Tutti lo attendono in Sala Petrassi, per l’incontro previsto: lui, James Ivory, il regista di tanti film notissimi e originali, si presenta con un cardigan blu e verde piuttosto vivace per i suoi 94 anni (ci tiene allo stile, si sa) e viene accolto da una standing ovation del pubblico, che si alza in piedi e lo applaude. Appena può si siede, per l’età, certo, ma anche perché quel gesto interrompe gli applausi ed evidenzia la natura schiva del regista, quasi in imbarazzo di fronte a tanto entusiasmo
La prima domanda che gli viene rivolta riguarda, ovviamente, lo stupendo materiale d’archivio girato in Afghanistan negli anni Sessanta su cui Ivory ha costruito A Cooler Climate, il raffinatissimo docu-film che ha aperto, fra gli Special Screening, la Festa del Cinema di Roma.
“Si tratta di una serie di bobine che sono venute fuori sessant’anni dopo che avevo girato in Afghanistan – racconta Ivory – ero in India a lavorare già da parecchi mesi, per realizzare un film sulla società indiana, e avevo sempre più caldo, faceva caldissimo. La società per cui lavoravo mi aveva dato abbastanza denaro per girare più di un film e mi disse: ‘Se vuoi spostarti in un altro paese, fallo pure’, e così ho fatto, scegliendo l’unico Paese ‘vicino’ che avesse un ‘cooler climate’. In Afghanistan, infatti, faceva più fresco, sono stato lì senza grandi idee ma giravo parecchio, mi incuriosiva quel mondo e ho raccolto tanto materiale, ma non sono mai riuscito a mettere insieme un film, fino ad oggi”.
Alla domanda sui suoi inizi come produttore, oltre che come regista, risponde con un velo di tristezza, ma con grande lucidità, sui suoi primi lavori e sugli incontri più importanti della sua vita.
“Nel 1961 ho incontrato il produttore indiano Ismail Merchant, che mi ha accompagnato in tutto il mio percorso professionale e non solo (ndr. suo compagno anche nella vita e fino alla morte di lui, avvenuta nel 2005) e che mi ha fatto conoscere Ruth Prawer Jhabvala, la mia scrittrice e sceneggiatrice preferita (ride). Con Ismail abbiamo fondato la Merchant Ivory Productions, una compagnia di produzione cinematografica. Si scherzava sempre con Ismail su questa ‘strana’ società, formata da lui, un indiano musulmano, Ruth, un’ebrea nata in Germania, ed io, un americano cresciuto dalle suore (come molti di voi qui, immagino). Insieme abbiamo girato un corpo di cinque o sei film anglo-indiani: anche se io sono principalmente noto per i miei film ‘inglesi’, arrivando in India ho conosciuto persone diverse, che venivano dall’Inghilterra ed erano ‘acquisiti’ come inglesi. I miei film non sono invece stati così popolari in India: il più famoso è Calore e Polvere, con Julie Christie.”
I finanziamenti alle prime produzioni della Merchant-Ivory provenivano dalle aziende che offrivano il denaro che ‘non poteva tornare’, sfruttando l’impossibilità, da parte di aziende come la Fox o la MGM, di riportare in America i fondi indiani, quindi venivano investite rupie congelate in India. I due produttori riuscirono a convincere il governo indiano e le majors a reinvestire i fondi congelati sui loro progetti.
Dopo la stagione ‘indiana’ Ivory e la sua casa produttrice tornano in America, dove il regista realizza film meno noti in Europa, come I selvaggi e The wild party, per raggiungere successivamente l’apice della sua carriera e della sua notorietà con le produzioni inglesi e gli adattamenti letterari, in film quali Camera con vista, Maurice, Quel che resta del giorno.
“Dopo il periodo dei film indiani, abbiamo fatto una piccola digressione girando alcuni film in USA, e poi siamo passati agli adattamenti letterari, in particolare quelli di E.M. Forster. Non so dire quale film io abbia preferito realizzare, mi è piaciuto molto fare tutti i miei film, nessuno escluso. Ci tengo anche a ricordare che, fin dalla fase indiana e anche dopo, il nostro gruppo ha lavorato con attori famosi. Servivano attori giovani, ad esempio, per interpretare i giovani del film Camera con Vista (non ero mai stato a Firenze ed era tutto nuovo per me) ed Helena Bonham Carter ha esordito a diciannove anni nel film. Ma anche attori già noti, giovani e bravi, si fidavano di noi perché offrivamo sia alle star e sia agli sconosciuti dei ruoli che loro volevano interpretare. Non avevamo tanti soldi ma Ismael era un ottimo cuoco e questo aiutava (ride): i registi devono offrire agli attori ruoli interessanti, qualcosa di valore. In The Bostonian hanno recitato con noi divi come Vanessa Redgrave e Christopher Reeve che cercava di uscire dal suo ruolo di Superman. Oggi non si rischia tanto, il sistema è molto cambiato ma non voglio credere che tutto questo sparirà.”
Vengono poi rivolte ad Ivory domande sul suo rapporto tra romanzi e sceneggiature, e sulle sue preferenze fra scrivere o dirigere un film. Va qui ricordato che ad 89 anni, Ivory ha vinto un Oscar per la sceneggiatura del film Chiamami col tuo nome diretto da Luca Guadagnino.
“Sicuramente la regia mi piace di più, quello è il mio lavoro ma amo molto leggere ed ho letto ed amato tanti libri, talvolta anche deprimenti ma che mi sono piaciuti moltissimo. Per me è stato naturale adattare al cinema i libri che ho amato, qualsiasi emozione mi suscitassero, ma non tutti i romanzi possono subire il processo di adattamento. Da alcuni di questi libri ho tratto le sceneggiature che conoscete, con l’aiuto di Ruth. Uno dei miei autori preferiti era E.M. Forster, autore di Passaggio in India: quel libro mi è piaciuto moltissimo e ho letto tutti gli altri. Mr. and Mrs. Bridge è un film in parte autobiografico perché anche io sono cresciuto in una cittadina non troppo diversa da Kansas City. Mentre dirigevo il film mi hanno portato un libro che dicevano essere prolisso e noioso, era Quel che resta del giorno: appena l’ho letto, l’ho adorato e ho desiderato farne un film. Ovviamente mi piacciono anche le sceneggiature originali. In genere sono molto influenzato dal tipo di personaggi che incontro, se non sono interessanti non vale la pena parlarne. Il mio cinema si basa sempre su personaggi ed ambienti.”
Tanti i giovani studenti di cinema in sala, che chiedono ad Ivory: “Cosa direbbe ai giovani che vogliono fare i registi oggi?”. La risposta arriva pronta.
“La cosa più importante è aderire a quello in cui credete, cercare di attenersi al proprio modo di fare, allo stile personale. Molti cambiano in funzione delle situazioni, invece è importante mantenere fede a quello in cui si crede. Per quanto riguarda le sceneggiature, come dicevo prima, è fondamentale avere dei personaggi interessanti o anche dei luoghi: talvolta infatti il protagonista può essere un luogo (es. nel film I Selvaggi tutto parte da una casa abbandonata, e dopo ho cercato i personaggi da metterci dentro) ed entrambe le cose sono possibili. Ci sono storie, ad esempio, sui rapporti tra le persone, che mi interessano, ed ecco come si inizia e si sviluppa una storia, partendo da due o più persone e poi si cercano gli altri personaggi”.
Un ragazzo domanda ad Ivory se i riferimenti che ci sono nei suoi film all’amore ostacolato, omosessuale ad esempio, siano autobiografici.
“Questa è una domanda interessante – replica Ivory concludendo l’incontro – L’amore può essere consentito o impedito, in un film (come nella vita) e chi lo realizza deve rispondere alla domanda dei suoi personaggi: ‘Vivrai il tuo amore oppure no? Sceglierai l’autenticità o vivrai nella menzogna?’. È un tema molto importante e interessante che ci riguarda tutti”.