Presentato nel concorso ufficiale di Alice nella città, I love my Dad di James Morosini racconta la solitudine ai tempi dei social in una commedia drammatica che mescola generi e stati d’animo. Di I love My Dad abbiamo parlato con il regista del film
I love my dad di James Morosini
In Italia abbiamo appena finito di discutere su Blonde. Come quello, I love my Dad ha una base autobiografica e, come il film di Andrew Dominik, anche il tuo racconta la solitudine ai tempi dei social. Sei d’accordo?
Ho utilizzato elementi della mia biografia per parlare del nostro tempo e in particolare della solitudine indotta dai social media e dallo stile di vita che ci siamo imposti. La mia volontà era quella di restituirne un punto di vista interno con un tono divertente, a volte anche comico e comunque tale da non risultare mai pesante. La sfida è stata quella di riuscire a parlarne nell’ambito di una storia personale, la mia, in cui racconto il rapporto tra me e mio padre.
Partendo dall’inganno del genitore che si inventa un falso account per riuscire a parlare con il figlio, I love my Dad approfondisce la questione identitaria mettendo in risalto come le nostre credenze, in questo caso la personalità fittizia creata dal padre di James, dipendano anche dal nostro bisogno di essere rassicurati da una realtà conosciuta. In I Love my Dad l’inganno nasce da una complicità più o meno consapevole tra vittima e carnefice.
I social media ci stimolano a proporre una versione migliore di quello che siamo. In questo modo abbiamo escluso la parte più vulnerabile di noi, spingendoci ad apprezzare quello che in realtà non siamo. Sarebbe meglio fare il contrario perché questo sistema ci ha fatto perdere la possibilità di entrare in contatto con l’intimità delle altre persone. Da qui il formarsi di una disonestà che impedisce alla nostra anima di venire alla luce e di mostrarci per ciò che siamo.
Una commedia degli equivoci
L’inganno del padre nei confronti del figlio fa sì che il film si trasformi in una sorta di commedia degli equivoci. La conseguenza è una sceneggiatura che ogni volta propone escamotage sempre più difficili e articolati per riuscire a rendere verosimili i sotterfugi del genitore. La tua abilità è stata quella di riuscirci mantenendo la storia in un alveo di realtà e coerenza rispetto alle premesse del film.
Io credo che la priorità di un film sia quella di intrattenere il pubblico cercando di farlo sentire coinvolto dal punto di vista emotivo. In I Love my Dad ho cercato di creare un saliscendi emozionale (emotional rollercoster, ndr) che ti spinge nel cuore del film e nella materia di cui sono fatti i rapporti tra figlio e genitore.
La genesi delle scene di I love my dad per James Morosini
Il film è ricco di scene costruite all’insegna di una fantasia sfrenata, originale e soprattutto divertente. Penso a quella in cui vediamo la ragazza di cui si è innamorato il protagonista uscire fuori dal frigo del supermarket oppure camminare sull’acqua della piscina per poi caderci dentro dopo aver annunciato al ragazzo di non amarlo più. Mi piacerebbe capire come le hai concepite e da dove viene un’ispirazione così fervida considerato che la giovane non è reale, è una proiezione mentale del ragazzo.
Per James quella ragazza rappresenta una botta di energia per cui queste idee visivamente importanti mi servivano per trasmettere ciò che lui stava provando. La novità e l’eccitazione che la ragazza porta nella sua vita sconvolgendone la routine è resa attraverso gli escamotage di cui mi chiedi. Quella di farla uscire fuori dal frigo mi serviva per testimoniare questa esplosione di vitalità, mentre la caduta nell’acqua voleva rendere il fatto che la ragazza era scomparsa dalla sua vita e dunque dal suo campo visivo. Per questo si stacca in maniera così repentina. Se mi chiedi l’origine di queste idee la spiegazione è il diario che ho portato qui con me. Come vedi è fittissimo di pensieri e parole attraverso cui annoto emozioni e sensazioni che mi permettono di cogliere la poesia dell’esperienza. Partendo dal fatto che per me raccontare una storia equivale a esprimere ciò che si ha dentro.
Con I love my Dad James Morosini riflette sul cinema
In I love my Dad c’è un personaggio, in questo caso il padre di James, che mette in scena una serie di menzogne. Una cosa che, in fondo, fa anche il cinema: questo mi fa pensare che il tuo potrebbe essere anche un modo per riflettere sulla settima arte?
Sì, in un certo modo l’esperienza che racconto nel film non è esattamente quella che ho vissuto. In qualche modo anche io mi sono trovato spesso a mentire mentre costruivo le scene in I love my Dad. Alla fine della storia quello che il protagonista accetta del padre è proprio la dimensione di menzogna che anche il cinema porta alla luce. Io stesso nell’esagerare le mie esperienze e nel portare le mie emozioni all’esterno ho cercato di scrivere una lettera d’amore per mio padre mostrandogli come la menzogna sia diventata parte del mio stesso lavoro.
Un mix di generi
Il film è un contenitore di genere. Oltre alla commedia c’è la fantascienza, il giallo, il romance, il buddy movie e, nel momento della resa dei conti, persino l’orrore. Sei d’accordo e se sì, come hai fatto a tenerli insieme così bene all’interno dello stesso spazio?
Ho usato anche degli home video perché la mia passione per il cinema mi è stata trasmessa da mio padre con cui andavo sempre al cinema e poi è stato lui a regalami la mdp con la quale ho iniziato a fare i primi filmini. Il mio rapporto con il cinema è strettamente collegato alla relazione con mio padre. Per rispondere alla tua domanda, per me si tratta in definitiva di rispettare la verità di una realtà che, in quanto tale, ha per forza di cose momenti di commedia, di horror, di buddy movie, che si conciliano bene con la storia del film e con quella della mia storia personale della quale ho voluto portare tutte le sfumature.
James Morosini: regista e attore in I love my dad
Nel film sei regista, ma anche attore protagonista. Era quest’ultimo un modo per testimoniare in prima persona la tua esperienza e/o anche un’esigenza artistica?
Nella vita quando racconto le storie cerco di fare tutte le voci dei personaggi al fine di far capire agli altri cosa intendo fare. In più, cerco sempre di coinvolgere il più possibile l’ascoltatore rispetto a quello che c’è dentro la mia testa. Da piccolo non riuscivo a fare film con i miei amici, così mi capitava di fare il regista e l’attore allo stesso tempo. Questa è forse la spiegazione più plausibile alla tua domanda.
Nel film c’è tanto ritmo e ci sono molti avvenimenti. Il rischio era che tu perdessi il filo del discorso e dunque anche il passo. Ti chiedo allora come hai lavorato con il montaggio perché per me è come se ci fosse una musica interna ad armonizzare il succedersi delle singole scene.
Per quanto riguarda il ritmo ho voluto cercare un incremento costante, quindi iniziare lentamente e poi, man mano, aumentare per riuscire a creare questo progressivo accumularsi di situazioni. Per riuscirci ho utilizzato uno storyboard con cui, insieme agli attori, abbiamo seguito i vari passaggi in maniera da avere una visione chiara di quello che stava succedendo. Per riuscire ad arrivare a questo ritmo costante in cui il tempo è fondamentale, altrimenti non ci saremmo riusciti.
Nel corso del film sentiamo più volte Boys Don’t Cry. Mi piaceva sapere qual è il legame che James Morosini ha con la canzone dei The Cure in I love my dad?
I The Cure erano il gruppo preferito da mio padre e ogni volta che ascoltava quella canzone piangeva anche se il significato del testo diceva il contrario. Inoltre mio padre ogni volta che festeggiava Halloween si vestiva come Robert Smith. A lui mi sono permesso di scrivere una lettera, per chiedergli di usare la sua canzone e lui me l’ha accordato.