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Interviews

Qui eravamo già in guerra. ‘Klondike’, intervista alla regista ucraina Maryna Er Gorbach

In occasione della proiezione speciale tra i migliori film del 2022 alla Festa del Cinema di Roma, in esclusiva l'approfondita intervista all'autrice di Kiev con le dichiarazioni inedite rilasciate dopo il premio al Sundance, 17 giorni prima dell'invasione russa dell'Ucraina

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Klondike, la disperazione di Irka

Il nome è quello di una regione del Canada, famosa per la corsa all’oro: Klondike. Ma il film di Maryna Er Gorbach, rilanciato dalla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma dopo innumerevoli riconoscimenti tra Sundance, Berlino e resto del mondo, si svolge in Ucraina. Lì è nata la regista, attualmente di stanza ad Istanbul. Sempre lì, nel Donbass, la guerra incalza dal 2014. Klondike, senza nemmeno troppa forza di divinazione, lo racconta ben prima dell’invasione russa del febbraio 2022.

Con una regia immersiva, realistica eppur ricca di allusioni; inseguendo scene pressoché mai spezzate (piani sequenza e long take); soprattutto, muovendosi tra le vite spezzate, Maryna Er Gorbach ha saputo raccontare le ferite di un popolo in guerra da molto prima che i media vi puntassero i riflettori. Vincendo, tra l’altro, il premio della regia nella sezione mondiale del Sundance. Ne avevamo parlato con la regista subito dopo il riconoscimento al festival americano – inevitabilmente, oscillando tra cinema e cronaca. Era il 7 febbraio 2022, 17 giorni prima dell’avvio delle operazioni militari della Russia di Putin. Per alterne vicende, le dichiarazioni sono rimaste inedite. Ma le parole della regista ucraina, a distanza di mesi e alla luce dei fatti, restano più potenti dei colpi di mortaio.

Il trailer

Il film

Come il Klondike, il Donbass in Ucraina è territorio dalle ricche e ambite risorse: anche, soprattutto per questo si configura come teatro di guerra. Di cinema puro, l’immagine più incisiva in Klondike di Maryna Er Gorbach su come il conflitto faccia invasione nella vita di poveri cristi, è quella del “cielo in una stanza”. Così vien da descrivere la casa dei due protagonisti, Irka, in agrodolce attesa (Oksana Cherkashyna) e Tolik (Evgeniy Efremov), quando dopo pochi secondi dall’inizio del film una parete viene disintegrata da un colpo di mortaio. Esercitazione militare? Colpo partito per sbaglio? Comunque: cose che capitano.

Come il maledetto missile che nel 2014, anno della storia di Klondike, abbatteva l’aereo della Malaysia Airlines 17 mentre in volo sulla zona orientale dell’Ucraina. Tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell’equipaggio rimasero uccisi nell’incidente, a cui il film accenna con boati, carcasse e telegiornali. Tra filorussi e filoucraini, Irka e Tolik cercano di mantenere il filo esilissimo di una vita sempre più insidiata dal sibilo delle artiglierie. E di proteggere la vita, ancora in grembo, di un nascituro che verrà al mondo in guerra.

L’intervista: Maryna Er Gorbach racconta Klondike

ANTONIO MAIORINO: ci sono molti modi di approcciare un film di guerra, o quantomeno, un film “in tempi di guerra”. Un regista si può focalizzare sull’aspetto militare, sulla politica, sui civili e le loro storie e su tanto altre. Qual è stato il tuo punto di vista? Definiresti Klondike un film di guerra?

MARYNA ER GORBACH: definirei Klondike un film anti-guerra. Si tratta della mia personale risposta artistica al militarismo.

Il prologo di Klondike è caratterizzato da un contrasto stridente. La quiete della casa di Irka e Tolik, la carta da parati che raffigura una destinazione tropicale, i due che parlano del futuro. Poi, all’improvviso, il colpo di mortaio che sfonda la parete: irrompe la dura realtà. Che impatto hai voluto creare sullo spettatore?

Si può dire che il film inizi anche prima, quando sentiamo Irka e Tolik parlare dei loro sogni. Lasciami dire che Klondike, di fatto, è il mio sogno sulla fine della guerra. Da regista cerco di sognare e di portare questi sentimenti di pace agli spettatori in ogni alba e in ogni tramonto di Klondike.

Klondike, Irka e Tolik

Klondike, Irka (Oksana Cherkashyna) e Tolik (Evgeniy Efremov) nella quiete domestica

Nei minuti che seguono il colpo di mortaio, osserviamo che la sceneggiatura di Klondike sceglie di non concentrarsi solo sulle interazioni tra Irka e Tolik, bensì li separa e ne studia le reazioni individuali. Irka, in particolare, è spesso ripresa in gesti solitari o monologhi. Cos’hai chiesto all’attrice Oxana Cherkashyna? Cosa volevi comunicare di questa donna?

Oxana Cherkashyna ha recitato tutto il tempo con un sentore di vita vissuta, seguendo i propri istinti di donna. È una grande sopravvissuta. Irka è una donna che è più forte della guerra.

Sempre a proposito di Irka. Quando hai concepito il soggetto di Klondike, nelle tue intenzioni, qual doveva essere la conseguenza sul piano drammatico di scegliere una donna incinta come protagonista? Hai avuto quest’idea sin dall’inizio?

Realizzo sempre i miei film a partire dall’episodio finale. Si tratta come di cucire degli umori sulla pelle degli spettatori, e in questo senso il mio percorso consiste nel condurre chi guarda il film alla scena conclusiva attraverso emozioni molto speciali. Fammiti chiedere: non hai sentito tu stesso lo shock, la bellezza, qualche volta il divertimento, altre volte un senso di disagio, durante la visione di Klondike? Non ti è capitato di chiederti “che sta succedendo”? Penso che il cinema sia ciò che consente allo spettatore di fare esperienza delle proprie emozioni. Lo trovo un modo pulito e non manipolatorio di cooperare col pubblico.

La parete in pezzi della casa di Irka e Tolik dovrebbe diventare una sorta di finestra sul mondo, ma in realtà i due sembrano isolati dal villaggio. La loro finestra sul mondo è semmai una finestra virtuale: quella della tv, dei media. Trovi che la tv sia una connessione con la realtà esterna, oppure l’informazione, paradossalmente arriva loro come manipolazione e confonde ulteriormente le idee?

Penso che non solo per Irka e Tolik, ma anche per tanti altri le notizie siano la finestra aperta sul mondo. C’è una parte di Klondike in cui impiego i filmati documentari della catastrofe dell’aereo MH-17. Per un momento nel corso del film abbiamo fatto dello schermo cinematografico semplicemente un televisore. È proprio in quel momento che spettatori e personaggi finiscono per ritrovarsi esattamente nella stessa posizione. Penso che tutti noi guardiamo le notizie e ne siamo in qualche modo dipendenti. La differenza tra te e le persone dell’Ucraina è che per questi ultimi c’è un pericolo concreto nella vita reale.

Klondike è caratterizzato da un uso intenso di piani sequenza e long take. È una strategia di stile non rara nel cinema del terzo millennio, ma ho riscontrato che ogni autore la motiva in modo diverso a seconda dell’effetto che intende conseguire. Mi ritrovo quindi spesso a fare questa domanda: nel tuo caso, cosa implicavano queste sequenze senza stacchi o camera fissa? L’effetto per lo spettatore è profondamente immersivo.

Le mie riprese sono parti della mia vita. È così che sento e vedo la realtà. È il tempo della mia osservazione. Sono consapevole del fatto che per qualcuno questo stile possa apparire lento, ma è quanto mi appartiene per davvero. C’è chi si filma su Tik Tok, mentre io ho la passione di girare in un’unica sequenza. Magari un giorno, forse tra 10 o 15 anni, Klondike verrà ricordato come memoria dei sentimenti di una donna del 2022. Per me la vita è fatta “a blocchi”. Irka, Tolik e Yarik vivono semplicemente blocchi, parti della loro vita, e questo corso pacifico viene infranto bruscamente dalla guerra. È in questo modo che ho concepito la struttura di Klondike.

C’è un’altra scelta di stile molto forte in Klondike, collegata proprio al piano sequenza. Si tratta di far uscire i personaggi fuori dal campo cinematografico: la macchina si muove lateralmente e li supera, oppure si ferma, e loro escono. Ma c’è sempre qualcosa che continua a succedere off screen. Come mai hai adoperato questa strategia di decentramento?

Penso che sia una scelta tale da far percepire emotivamente gli eventi persino meglio di come accadrebbe se li mostrassi nel dettaglio. Per il rispetto che porto agli spettatori, so che la loro immaginazione può funzionare da scorciatoia per i loro sentimenti. Una questione simile me la sono posta per quanto riguarda la scena finale. Come ti dicevo prima, per me il film è solo parte della vita reale e di eventi reali. E sì, alla fine del film voglio effettivamente che gli spettatori siano in pena per tutta la gente innocente che ancora oggi, giorno dopo giorno, fa esperienza della tragica realtà della guerra nel 21esimo secolo in Europa.

Sempre a proposito di questo effetto “fuori schermo”, sentendo una tua intervista su TRT, mi è sembrato di capire che a tuo avviso lo schianto del Malaysia Airlines 17 nel 2014 è finito troppo presto fuori dal radar dei media. Se ripenso alla scena in cui i resti dell’aeroplano vengono rimossi, come se si trattasse di una banale operazione di manutenzione ordinaria, mentre Irka e Tolik parlano d’altro fuori dal campo, ho avuto quasi la sensazione che anche tu abbia “rimosso” l’episodio dal film, ma con lo scopo opposto: per provocazione. Qual è il ruolo dello schianto dell’aereo nello sviluppo di Klondike nelle poche parti in cui lo si avverte?

La tragedia dell’MH-17 è stata un evento che non posso in alcun modo dimenticare, non solo perché avvenuta nel giorno del mio compleanno, ma anche perché tutti sanno ciò che è successo, senza però poterlo dire. C’è più di un episodio senza parola o senza voce in Klondike. L’Ucraina è in guerra dal 2014, ma all’estero ce ne si preoccupa solo quando si sentono notizie in merito. Anche questo mi lascia senza parole.

Klondike, aereo sullo sfondo, Irka in primo piano mentre esce dal campo dell'immagine

Klondike, Tolik e Irka disputano con l’aereo incidentato sullo sfondo

In Klondike ci sono due fantasmi: quello dell’Europa, evocata dal notiziario, e della Russia, richiamata dall’uniforme di Tolik, dalla provocazione di quest’ultimo, che dice risponde al cognato dicendo di voler chiamare suo figlio Vladimir; ma anche dai separatisti, o dalla lingua dei soldati. Come sono percepiti questi due sistemi, Europa e Russia, da parte di Irka e Tolik?

Aggiungerei un terzo fantasma: quello degli Stati Uniti. Non credo che Irka e Tolik pensino all’Europa. C’è una scena, quasi alla fine, in cui Irka chiede a Tolik se possa riparare il passeggino. Questo dice tanto della loro solitudine. Le persone in guerra sono sole. Peggio: un intero paese sotto occupazione in guerra è solo. Non conta quante pistole abbiamo quando ogni giorno perdiamo persone. Non è nemmeno un buco, è proprio una ferita sanguinosa.

Klondike non dà risposte, anche se presenta  i fatti spesso in maniera così inequivocabile da indurre lo spettatore a prendere posizione, senza comunque mutarsi apertamente in un film di propaganda. C’è un dialogo chiave tra Tolik e suo cognato Yarik in cui si allude alla differenza tra uno schiavo (della Russia, s’intende) e un separatista. Ma è solo un’allusione, appunto. Tu come la spiegheresti a parole?

La differenza non è nelle parole, ma nei sentimenti. Abbiamo creato un film sulla gente. A volte queste persone usano le stesse parole per esprimere rabbia o amore. L’episodio a cui ti riferisci (Tolik si rifiuta di eseguire un ordine dell’esercito russo riguardante suo cognato, col quale pur è in contrasto per tutto il film, n.d.R.) racconta dell’amore inespresso in famiglia, della pace, del rispetto, della comprensione e della felicità.

Il titolo Klondike, come hai argomentato in molte dichiarazioni, allude al fatto che la regione del Donbass, teatro di guerra in Ucraina, è al centro di conflitti di interesse, vere e proprie corse alle sue risorse. Ho letto una recensione di un collega americano che faceva notare, tuttavia, come nel film non ci sia alcun collegamento con questo titolo. La tua scelta, quindi, sarebbe il risultato di un’operazione puramente concettuale sul significato del film. Sei d’accordo? Come replicheresti?

Ah, davvero? Non avevo letto quella recensione (è su Screen Daily: qui il link; n.d.R.). Che mi dicono del colore dei tubi che portano il gas dalla Russia all’Europa? Magari lo possono capire dal titolo del film. O magari posso mandare qualche gif su Klondike con dei fiorellini. Un film non è fatto di immagini dirette. Il Sundance quest’anno si è tenuto online, ma non per questo il cinema era assente. Un autore non è tenuto ad andare incontro alle aspettative degli altri o a forzarli a credere nelle stesse cose in cui crede. Se qualcuno può chiamare un lanciarazzi col dolce nome femminile di Katyusha, allora io posso a mia volta chiamare il film Klondike, perché credo anch’io nel fantasma degli Stati Uniti.

Che effetto ti fa rivedere il tuo film oggi, durante l’escalation della tensione in Ucraina per la disputa tra Stati Uniti e Russia, e per giunta ricevere un premio prestigioso al festival americano Sundance?

Sento che alla fine, col nostro duro lavoro, siamo riusciti a fare qualcosa per il popolo ucraino che resiste alla violenza sin dal 2014.

 

Guerra in Ucraina: 5 film per cercare di comprendere

Klondike

  • Anno: 2022
  • Durata: 100'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Ucraina, Turchia,
  • Regia: Maryna Er Gorbach

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