Dopo aver passato circa un paio di settimane cercando di fissare un incontro per l’intervista, avevo ormai compreso che quello che mi dicevano alcuni amici comuni non era affatto un’esagerazione : sarebbe stato più facile avere un appuntamento con il presidente della repubblica che non con Helena Velena. Tra conferenze in giro per l’Italia, concerti, impegni vari ed assortiti, la nostra sembrava più introvabile del Mullhà Omar.
A complicare le cose ci aveva pensato un suo brutto scivolone su una bottiglia di birra, che, per i relativi punti di sutura prodotti, aveva causato l’annullamento del precedente appuntamento, faticosamente fissato incastrando i nostri rispettivi impegni come in una partita di tetris.
Per la serata di halloween si era aperta una finestra, ma, ovviamente, la cosa non era così semplice e tutto era rimasto in sospeso, subordinato ad una telefonata di conferma che Helena mi avrebbe dovuto fare in giornata.
Tic tac, il tempo passa, il telefono tace e, come nella canzone 10.15 Saturday night dei Cure, mi accingo mestamente a sbrigare le operazioni di chiusura del negozio, incassando l’ennesima buca, quando, alle 19.45, il telefono squilla e sul display lampeggia il nome : Helena Velena!
Certe volte è davvero sorprendente come basti una piccolo evento al momento giusto per mutare radicalmente uno stato d’animo pessimista e sfiduciato in pura euforia.
Fissiamo un appuntamento di lì ad un’ora e mezza, meglio cogliere l’attimo fuggente. Mi saluta, non prima però di avermi fatto prendere dagli scaffali del negozio un nutrito mucchio di libri che vanno dai saggi su rap e hip hop ai trattati di guerriglia, per delineare meglio l’eclettismo del personaggio.
Con Halloween dei Misfits come colonna sonora, raccolgo i libri e monto in macchina schiacciando l’acceleratore.
Chi frequenta l’ambiente delle sub-culture prima o poi finisce con l’incrociare Helena, così come quando, in un locale, prima o poi si finisce inevitabilmente davanti al bancone del bar.
Un benpensante la descriverebbe come una sorta di “Leonardo da Vinci del caos”, mentre lei amava definirsi guerrigliera semiotico-psychedelica. E da come riesce ad adattarsi ad ogni terreno di scontro culturale, artistico, politico o di genere, muovendosi come “un pesce nel mare” (Mao-tze dong), il termine guerrigliera direi che le calza a pennello.
Personalmente mi ricorda il film I folli dell’etere (Maurice Phillips,1986), e non uno, ma tutti i personaggi!
È tra le protagoniste del ‘77 Bolognese, Antifascista, tra le prime personalità del mondo della cultura a criticare da sinistra il monolitismo sclerotizzato ed imborghesito del PCI.
Conduttrice ed animatrice delle esperienze delle “radio libere”, il suo tocco sta dietro i maggiori gruppi della prima scena punk, ma anche delle ondate successive.
Oltre ai RAF-PUNK, in cui è coinvolta direttamente, passando dai CCCP ai Disciplinatha, fino ai Black Flag, ogni gruppo che ho ascoltato dall’adolescenza ad oggi sembra, in qualche modo, direttamente o meno, toccato da lei…Cribbio! Per un certo periodo ho anche avuto il batterista in “condominio”con lei.
Chiunque abbia visto il bel documentario Mamma dammi la benza di Luca Frazzi può farsi un’idea di come la Velena sia il trait d’union che accomuna un buon 70% della musica alternativa Italiana, ma, ovviamente, Helena è molto altro ancora. Fu tra le prime a rendersi conto delle grandissime potenzialità sociali e politiche del cyberspazio, di come fosse possibile rovesciare le modalità del rapporto uomo-macchina ed usarle come percorso di liberazione anziché di alienazione.
Si occupa di fantascienza e scrive romanzi, oltre ad essere un volto noto nei maggiori appuntamenti delle realtà esoteriche come il Pagan Pride. Non vive nessuna contraddizione nell’alternare giri di conferenze sugli argomenti più liminali ad apparizioni in situazioni decisamente più pop come TG2 dossier o Unomattina.
Ogni circostanza è buona per portare avanti le sue battaglie politiche e per i diritti civili, promuovendo la rivolta contro il capitale e la liberazione omosessuale. Già, perché Helena è una transgender e per usare le parole che mi dirà nel corso della serata: “nasce come maschietto etero”!
Ore 20.30, l’incontro.
La colonna sonora nell’autoradio è You spin me round dei Dead or alive .
Visibilmente azzoppata dall’ultimo scivolone, mi viene incontro barcamenandosi tra stampelle, ginocchiere e l’evidente insofferenza per la limitazione dei movimenti impostale da tutto l’armamentario.
Capelli neri e minigonna, bracciali e catene. Potrei dire normali o addirittura banali, se non fosse per il senso di consapevole provocazione di chi li indossa: lei, che fu tra le prime a sentire il bisogno di ricercare nell’estetica con la E maiuscola quel filtro interpretativo del reale per accedere ad una nuova forma di bellezza. Mica come quei ragazzotti un po’ poser che spendono 300 euro per un paio di anfibi da indossare solo il sabato sera al Black Out o giù di lì, millantando eccessi di ribellismo che non avrebbero mai il coraggio di ripetere nella vita di tutti i giorni…
L’impressione che ho è che in Helena essere ed apparire siano sapientemente miscelati, il risultato di una presa di coscienza iniziata molto tempo fa ed affinata in un divenire che continua nel quotidiano.
Ore 21, un bar quasi qualunque a Roma.
La colonna sonora diventa Lady Gaga .
Un bar dall’arredo rosa confetto, circondato da fighetti “acchittati” per la notte di Ognissanti che sembrano usciti da un film “horror campus” Americano di serie z e tutto intorno, sulle pareti, tre o quattro maxischermi che mandano a ripetizione video di Lady Gaga & cloni assortiti. Per citare Tompson : “ è il 4° reich … quello che sarebbe stato tutto il mondo alla moda il sabato sera se i nazisti avessero vinto la seconda guerra mondiale”.
“Cazzo è atroce!” – dico io. “Eh già” – sogghigna Helena. Non lo dice, ma nulla mi toglierà mai dalla testa che la vecchia punk che è dentro di lei sia incredibilmente soddisfatta per essere riuscita a scandalizzarmi.
“Beh, certo che è stata dura incontrarti” – esordisco prendendo tempo, mentre nella testa gli ingranaggi mi girano a tremila nel disperato tentativo di trovare un argomento per iniziare un’intervista con una donna che è praticamente tutto e, quel che è peggio, con cognizione di causa.
“Non me lo dire” – ribatte – “conciliare le mie due militanze mi prende tantissimo tempo e organizzarmi è sempre più difficile”. Qui capisco che sta prendendo in mano la questione ed io la lascio fare. In fondo un’intervista normale a Helena Velena sarebbe stucchevolmente professionale e, grazie al cielo, nessuno dei due può definirsi un professionista dell’intrattenimento: quello che ne viene fuori è una serata torrenziale, un fiume di parole in piena libertà, un brodo primordiale di idee, ricordi, progetti, una serata ad un livello di coscienza superiore, al quale in gioventù avrei potuto accedere solo grazie a qualche supportino psichedelico. Evidentemente invecchiare ha i suoi vantaggi.
Mi limito a dare un ordine cronologico a questo accavallarsi caotico di discorsi e ad incalzare sulle questioni che mi intrigano di più. Non sto facendo un’intervista, mi sto divertendo un mondo!
A sorpresa la sua folgorazione sulla via di Damasco non avviene nella Londra dei Sex Pistols, ma nella Bologna di Andrea Pazienza, e tali sembravano i personaggi reali che vi circolavano “come nei suoi fumetti” – precisa – “o come nel film Paz. Ti sembrerà incredibile, ma c’era gente che era davvero così. No, decisamente non potevi far l’infiltrato tra quei gruppi anarchici, dovevi fare una vita troppo assurda per una guardia”.
Helena inizia le sue prime esperienze a “Radio Alice”, infatuata della cosmic music tedesca e da un libro di Abbie Hoffman, “non quello dell’LSD” – ridacchia. Il titolo? Ruba questo libro, già una provocazione in cui si invita a rubare la sua opera. Miti e luoghi della sua formazione: Jerry Rubin e la sottocultura degli yippie .
Non resisto, la interrompo :“Questa non me la aspettavo. La madrina del punk è cresciuta con gli hippy!”; con pazienza mi corregge: “Non hippy ma yippie, molto più politicizzati e per nulla non-violenti.” E sull’argomento non-violenza la Velena ha un’idea per niente politically correct che parte dalle sue prime manifestazioni e arriva fino ai fatti del 15 ottobre. Raramente avevo sentito da sinistra parole di elogio per la Cina: “Altro che salvare il capitalismo, questi lo stanno fottendo alla grande!”, e fa un’analisi niente affatto scontata sulla Cambogia di Polpot, imputandogli in buona sostanza due grandi colpe: “l’aver esasperato i Vietnamiti, tanto da portarli ad una guerra, e l’aver preso soldi dagli Americani alla fine della sua parabola”. Le accuse sulle sue violenze sono, per lei, nient’altro che ipocrita buonismo, perché non si può normalizzare il disagio e non puoi chiedere educatamente diritti dei quali sei stato prepotentemente spogliato.
Mi riporta all’America pre-stonewall, alle condizioni della comunità gay, vessata da leggi che gli vietavano persino nell’intimo di indossare più di 5 capi di abbigliamento dell’altro sesso. “Solo dopo tre giorni di guerriglia”- considera Helena – “l’America ha guardato con altri occhi alla dignità e ai diritti di un gruppo di persone considerato marginale anche dai settori più liberal di quella società”. Poi torna in Italia e parla della “rossa Bologna” della fine degli anni ‘70, dove se eri lo strano dovevi scontrarti sia con i fascisti che con l’apparato repressivo del PCI, quello che, nella sua forma migliorista, era il più ostile a ogni forma di sovversione dello status quo: “Gay o punk che fossi venivi respinto in quanto diverso” .
Di tutte le definizioni che gli sono state date quella che preferisce è “anarco-situazionista”, e ride: “Me la diede un vecchio anarchico ai tempi in cui frequentavo il FAI” .
Ovvio che una personalità così eversiva dovesse inciampare nell’estetica punk.
Dei RAF-PUNK non ne parla come di un gruppo, ma come di un collettivo politico, e ricorda orgogliosa la produzione di materiale sovversivo targato con il nome di quella band, nonché l’idea di aver dato il là alle idee del Virus di Milano.
Altro discorso con la Attack Punk. Non parla volentieri del figlio più celebre di quell’etichetta : i CCCP. Ma insisto, le domande su quello che fu il mio gruppo preferito, e maggiormente formativo, sono tante, così lei glissa, e poi, alla fine, risponde, ma a me e basta. Mi chiede di non pubblicare.,
La capisco, la rispetto e non scrivo. Chi aveva delle curiosità se le dovrà tenere.
In compenso posso rivelare la verità sui Disciplinatha, accusati a lungo di filo fascismo. Helena se la ride di gusto: “Ma quale fascisti, era una presa in giro e ci sono cascati tutti! Pensa che il batterista era tesserato a Rifondazione”. Tuttavia, contiguo all’argomento è il tema degli anni ‘80, quando essere punk andava di moda, e Violentami di Jo squillo ne era l’esempio più tragico.
“Erano tutti in una scuderia di Milano” – risponde con lo sguardo serio con cui si valutano le occasioni perdute – “peccato perché tra gli organizzatori c’era anche il chitarrista degli Area e a Milano c’era già stata l’esperienza del Virus . Avrebbero potuto fare grandi cose. “
Non posso non riformularle una domanda a conclusione: “ Ma alla fine chi ha vinto: Jo squillo o la Attack Punk?”. Sorridente, ma lapidaria: “ La Attack Punk, senza dubbio. Jo squillo te la ricordi te e qualche amante del trash”.
Il tempo vola, senza rendermene conto abbiamo occupato il tavolo per più di tre ore. Lo realizzo soltanto quando incrocio lo sguardo un po’ seccato del gestore.
Rimane il tempo per un paio di domande sul presente. So che sta registrando il suo nuovo lavoro ed è appena tornata da una conferenza sul sadomaso.
Ovviamente vista l’attenzione mediatica sull’ambiente BDSM, dopo il caso di Soter Mulè, la questione è ineludibile.
Devo dire che, nonostante frequenti da anni gli ambienti SM, la sua risposta è stata qualcosa di assolutamente inaspettato, nei termini e nel tono…..:“Penso che Soter Mulè alla fine sia uno sfigato, uno di quelli che vive un brutto rapporto con la sua sessualità. Gente che sente il bisogno di far male per realizzare i propri desideri. I locali sono pieni di darkettine sfigate pronte a mandare in ospedale qualcuno per un po’ di divertimento che le aiuti a dimenticare le loro frustrazioni. Questa è gente che non ha mai letto De Sade, oppure non lo ha capito. La pratica SM rientra in maniera molto profonda nella sfera dell’amore, è una pratica continua e intima, uno scambio tra due persone che non vogliono distruggersi, ma darsi qualcosa.”
Rimango incantato, sicuramente non sono d’accordo con tutto quello che ha detto, ma del carrozzone di psicologi, medici, presentatori, esorcisti e via sciacallando che si è scatenato intorno ad una realtà molto fraintesa, dopo la morte di una persona, le parole di Helena sono quelle che più hanno fatto vibrare le corde del mio sentire.
Si è fatto decisamente tardi, è tempo di pagare il conto, con sollievo del padrone del bar, per il tavolo recuperato, e mio, per la fine del supplizio perpetrato a colpi di Lady Gaga.
Riaccompagnando Helena a casa, ci concediamo un hellzapoppin sulla situazione politica attuale, spaziando da Pannella ai film di fantascienza. Dieci minuti ed è tempo di salutarsi, finendo così uno degli Halloween più strani della mia vita, certamente tra i più divertenti.
Saluto La Velena e la ringrazio per la chiacchierata. Guardandola andar via zoppicando mi chiedo se il punk sia effettivamente morto. In fondo continuo a suonarlo e ad ascoltarlo, ma a volte ho paura che sia una routine. Certo è che se anche fosse morto di sicuro oggi sopravvive come zombi, perché con anime inquiete come Helena Velena il punk certo è ancora capace di mordere a fondo e dove fa più male.
Master Blaster