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`Ninjababy´ ovvero quando una madre non ha nessuna intenzione di venire al mondo

Arriva su MUBI il “Ninjababy” della norvegese Yngvild Sve Flikke

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Premiato come miglior commedia agli European Film Award, per Rakel – interpretata da una stropicciata e confusa Kristine Kujath Thorp, miglior attrice alla medesima kermesse – e per la ‘best director’ Yngvild Sve Flikke, Ninjababy (che ha fatto incetta di numerosi altri premi) è in realtà un dramma sotto mentite spoglie.

Come altro definire la scoperta di essere incinta di sei mesi e mezzo, quindi fuori tempo massimo per interrompere la crescita di quell’essere che, come un piccolo ninja, se ne sta acquattato e silente nella propria pancia, senza gonfiarla ma dando solo tenui effetti collaterali, se hai 23 anni squattrinati e spettinati, ondivaghi e confusi e nessunissima percezione di te come plausibile madre né tanto meno alcun desiderio di esserlo?

Ninjababy: In utero

Eppure questo baby nascerà, insieme a sua madre: non perché “quando nasce un bambino, nasce una mamma” (come recita un abusato vecchio adagio o, se si preferisce, questo o quel criminale movimento ottusamente pro-life), ma perché è proprio Rakel – spesso stretta in inquadrature che la incuneano nella luce bassa della sua camera, avvolta in un alone polveroso quasi tangibile, davanti alla finestra sul freddo grigiore norvegese, alcune volte rannicchiata e di spalle, o stesa fra le gambe dell’amica oppure ancora chiusa nelle false soggettive degli aspiranti genitori adottivi del suo bebè, che immagina di poter/dover selezionare come in un colloquio di lavoro, e nei numerosi trasognati primi piani – a sembrare all’interno di un grembo materno.

Per le strade di Oslo, intabarrata in felpe e sformati cappotti ovoidali, non è meno in formazione del suo feto: sa forse che cosa vorrebbe fare da grande, ma troppo grande sembra essere il progetto di diventare fumettista, date le sue mille false partenze e la scarsa costanza; ancora si trova a pescare nel mucchio dei vestiti per raccattare qualcosa da indossare (non prima di averla annusata); a chi sia il padre del ninjababy deve arrivarci per esclusione, data la gioiosa attività sessuale e l’uso ‘spavaldo’ che fa della pillola anticoncezionale; si muove fra ricordi ad alto tasso etilico eppure lucidi, che fanno materialmente capolino nella sua quotidianità per metterla in imbarazzo; sente le proprie emozioni cristallizzarsi in forme grafiche simili a gocce di pioggia (o “schifoso sperma”?) e scariche elettriche; vede i suoi disegni prendere forma e starle addosso, come fa il petulante feto a cui si rivolge chiamandolo “fucking rotten sneaky ninjababy.

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Tra sacro e profano

Dalla prospettiva unica e non del tutto attendibile, spigolosa e a tratti disturbante di Rakel – sono in fondo pur sempre sue le riflessioni che escono, stridule e sgomente, dalla boccuccia del suo piccolo ninja –, facciamo la conoscenza dell’inconsapevole padre, tale ‘Minchia Santa’, la cui enunciazione dell’immagine propria è significativamente sotto forma di fumetto iperdotato e ‘bifido’, per poi apparire in carne e ossa nelle vesti di un giovanotto imbarazzante nel suo cinico pragmatismo e infine in quelle di un inaspettato Gesù Cristo/padre Giuseppe. Persino l’uomo che potrebbe davvero amare Rakel, l’istruttore di Aikido, Mos, che conosciamo prima sul piano olfattivo (“Ci sono andata a letto perché profuma di burro”), è stato padre seppure per il tempo di un’ecografia che però retrodata inesorabilmente il concepimento al periodo di Pasqua. Sua è la dichiarazione d’amore fra le più semplici e belle degli ultimi tempi (cinematografici). Altri ancora, sotto traccia, sono i riferimenti alla dimensione religiosa e ‘giudicante’ di cui è ancora permeata la nostra società maschilista e patriarcale: l’urlo “blood e suffering!”, gridato da Rakel alla partita di un gioco da tavolo con miniature rare, risuona come il “partorirai con dolore” biblico.

Molteplici sono, di contro, in un’abile sfida fra sacro e profano, i rimandi alla cultura pop e punk: dalla colonna musicale ai riferimenti al cinema dei primi anni Duemila, al montaggio survoltato dei videoclip, tanti sono gli elementi funzionali a calpestare con irriverenza e sboccataggine tutti i diktat che crediamo erroneamente siano stati superati.

Particolarmente ‘colorati’, soprattutto visivamente, sono alcuni  personaggi secondari: nel rosso fuoco dei capelli della sorellastra di Rakel, potenziale madre perfetta per il bebè, e nel biondo decolorato dell’amica per la pelle e coinquilina Ingrid, si materializzano infatti altri tratti fumettistici, quasi fossero ‘scivolati’ (come le tinte, appunto) nel live action dai disegnini della protagonista  – che sono invece per lo più nell’essenziale, stilizzato e classico bianco e nero della matita, precisa e mai ingombrante, della fumettista Inga H Sætre (autrice del graphic novel Fallteknikk da cui è tratto il film).

Proprio nel confronto fra la madre-suo malgrado e il piccolo fastidioso e loquace scarabocchio, nel loro travagliato e facondo rapporto, nel ‘cordone ombelicale’ di plastilina (come appare in un’altra irriverente sequenza in clay animation), si annidano, con una verve e un ritmo serrati ed esilaranti, annose questioni sul presunto innato senso di maternità che apparterrebbe (o dovrebbe essere proprio) di ogni donna, il senso di colpa e/o il forse inevitabile senso di responsabilità nei confronti di una creatura legata al nostro destino (o che invece temiamo ci inchiodi a un destino), l’abisso su cui si affaccia ogni decisione prima che venga presa…

La vita non conclude…

Lontano da pellicole come Juno (Jason Reitman, 2007) e la recente La persona peggiore del mondo (Verdens verste menneske, 2021) del norvegese Joaquim Trier, irridendo bonariamente ad altri film come Mamma mia! (Phyllida Lloyd, 2008) e i suoi tre potenziali padri e alla perfezione di Angelina Jolie, amorevole madre di sei figli, Ninjababy annovera fra i suoi meriti soprattutto il fatto di ‘non concludere’, esattamente come la vita. Seppure la composizione di un nuovo equilibrio prenda quasi inevitabilmente forma con la nascita di Nina Bibbi, gli scarabocchi di Rakel continueranno la propria strada, di cui si intravede solo una tappa. Rakel, allo stesso modo, arrivata in automobile alla sequenza finale del film, su quella stessa auto, immaginiamo, risalirà chissà per dove.

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