noi.
Teatro e dialetto
Quanto ha influito la tua esperienza in teatro nel dare vita a questo personaggio?
È difficile risponderti perché io non riesco a separare le due forme. Sicuramente so che ci sono differenze tecniche, ma a livello attoriale non le separo e non credo nemmeno sia corretto farlo perché è un costruire che si basa sulle relazioni sia interiori che con gli altri personaggi. Si crea, in entrambi i casi, un personaggio e gli si dà vita in modo che chi guarda, che sia teatro o cinema, possa credere a quella storia e possa sperimentare i sentimenti, le emozioni, anche i pensieri. Per me l’aspetto relazionale viene prima di tutto che si sia sul palco o sullo schermo. Il teatro aiuta sicuramente come disciplina perché ci si prepara con estrema serietà e aiuta a tenere sempre chiaro l’obiettivo, che non è quello di apparire come persona, ma è quello di costruire un percorso in cui lo spettatore può entrare. Sono contenta di avere questo background.
Tornando a I racconti della domenica, nel film viene fatto largo uso del dialetto siciliano. Per te è stato uno scoglio o un aiuto a entrare ancora più in contatto con il personaggio?
In generale penso che il dialetto possa essere un aiuto. Nel mio caso, essendo calabrese, ho dovuto lavorare sulla costruzione di un dialetto credibile e autentico. Gran parte dei miei colleghi sul set sono siciliani e per loro è naturale. Il mio accento non è lontanissimo, ma è comunque diverso. Ho contattato una persona della zona e ho fatto uno studio per poter rendere al meglio. Fatto questo passaggio poi sono dell’idea che l’uso del dialetto dia una dimensione di verità alla narrazione anche perché parliamo di una storia che inizia negli anni 30/40 e attraversa quarant’anni di storia. Quindi anche a quei tempi l’uso del dialetto era ancora più diffuso. Un italiano pulito sarebbe sembrato più asettico.
Rita De Donato ne L’immensità
Faccio un piccolo passo indietro perché in questo 2022 sei già stata sul grande schermo con una grande produzione. Fai, infatti, parte del cast de L’immensità (distribuito da Warner Bros) di Emanuele Crialese. Cosa puoi raccontare di quell’esperienza? Com’è stato condividere il set con Penelope Cruz?
Questi due film che ho girato nel giro di tre mesi sono stati diversi per tanti motivi. Uno, I racconti della domenica, è un film indipendente, girato facendosi molto coraggio, l’altro è una produzione importante con una star internazionale, Penelope Cruz, e un regista che è un maestro riconosciuto, Emanuele Crialese. Quindi si tratta di due dimensioni completamente diverse da tantissimi punti di vista. L’esperienza de L’immensità è stata fondamentale. Avere accanto un’attrice come Penelope Cruz è come fare scuola fuori dalla scuola. Poterla osservare e condividere scene insieme a lei ha significato capire ancora e continuare a studiare.
Alla fine avendoli fatti quasi in parallelo, si può dire che hanno dei tratti in comune questi due film. Uno è sicuramente quello di essere entrambi ambientati nel passato.
Non ci avevo mai pensato (ride, ndr). Poi sono anche entrambe storie familiari. Ne I racconti della domenica la famiglia è più un motore di energia positiva, una fonte di sostegno e supporto. Ne L’immensità la famiglia, invece, ha un’altra luce: diventa un luogo dove i conflitti esplodono e i personaggi soffrono questa dimensione. Però sono entrambe storie italiane, dove la famiglia è al centro.
Non solo attrice
Oltre che attrice hai anche diretto un cortometraggio. Com’è stata quell’esperienza?
Sì, ho diretto un cortometraggio subito dopo l’accademia. C’era un concorso che prevedeva di scrivere delle sceneggiature per dei cortometraggi. Ho partecipato e sono stata selezionata. Da lì c’era poi la possibilità di realizzarlo e chiamare come interpreti tutti coloro che avevamo frequentato l’accademia da quando è stata fondata. Potevamo, quindi, fare proposte inimmaginabili. Siamo stati affiancati da Sergio Rubini. Abbiamo fatto sia la parte di scrittura che di regia e io ho scelto Maria Paiato che ha accettato entusiasta. Poi non mi sono più cimentata come regista di cinema, di audiovisivo. Mentre a teatro sì, continuo a lavorare anche da regista.
Non c’è quindi, per il momento, l’idea di tornare dietro la macchina da presa?
Per ora no, a teatro mi sembra di lavorare in una dimensione più intima e quindi mi ritrovo. Invece l’idea di gestire tanti aspetti che sono quelli di un film non è proprio nelle mie corde, ma mai dire mai.
Sogni e progetti di Rita De Donato
C’è un personaggio che vorresti interpretare? O qualcuno con cui vorresti collaborare?
Attori e attrici tantissimi e tantissime, ma non mi metto a fare nomi perché poi magari dimentico qualcuno.
Per quanto riguarda il resto mi piacerebbe che ci fossero donne, scritte, pensate e che sullo schermo possano diventare personaggi a 360°. Spesso subiamo l’essere messe, come personaggi, a lato (la compagna di, la moglie di, la fidanzata di). Mi piacerebbe vedere delle storie dove le donne sono raccontate nelle loro realtà, nei tanti aspetti diversi che ognuno di noi ha. E mi piacerebbe si mettessero in evidenza anche personaggi contraddittori, fuori dagli stereotipi.
Progetti futuri?
Ci sono due/tre progetti in ponte, ma ancora non posso rivelare niente.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli