‘Big sleep’ di Kim Taehoon, la New Wave coreana detta legge
Ki-young (Kim Young-sung) è un operaio di mezza età, introverso e quasi sociopatico. Una sera al ritorno dal lavoro, trova un ragazzo accampato sotto casa.
Big sleepdi Kim Taehoon è un film drammatico presentato in anteprima mondiale in concorso al Busan International Film Festival 2022. Opera prima del regista, ha conquistato il premio come Miglior Attore per la performance indimenticabile di Kim Young-sung.
Big sleep è un film sul rispetto dei silenzi, delle fughe, della solitudine. Sul rispetto di ciò che si è, in quel momento e in quella situazione. Un film sul perdono e sul recupero.
Big sleep, la trama
Ki-young (Kim Young-sung) è un operaio di mezza età, introverso e quasi sociopatico. Fa il suo dovere sul lavoro e regolarmente visita il padre infermo, sebbene manchi di sentimento per la sua situazione. Una sera al ritorno dal lavoro, trova un ragazzo accampato sotto casa. È scappato e si è appostato sotto la sua tettoia, invitante rifugio provvisto di stufetta.
È inverno, ma le luci fredde sono più gelide dentro casa che sulla strada, dove invece regna il giallo intenso dei lampioni di paese.
Gil-ho (Choi Jun-woo) ha sedici anni e fugge da una situazione di abusi in casa.
Ki-young è un burbero solitario che non sa cosa sia la delicatezza o il tatto nel comunicare. Il ragazzo lo guarda perplesso quando l’uomo gli offre un posto dove stare. Da questo invito si costruirà un’amicizia rivoluzionaria per le vite schive dei due solitari, che vacillanti e instabili impareranno a sorreggersi a vicenda per riprendere il controllo della propria esistenza.
You only became pitiful when you act like pitiful. Don’t do it kid.
Dignità e umanità in Big Sleep
Big sleep ha una forza umana confortante, si muove nell’emisfero della finzione pur avvinghiato con tenacia alla realtà. Il volto pallido e ingrigito di Kim Young-sung è dirompente, nei panni di quel Ki-young ossessionato dalle sigarette e dall’indagare i pensieri dell’altro.
Senza queste spire di fumo ridondanti non avrebbe la stessa malsana dolenza. Pure la relazione con Gil-ho nasce dietro il muro del fumo, con dialoghi telegrafici, spesso mossi da una diversa ironia. Talvolta, senza neanche bisogno di raccontarsi troppo.
Nel delicato equilibrio di una vita traballante, sono diverse le situazioni in cui il personaggio di Ki-young si trova a dover questionare i suoi valori, ai quali si è attaccato con tutte le sue forze per sopravvivere. La dignità, la dignità è lo spessore del suo animo.
Ed è il valore più sentito nel film, nonché maggiormente minacciato, nell’adulto come nel ragazzo. Messa in questione così di frequente, rivista, maltrattata, e poi rispolverata e celebrata con orgoglio.
L’altra voce dell’indipendente di Corea
Nel cinema coreano c’è il mondo delle serie, perfette e patinate. I blockbuster, dove tutto è possibile. I grandi autori, dove tutto è immaginabile.
E poi ci sono i film indie, e gli esseri umani. Le storie piccole e anche belle.
Qui gli attori effettivamente rappresentano l’umanità, in genere, e i dialoghi sono senza secondi fini né atteggiamenti fiabeschi.
Questa New Wave che investe il pubblico, ha tanto da spartire con i vicini cinesi: la dolenza di Hu Bo e dell’elefante di Manzhouli, la quiete di Geng Jun e delle sue tigri della Manciuria. Il freddo di queste strade è lo stesso; il trascinarsi di questi uomini ha cadenze somiglianti; la fallibilità, la medesima malgrado le lingue diverse.
Il nuovo cinema indipendente asiatico urla gli stessi slogan, alza la voce su chi alza le mani, promuove i cuori buoni e li avvicina affinché si abbraccino tra loro. Basta poco per sentirne il rumoroso battito collettivo.