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Brado: la recensione del nuovo film di Kim Rossi Stuart

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Brado è un film diretto e interpretato da Kim Rossi Stuart. Prodotto da Palomar e distribuito da Vision Distribution. Tra gli interpreti figurano Kim Rossi Stuart, Barbora Bobulova, Saul Nanni e Viola Sofia Betti.

La carriera di Kim Rossi Stuart

Kim Rossi Stuart è un caso anomalo nel cinema italiano.

Acclamatissimo e amatissimo come attore quando recitava (con ottimi risultati) nelle diverse fiction tv, da Uno Bianca a Fantaghirò fino a Maltese, e applaudito al cinema nel cinema d’autore e mainstream. Non ha mai mostrato di avvicinarsi ad un progetto per accontentare nessuna moda, sempre fuori da ogni giro o atteggiamento divistico. Nel 2006 è passato dietro la macchina da presa con Anche Libero Va Bene, (presentato alla Quinzanne di Cannes). Dieci anni dopo ha ripetuto l’esperienza con Tommaso (portato a Venezia).

Dimostra come autore di avere una cifra stilistica assolutamente personale, anche qui libera da ogni condizionamento del mercato. Resta perfettamente aderente alla sua emotività e quindi profondamente sincera. E Brado lo conferma, per il suo film -il terzo- che sembra quello più compiuto.

Sia Anche Libero che Tommaso, in maniera differente, erano due film affascinanti e impervi quando non esattamente riusciti pienamente (il secondo con più problemi del primo). Ma Brado mostra un regista bruciante e curioso, per un’opera piena di corpi e parole, scoppi di passione e vuoti d’ira. Un film che odora della pelle di cavallo e che fa scivolare la dimensione di famiglia disfunzionale dalle pareti domestiche.  Fa da contorno un quadro più esotico e molto originale come quello di un allevamento di cavalli.

Brado – Il commento

Le famiglie sono sempre state al centro dell’indagine. Una koinè attraversata da silenzi, urla, momento di affetto e grida di disperazione, un vero e proprio “buco nero” delle passioni che vengono raccontate e restituite sullo schermo in maniera cristallina, con un impianto drammaturgico classicissimo e molto efficace, mai banale, con quella semplicità che è lucida e diretta convinzione narrativa.

In quest’ottica, Brado è una bildungsroman che attinge a piene mani dal genere western. Fa sapiente uso dei suoi crepuscoli e delle sue rincorse che si affiancano a quelle emotive, calibrando le inquadrature sugli umori dei protagonisti. Ci sono rapporti umani in perenne sfida, decisioni emotive feroci e senza scampo,  e l’identità definita da scelte spietate.

Kim Rossi Stuart sembra attingere da tutta la sua esperienza televisiva per evitare accuratamente ogni faciloneria stilistica da piccolo schermo. La sua ruvidezza e spigolosità, che si riflette nella storia, nella recitazione, nei personaggi, è vicinissima ad un altro re del western al cinema come Clint Eastwood. Kim Rossi Stuart mette in scena senza pudore ma con sfrontata sincerità i suoi fantasmi interiori ed esistenziali.

Una sceneggiatura intelligente e spigliata fa anche sì che le tante, dichiarate metafore del racconto (ispirato al libro del regista, Le Guarigioni, del 2019) non appesantiscano mai il ritmo. Esse non diventano mai didascaliche, ma sono sempre sopraffatte dalla potenza della narrazione e dalla grandissima efficacia di tutti gli attori.

Al centro sempre il rapporto padre-figlio: seguendo i racconti di Anche Libero e Tommaso, con i quali infatti questo Brado condivide nomi e storie che legano la mini-filmografia in un universo poetico e artistico coerente in sé stesso formando un trittico chiuso in sé: Renato (Stuart), Stefania (Bobulova) e Tommaso, tre personaggi sono una trinità profana di un mondo dai contorni crudeli e dolorosi, dal quale però emerge prepotente la necessità di quella verità emotiva di sopra, usando il cinema come mezzo espiatorio e come seduta psicoanalitica.

Un mondo popolato da fantasmi del passato e rancori inespressi o espressi tardi e male, dove le emozioni corrono spericolate e senza paura come in una piana di cavalli bradi.

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