Nella sezione Concorso Progessive Cinema della Festa del cinema nr. 17, I morti rimangono con la bocca aperta è l’acuta opera che segna il ritorno in regia di Fabrizio Ferraro, apprezzato in particolare per le sue recenti opere Checkpoint Berlin (2020) e La veduta luminosa (2021).
Una storia che si ripete e dalla quale l’umanità smemorata non riesce a trarre alcuna lezione
Appennini innevati del 1944: quattro partigiani in fuga, e spari che li inseguono e costringono a ripararsi nella boscaglia.
Il terreno impraticabile, la paura di essere colpiti o di morire di freddo, non aiutano il morale di quello sparuto gruppo di fuggiaschi.
L’incontro con una giovane donna induce il fuggiasco più anziano a diffidare e a ritenerla una spia del nemico.
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La donna supplica i quattro di lasciarla andare, e trova nel più giovane del gruppo l’unica anima disposta ad avere nei suoi riguardi una certa indulgenza.
Alla fine, rimasti in due, il giovane e l’anziano decideranno di lasciarla andare. Ma il desiderio di seguirla del ragazzo si trasforma in qualcosa di impellente che va oltre ogni rischio e pericolo connessi a quella enigmatica figura di donna apparsa dal nulla.
I morti rimangono con la bocca aperta – la recensione
“Guardate i morti: rimangono con la bozza aperta. Dobbiamo imparare ad ascoltarli.”
I morti non parlano soprattutto perché non li si vuole ascoltare.
Nel film potente e magnetico di Ferraro, che evita più che può dialoghi o primi piani per concentrarsi su un fuga vista nel suo contesto globale e commentata dalla voce scandita, a distanza anche di decine di minuti, di un io narrante dolente e sfiduciato, i morti potrebbero insegnare cose preziose e vitali ai sopravvissuti che avessero la prudenza e la saggezza, oltre che la lungimiranza salvifica, di saperli ascoltare.
Invece, proprio a causa all’esser sordi e insensibili, la storia si ripete e fa ripetere all’uomo, ogni volta, gli errori di un passato nemmeno troppo distante.
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Avvolti in una nebbia che il bianco e nero rigoroso della fotografia rende ancora più penetrante e senza speranza, gli uomini in fuga non possono fidarsi di chi è in vita e probabilmente potrebbe aiutarli. E non sanno cogliere il messaggio che i caduti riescono inequivocabilmente ad inviare a chi sopravvive, perché la razionalità prevale sull’istinto che induce ad agire senza pensare.
Il passato dovrebbe aiutare l’uomo ad affrontare le scelte che pongono incognite al presente e rendono più incerto il futuro.
La storia insegna ad intraprendere scelte sensate ed opportune, ma viene puntualmente dimenticata o messa da parte da interessi in gioco più attraenti, e anche decisamente più sconsiderati.
Il messaggio è limpido, e il film di Ferraro vibrante, impellente, magnetico e puro.
Le parole rade e la saggezza delle frasi che andrebbero scolpite nella pietra affinché possano risultare indelebili, rinvigoriscono e fanno bene ogni volta che le si ascolta, nonostante l’umanità tenda con indolenza a lasciarle seppellire tra una coltre di neve e gelo.