Estate del 1900: Elisabeth, 17 anni, sta per prendere i voti, ma la morte improvvisa della sorella la costringe a lasciare il convento e a tornare per aiutare la famiglia nel lavoro dei campi. A casa e nel villaggio, l’atmosfera è rimasta immutata: cupa ed opprimente, omertosa sulla causa della morte della sua adorata Innocent, sorella e migliore amica. Elisabeth non si dà pace: prega, prega per l’anima della sorella, tacciata come demonio, prega per se stessa. Il ritorno al mondo, lontana dal convento, la turba non poco, come lo sguardo dei suoi amici di infanzia, l’isolamento della famiglia nella comunità religiosa. Il mistero della morte di Innocent è contenuto in un taccuino che Elisabeth legge con timore ed ardore.
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La potenza mistica della sessualità
Innocent nella sessualità selvaggia e promiscua è riuscita ad elevarsi, a toccare Dio. A bramare l’eterno nel corpo e fuori da esso. A sentire la vita, ad essere tutt’uno con la natura che la circonda. Ad essere per la prima volta viva. Per Elisabeth, la scoperta del segreto della sorella è un vero shock. Pronta sempre più ad esplodere, a cercare quell’abisso e quell’ebrezza, quella pienezza, quel Dio che lei invoca e che non ha mai sentito come presenza. Si lega ai suoi amici d’infanzia nel rompere attraverso il corpo quelle catene fisiche ed emotive di una generazione schiacciata, già condannata dal mondo adulto ad una esistenza sottomessa e priva di istinti, desideri, passioni autentiche.
Foudre è una iniziazione anche visiva. Carmen Jaquier prende a prestito un’altra straordinaria catarsi: quella di Picnic ad Hanging Rock (1975) di Peter Weir, i cui rimandi visivi riecheggiano dentro un paesaggio montuoso svizzero tanto bucolico quanto inquietante. L’altrove è qui, tra questa natura abitata da pochi esseri umani, ancora suggestiva, ancora tentatrice, ancora evocativa. La giovinezza spaventa per la vitalità che racchiude, per il pericolo alla stabilità e alle regole che una comunità adulta ha faticosamente eretto contro il caos esistenziale.
Tutto vibra con la capacità dell’occhio di riflettere la luce eterea, i dettagli del paesaggio, la nudità dei corpi, in primi piani profondissimi, delicati, trasfiguranti.
Foudre è tutto questo, è un flusso di coscienza che resta sospeso nella ricerca che compie. La sua genesi, nelle stesse parole della regista, fu la scoperta dei taccuini scritti dalla sua bisnonna, dove si prometteva al Signore. Tradiva una intimità che probabilmente non era stata mai offerta a nessun altro che a Dio.
Pensavo a ciò che era stato tolto alle donne, soprattutto riguardo alla possibilità di esprimersi. Grazie agli incontri che ho avuto con persone anziane, ho capito che dovevo inseguire i sentimenti, le emozioni, la Storia viva. Volevo riscrivere la grande Storia, quella che si era dimenticata di documentare la vita delle donne e la storia della mia bisnonna, di colmare le lacune.
Foudre incarna anche una riuscita prova d’attrice per la sua protagonista, Lilith Grasmug, che indossa con maturità un ruolo complesso: corpo e spirito nel passaggio e nella trasfigurazione dell’estasi.
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