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Festival di Roma

‘La cura’ di Francesco Patierno: si scrive peste, si legge covid

Presentato alla Festa del Cinema nella sezione "Progressive", il film del regista partenopeo rielabora contenuti e suggestioni di pensiero della pandemia in un affascinante gioco di sovrimpressioni drammatiche con "La peste" di Albert Camus

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Francesco Di Leva deposita una donna malata su letto (La cura)

Ritrovare uno sguardo nuovo sugli uomini e sulle cose. In questa espressione utilizzata da Padre Paneloux – un infervorato Peppe Lanzetta – si può riassumere il percorso narrativo de La cura di Francesco Patierno, presentato alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Meglio, il decorso narrativo: trattandosi di una rigenerazione dello sguardo che parta dall’epidemia. Lo spunto è  La peste (1947) di Albert Camus, capolavoro letterario a cui il film dichiara aperta ispirazione – ma con doppia trasposizione, geo-virologica: dall’Algeria a Napoli; dalla peste al covid. Anche se la malattia da coronavirus non viene mai nominata, il riferimento alla pandemia del 2020 è inequivocabile. Resta, invece, il solito equivoco di fondo, di quando ci si chiedeva: ne usciremo migliori o peggiori? Al cinema di Patierno l’ardua sentenza. Un affascinante turbinio di storie e pensieri.

La trama

La cura è una produzione Run Film in associazione con In Between Art Film, con il contributo della Film Commission Regione Campania, in collaborazione con Terra Nera.

Corso Umberto, il rione Sanità, le Terme, la stazione di Mergellina, l’Hotel Oriente, la Prefettura, strade, angoli, per lo più deserti: Napoli in pieno lockdown. Una città spettrale e fuori dal tempo per la rilettura contemporanea di Francesco Patierno di La peste di Albert Camus, dove i sentimenti, le paure, i conflitti del libro scivolano armoniosamente dentro il disorientamento generato dalla pandemia, e pezzi di realtà, come un uomo disperato che urla di notte per strada, riflettono il testo. Un ospedale e i suoi medici e volontari, i funzionari, i commercianti, le persone normali, tutti si mescolano con una troupe che sta girando un film sulla Peste, in una coralità drammatica asciutta e coinvolgente. Chi vuole scappare. Chi decide di restare. Ma da soli non si resiste alla paura. (Sinossi ufficiale)

Le epidemie in tandem

La cura di Francesco Patierno è un seducente gioco di sovrimpressioni. La troupe cinematografica impegnata nel reinscenare La peste di Camus finisce presto, nei propri protagonisti, per interpretare il ruolo più difficile, col più indigesto dei copioni: sé stessi, a Napoli, ai tempi di una misteriosa epidemia. Nella sceneggiatura scritta a sei mani dal regista insieme a Francesco Di Leva e Andrej Longo, l’accumulo del recente déjà-vu pandemico sembra deliberato, fino alla nausea. Non manca niente: dall’iniziale “è soltanto un’influenza”, alla paura dei primi contagi – tranne per gli invincibili, come Cristina Donadio; dall’incertezza della risposta di chi amministra, al dolore privato delle separazioni, dei morti senza salutare; dalle videochiamate, alle strade vuote della città. Sembra un film sviluppato per esplorare il serbatoio di narrazioni che la pandemia ha lasciato in eredità.

Vedi Napoli

Se questa operazione di recupero di tutti i possibili tòpoi, delle traiettorie di racconto, delle narrazioni della pandemia ha contorni piuttosto cerebrali, la realtà napoletana, schiantante e vissuta, riporta alla dimensione della concretezza. Una Napoli spettrale, ripresa dai droni tra tetti e acque, dove si muovono devoti e scettici, affaristi e imboscati, ma soprattutto capitani coraggiosi, come il Bernard di Francesco Di Leva, stoico e umanissimo dottore, o il Tarrou “alla Delon” di Alessandro Preziosi, l’altruista per eccellenza, alla testa del team di volontari, con in testa più di uno spettro. È quanto succede, come nel romanzo, a tutti i protagonisti: in tempi di fragilità, venire ai conti (verrebbe da dire) con l’amore e altri demoni. Ogni personaggio è l’incarnazione di una riflessione più ampia: sulla morte, sull’amore, sulla scienza, sulla fede, sul proprio ruolo nella società.

Peppe Lanzetta

Padre Paneloux (Peppe Lanzetta) in una scena de La cura

Un esempio di questa liturgia, è nella predica tra le antenne tv sui palazzi del prete interpretato da Lanzetta, a caldo di un evento tragico: diventa, praticamente, un trattatello in 3 minuti di teodicea, riguardo la presenza del male nel mondo nonostante l’esistenza di Dio. Ma è anche cinema d’impatto: la sua immagine ingobbita, sotto l’ombrello azzurro, ripresa in lontananza nel cielo livido, in un isolamento silente con le teste assordate di pensieri, resta nella mente col rimbombo delle sue omelie. Niente paura, allora: nonostante qualche pistolotto di filosofia dei bassi, il film si mantiene sanguigno, prossimo.

Curare gli sguardi

E doveva esserlo. Patierno ha messo in reboot l’idea di Camus per cui dalle epidemie si guadagnino, soffertamente, nuovi sguardi e prospettive. Perfetto per la sezione concorsuale Progressive Cinema – Visioni per il mondo di domani, La cura avanza per piccole tenzoni tra i personaggi su dilemmi vari, ma anche per grandi tensioni personali sul filo della sopravvivenza, emotiva e fisica.

Alessandro Preziosi (Tarrou) in un momento di riflessione nel film La cura

La ricetta medico-cinematografica è interessante, ma forse il film permane nella convalescenza del melodramma post-covid, stretto tra l’onnipresenza delle musiche e le svolte addolorate. Chiaro, comunque: la cura c’è. Camus esorcizzava e rimuginava con la letteratura, Patierno lo fa col cinema. Che come medicina dello sguardo, funziona spesso.

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La cura

  • Anno: 2022
  • Durata: 92'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Francesco Patierno