La storia racconta di un rapporto madre-figlia spezzato dall’anoressia, e poi ricucito grazie a una intima analisi che entrambe le donne muovono nei confronti di loro stesse.
Un film di messa in gioco, di tenacia e di ferite profonde.
A table for two, la trama
È un vero trauma quando Sang Ok scopre che quel fuscello di pochi chili sulla bilancia, è sua figlia Chae Young, quindicenne e malata. Ma si batte per riaverla. Le due iniziano un percorso di cura dei disturbi alimentari che porta all’ospedalizzazione. Il tentativo della madre di risalire alle ragioni di questa sofferenza non va a buon fine; Chae Young stessa conserva ricordi molto dolorosi di quel periodo, raccolti nelle parole del suo diario e dipinti in un’animazione molto genuina.
A dieci anni di distanza, le due donne riprovano a percorrere quell’incrinatura del passato e a riflettere su come sono arrivate a sgretolarsi. La regista Kim Boran segue quindi questa piccola famiglia per oltre dieci anni, in tappe diverse della vita, servendosi dell’animazione dove la sua macchina da presa non è potuta arrivare.
Nel ripristinare il puzzle delle loro vite, entrambe le donne scoprono quanto il tessuto odierno sia permeato dell’influenza del passato, per quanto cocciutamente si tenti di allontanarsene.
One of the reasons my daughter felt sick was because she didn’t have a secure place go back to.
La regista Kim Boran rivela la prima presa di posizione nei confronti delle due protagoniste, per le quali nutre rispetto artistico, femminile e umano. È così che dipinge due personalità forti, magari confuse, ma comunque capaci di rialzarsi. In particolar modo la madre, il cui fascino intellettuale è evidente nei racconti che da nostalgici diventano ferocemente auto-critici.
Sang Ok è una donna riflessiva, profonda, che non ha paura di confessare le sue debolezze e il complesso lavoro che ha fatto come madre per abbattere il muro e ritrovare la figlia.
So, when do you want me to take responsibility?
La figlia ha imparato ad accettarsi per quello che è, a tentare la sua strada e rinunciare a commiserarsi per le sconfitte, che fanno comunque parte della crescita.
I’ve come to believe that anorexia doesn’t define me and I’m much more than that.
Si dedica chiaramente una riflessione all’apparenza, quanto cioè l’opinione altrui conti in queste delicate situazioni, addirittura nel supporto che si offre a questi pazienti.
Le parole chiave quindi sono: riconoscimento e accettazione, ed è su questi perni saldi che Kim Boran costruisce il suo dialogo aperto in A table for two.
– Please don’t be sick
– It’s ok to be sick
L’evoluzione
Dopo trenta minuti il film già ci ha raccontato tutto quello che ci serve sapere sul dramma centrale della figlia. È a quel punto che la storia di anoressia si trasforma ed evolve nel dramma di una madre. Una donna che è stata costretta a fare scelte difficili dentro le quali l’esistenza della figlia non era sempre inclusa. E da lì, ci s’imbatte contro l’esistenza disturbata di un’altra madre, la nonna: e con essa, si materializza quel filo invisibile che si è stretto attorno alla vita di Chae Young rendendo quel male invisibile, un lignaggio femminile della famiglia.
Implacabile presa di coscienza, ci porta a realizzare come le colpe dei genitori si riversino sui figli e si amplifichino fino a irrompere sui nipoti.