É distribuito da Lucky Red, prodotto da BIBI film con RAI CINEMA. Una coproduzione Italo Francese BIBI FILM-LE PACTE, prodotto da Angelo Barbagallo. Ora su Raiplay.G
Gianni di Gregorio dirige un film (e ne è protagonista), in cui si parla dell’età che avanza, inesorabilmente. Lo fa col suo solito sorriso bonario, ma aggiunge, questa volta, un antidoto inaspettato a esorcizzare il pensiero della vita che sfugge: l’amore, finalmente!
“Una favola scanzonata, meravigliosamente interpretata tra rimandi epici e digressioni liriche”
Marzia Gandolfi – Mymovies
Astolfo – La trama
Astolfo, un pensionato che dalla vita non si aspettava più niente, viene sfrattato dal suo appartamento di Roma e ripara nella vecchia casa di famiglia, un rudere in un paesino del centro Italia che era stato, un tempo, un palazzo nobiliare. Si adegua alla vita in provincia, si arrangia, vivacchia, si azzuffa con il sindaco, ritrova un vecchio amico, prende in casa un paio di scapestrati come lui.
Poi incontra Stefania, una donna della sua età, e si innamora. Sarà l’inizio di una nuova vita, più travagliata ma anche più bella, più vera, l’unica che valga la pena di essere vissuta (dal sito di Lucky Red).
Gianni Di Gregorio e Stefania Sandrelli. Foto di Sara Petraglia
Astolfo e le sue nobili origini
È ancora un professore il personaggio di Gianni Di Gregorio, che già nell’incipit del film cammina ancora una volta con i sacchetti della spesa. Non quella abbondante di Pranzo di Ferragosto, in cui doveva nutrire le sue vecchiette nel cuore dell’estate romana. No, quel che basta appena per sé, mentre torna a casa dove, se pure garbatamente, riceve la notizia dello sfratto.
Non si chiama più però, familiarmente, Gianni. Anzi, è costretto dentro un nome altisonante, cinquecentesco, la totale contraddizione di tutto ciò che il nostro Astolfo rappresenta nella realtà. Postura e sguardo dell’antenato dall’alto del quadro alla parete, nel corso dei secoli, si sono trasformati nell’arrendevolezza del discendente. Che la luna si accontenta di guardarla dalla finestra, così come ama evocare Le vaghe stelle dell’orsa, nella sua di vaghezza, davanti all’attonito, stralunato, nuovo compagno di quotidiane avventure, Oreste (Alberto Testone).
E se nell’incipit dell’inventore di Astolfo senior si leggeva “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese”, l’Astolfo di Di Gregorio sembra prediligere i temi della gentilezza: le donne (anzi, la donna), gli amori, le cortesie.
Astolfo e la sua umanità
Le armi e le audaci imprese, dovrà impararle ora, a settant’anni suonati. Dopo un’infinità di scale da salire. Quelle della sua nuova vecchia casa, della canonica confinante, del municipio, essendo i veri oppositori di questa favola moderna, un po’ faticosa, la prepotenza del sindaco e quella del prete. Ma sarà l’amore a renderlo cavaliere, un amore appena nato e già da difendere. Fatto di approcci timidi, di goffaggini adolescenziali all’inizio, che lasciano presto il posto a una piacevolissima intesa. I film in bianco e nero, la poesia dei bei paesaggi e soprattutto i ricordi che scaldano il cuore e meritano di essere condivisi.
L’umanità di Astolfo, la dolcezza di tutti i film del regista, si esprime in pieno ora grazie all’amore. Ma era già presente nelle relazioni all’interno del piccolo gruppo raccogliticcio della prima parte del film. Oreste abitava nella casa di Astolfo da sei, sette, otto anni (chissà!) e lui lo accoglie, così come accetta un personaggio dal passato non proprio pulito (Gigio Morra) e il giovane disoccupato, Daniel (Mauro Lamantia).
La naturalezza di Astolfo e degli altri personaggi di Di Gregorio
Non è che il paese lo accolga proprio bene. Al suo arrivo la prima battuta detta al bar è niente di meno che “Ancora campa, questo?”. Ma lui sa attraversare tutto con naturalezza: le crepe sul muro, la mancanza di luce elettrica, la cucina che quasi esplode. Gli pare anche normale arrampicarsi sopra faticosissime scale a fare la spesa per sé e per Oreste.
Gianni Di Gregorio in una sequenza del film. Foto di Sara Petraglia
Un destino, quello del suo personaggio, che compare nel film di esordio Pranzo di ferragosto e ritorna ora, a quindici anni di distanza.
Allora, però, era disoccupato e un po’ interessato. Parecchio in disarmo; basti pensare ai litri di vino che consumava in cucina mentre preparava i pasti. E le sigarette, poi! Ora non ha perso la sua stravaganza, ma ha decisamente fatto suo il senso di gratuità. Nelle azioni, nei pensieri, nelle relazioni. Per questo l’apertura del cuore nei confronti di Stefania sembra l’esito naturale del suo stare al mondo: ironico come sempre, ma ancora più leggero.
Non poteva che essere così: quando la sua amabilità incontra la bellezza di Stefania, è amore. E una nuova, sana, commovente progettualità per il futuro.
Gianni Di Gregorio e Stefania Sandrelli. Foto di Sara Petraglia
La compostezza della regia
E non poteva, a questo candore dell’anima, non corrispondere una bella compostezza delle immagini, il nitore estetico a cui il regista ci ha abituati. Persino i titoli di testa scorrono in una gradevolissima pulizia. Lenti, a non aggredire lo spettatore. E dare il giusto spazio alle persone che nel film hanno lavorato, ciascuna a occupare parte dello schermo da sola, in evidenza. Non ci sono dubbi: le attenzioni che Astolfo dedica agli altri non sono diverse da quelle che Gianni Di Gregorio riserva ai suoi collaboratori.
L’uomo e l’artista devono per forza somigliare tantissimo al suo personaggio. Al centro della narrazione non per narcisismo, ma per una visione del mondo e della vita che si fa insegnamento.