A Wild roomer di Lee Jeong-hong è il film d’esordio di questo regista nonché il vincitore del Busan International Film Festival 2022.
Placida rappresentazione di una vita mediamente combattuta, fatta di caso, destino e legami d’affetto.
Un film senza genere, un film senza definizione, fuori dagli schemi, ma dentro al cuore.
a Wild roomer, la trama
Gi-hong e Kyong-jun (Park Gi-hong e Choi Kyong-jun a interpretare se stessi) lavorano come manovali nella ristrutturazione di una scuola di musica.
Gi-hong è il capo carpentiere: una persona qualunque, con i suoi chiletti in sovrappeso e i suoi sbalzi di umore. Decide di prendere in affitto una stanza in un appartamento in stile, alla periferia di Seoul. Il lavoro scarseggia e con il tempo che ha a disposizione Gi-hong lega in fretta con il vicino e padrone di casa Jung-hwan e sua moglie Hyun-jung.
Quando Jung-hwan si accorge che il tettuccio del furgone di Gi-hong è sfondato, inizia una caccia all’uomo, o meglio alla ragazzina, che gli è saltata sulla macchina.
A Wild roomer: un’inversione di stile e ritmo
Nel mondo delle sceneggiature accalappianti e della suspense a ritmi da videoclip, arriva Lee Jeong-hong e il suo film della lentezza. Ma una lentezza trascinante e quotidiana. Il ritmo di a Wild roomer è il ritmo della noia e delle ore vuote, lunghe, riflessive.
I dialoghi sono poche frasi e quando vengono espresse, talvolta risuonano futili. Proprio come quei momenti di monotonia, in cui Gi-hong è perso nei suoi pensieri o nella chat al cellulare, che il regista si perde a descrivere per il gusto di riempire le giornate del suo protagonista. Il suo niente talvolta è dolente, altre volte osservatore; più spesso impaziente e fuori contesto. L’attesa di un lavoro fa perdere di significato alle giornate, ma poi, è una gran fortuna avere tempo per sé.
Why are you being so distant?
È così che il regista riesce a descrivere il suo personaggio: distante, introverso, impenetrabile. E in effetti, forse è poco chiaro anche al pubblico, o forse con questa sua discretezza si entrerà in empatia immediatamente.
L’assurda semplicità che lo distingue fa sì che possa chiedere sfrontatamente a una ragazzina che passa se è stata lei, per caso, a fracassargli il tettuccio. Ma la vita è una sliding door dopo l’altra, e la strategia di Gi-hong ha i suoi frutti.
You get one life to live anyway.
L’anti-film coreano
Basterebbero le chat al cellulare per capire, quando spezzano lo schermo cinematografico con una fastidiosa e brillante grafica verticale. Perché il telefono di Gi-hong è rotto. Ha una grande patacca nera e due righe storpie che impallano fastidiosamente la lettura. E allora, che c’è di strano? In fondo non c’è nulla di perfetto in giro.
Contro tutti i lustrini della cinematografia della K-beauty, a Wild roomer è l’anti-film coreano.
Solo la cadenza è rimasta la stessa di un certo cinema indipendente che non cerca show e celebrazione dei generi, ma si riporta all’altezza del pubblico. Scende dal palco per raccontare storie davvero quotidiane, davvero normali, davvero semplicemente oneste. Gi-hong non è un eroe ma un cuore buono, non è perfetto ma istintivo, non è ricco ma tira a campare.
È così che Lee Jeong-hong, un regista di cui sentiremo ancora parlare, ci insegna ad accogliere la vita con docile serenità.
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