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Woody Allen – I 10 migliori film

Woody Allen è fuori concorso a Venezia 80 con l'atteso 'Coup de chance'. Un elogio alla sua arte attraverso una selezione delle sue opere

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Woody Allen è a Venezia 80  con il suo nuovo lungometraggio ‘Coup de Chance’ pellicola incentrata sull’ importanza e il  ruolo che il caso e la fortuna giocano nelle nostre vite.

Comico, scrittore, sceneggiatore e regista, Allen ha attraversato il cinema dagli anni Sessanta in poi lasciando il segno nella Settima arte con personaggi indimenticabili. Di Woody Allen si conoscono storie personali e pubbliche, sono state scritte fiumi di parole che lo hanno lodato e denigrato. Vogliamo rendergli omaggio suggerendo modestamente un percorso di dieci film significativi. Opere che raccontano il rapporto con il suo mondo, la famiglia, le ossessioni, le donne e gli amici, scelte tra la sua vasta filmografia.

Io e Annie (Annie Hall, 1977)

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Il capolavoro che lo ha fatto conoscere al pubblico mondiale. Dopo un gruppo di pellicole in cui la comicità era debitrice allo slapstick situazionista, calembour linguistici e battute surreali e fulminati, Allen gira la pellicola costruita sulla personalità della compagna dell’epoca Diane Keaton. Allen è Alvy Singer, comico complessato, che racconta la sua storia d’amore con Annie Hall.

Il regista americano definisce per sempre il suo modello di commedia romantica. Protagonista è l’intellettuale nevrotico alle prese con amori conflittuali. Storie con psicanalisi a go go, situazioni al limite del surreale, con una scrittura sfavillante di dialoghi e battute che prendono in contropiede lo spettatore. E, il più delle volte, New York come scenografia naturale. Grande successo di pubblico e vincitore di quattro premi Oscar, tra cui miglior film, ad Allen per la miglior regia e sceneggiatura e alla Keaton per la miglior attrice protagonista (inaugurando una serie di premi alle protagoniste dei suoi film). Autobiografia midollare.

Manhattan (1979)

Forse il film esteticamente più affascinante grazie alla fotografia in bianco e nero di Gordon Willis che pennella il cuore di New York. La città è la principale protagonista che fa da naturale scenografia alle vicende amorose di un’altra versione di Allen. Questa volta interpreta Isaac Davis, autore televisivo, alle prese con un triangolo tra l’ex moglie, una giovanissima ragazza e una giornalista algida e saccente.

Sulle note della musica di George Gershwin, Manhattan è un’ode all’amore per una città, un mondo borghese e dei media americani, in cui Allen prende a piene mani dalla sua quotidianità e da fatti personali. Un film in cui leggerezza visiva e profondità emotiva si compensano e compenetrano in un mélange tra primi piani dei volti delle protagoniste e i campi lunghi sulla skyline di New York. Visione poetica dell’amore cinico.

Zelig (1983)

La strana vita di Leonard Zelig (interpretato dallo stesso Woody Allen) tra gli anni Venti e Trenta, un uomo dai mille volti che modifica il suo aspetto per essere accettato dalla comunità e dalle persone che lo circondano. Memorabile resta la scena in cui, quando si trova a fianco di un rabbino, il suo aspetto si modifica di fronte alla cinepresa trasformandosi. In bianco e nero, montato e messo in scena come un documentario reale (ma del tutto inventato), per riprodurre le sequenze d’epoca il regista ha utilizzato macchinari di quel periodo.

Co-protagonista Mia Farrow, nuova compagna di vita e artistica del regista, che interpreta la dottoressa Eudora Nesbitt Fletcher. Lei è la psichiatra che prima inizia a studiare lo strano fenomeno che colpisce Zelig, poi cerca di proteggerlo da chi vuole sfruttarlo e infine se ne innamora e lo sposa. Allen tratteggia la psicosi dell’uomo moderno senza personalità e dai mille volti che per compiacere si annulla nella massa, si mimetizza per sopravvivere. Uno dei film più originali del regista. Camaleonte psicoanalitico.

Hannah e le sue sorelle (Hannah and Her Sisters, 1986)

Scritto, diretto e interpretato, Allen racconta la storia corale di tre sorelle e delle loro rispettive controparti maschili tra equivoci e intrighi amorosi. Hannah (Mia Farrow) attrice famosa è sposata con Elliot (Michael Caine). Annoiato dalla routine coniugale, Elliot fa la corte e intesse una relazione adulterina con Lee (Barbara Hershey), prima sorella di Hannah, a sua volta in crisi con il compagno Frederick (Max von Sydow). Nel frattempo, Holly (Dianne Wiest), l’altra sorella di Hannah, è un’attrice mediocre che si sente sminuita dalla figura della sorella e alla fine abbandona la carriera artistica per dedicarsi al catering. Ma fallisce anche in questo e si dedica alla scrittura, riuscendo a pubblicare un romanzo di successo. Mickey Sachs (interpretato da Allen) è l’ex-marito di Hannah, ipocondriaco e cinico, si scontra prima con Holly poi se ne innamora e la sposa. Elliot dopo mesi di relazione adulterina, lascia Lee e ritorna da Hannah. Infine, tutti insieme si ritrovano  in una grande riunione familiare riappacificati con loro stessi il giorno del Ringraziamento.

Il film ha una sceneggiatura di una scrittura vivida, con dinamiche drammaturgiche coinvolgenti in un girotondo sentimentale tra crisi di identità e affermazioni di sé. Lo spettatore empatizza con tutti i personaggi e i loro piccoli e grandi drammi personali, che alla fine trovano una risoluzione. Tra i più grandi successi di pubblico, la pellicola riceve sette nomination agli Oscar e ne vince tre: ad Allen per la miglior sceneggiatura originale; a Michael Caine e Dianne Wiest come miglior interpreti non protagonisti. Commedia della sorellanza.

Crimini e misfatti (Crimes and Misdemeanors, 1989)

Due storie parallele. Nella prima abbiamo un attempato chirurgo oculista (Martin Landau) che tradisce la moglie (Claire Bloom) con una giovane hostess (Anjelica Huston). Questa lo minaccia di rivelare tutto alla moglie e allora lui la fa assassinare con l’aiuto del fratello malavitoso. La seconda storia vediamo un regista di documentari (Woody Allen) che deve girare un film su un comico televisivo (Alan Alda) volgare e presuntuoso. La produttrice del documentario (Mia Farrow) resiste alle pressanti avances del comico e invece intreccia un rapporto con il regista. Ma alla fine sceglierà il primo.

Ispirato a Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, il regista newyorchese mette in scena una rappresentazione borghese in cui dramma e commedia scorrono senza mai incontrarsi fino al dialogo finale tra i due protagonisti. Un finale che si rivela tragico sia che si parla di grandi crimini come quello perpetrato dal chirurgo, colpito dai rimorsi di coscienza, sia che si tratti di minuzie sentimentali come quelle vissute dal regista, immerso nella malinconia esistenziale. Un mondo, più che immorale, amorale quello della storia di Woody Allen che raggiunge una delle sue vette più alte della sua cinematografia. La (tragi)commedia umana.

La dea dell’amore (Mighty Aphrodite, 1995)

Tra alti e bassi della filmografia degli anni Novanta, con questa pellicola Allen ritorna a una levità nel tratteggio dei suoi personaggi. Il Lenny, interpretato dallo stesso regista, è un giornalista sportivo sposato con una donna (Helena Bonham Carter) dalle velleità culturali che apre una galleria d’arte. Quando la moglie lo tradisce, Lenny si mette alla ricerca della madre naturale del loro figlio adottivo. Scopre che quest’ultima è una giovane prostituta (Mira Sorvino) di cui in un primo momento cerca di aiutarla in tutti in modi per poi innamorarsi.

Al di là del gioco delle relazioni incrociate dei risentimenti personali dei vari personaggi che si muovono sulla scena, Allen scrive una storia sulla solitudine umana, la tolleranza e la ricerca della felicità, ai livelli delle sue migliori commedie del passato e arricchito da una grande interpretazione della Sorvino della semplice e ingenua prostituta, che per il ruolo vince l’Oscar da non protagonista. La potenza dell’amore.

Match Point (2005)

Dopo una serie di insuccessi, abbandonato dal pubblico e dalla critica americana, Allen si rifugia in Europa, dove è sempre e comunque amato. Londra diventa lo scenario elettivo per Match Point (e per gli altri due film successivi Scoop e Sogni e delitti) film drammatico a tutto tondo, con la narrazione di un vero e proprio arrampicatore sociale che riesce a sposare la figlia di un ricco finanziere. Ma l’amore folle per la fidanzata americana del fratello della futura sposa rischia di intralciare il suo sogno di ricchezza e rivincita sociale. Alla fine, organizza l’omicidio della donna che nel frattempo è incinta e minaccia uno scandalo.

Woody Allen questa volta rimane dietro la macchina da presa e scrive un’altra sceneggiatura con una struttura narrativa solidissima e millimetrica, un neonoir filosofico sul bene e sul male, sulla necessità e la virtù, sull’amore e il possesso. In un ambiente allo stesso tempo gelido e pacato, in cui si muovono correnti di passioni carsiche pronte a emergere per poi scomparire di nuovo, il film è anche una prova di Allen come direttore di attori che, mai come in questo caso, forniscono interpretazioni calibrate. Su tutti svetta Scarlett Johansson con la sua impetuosa e carnale Nola Rice, femme fatale involontaria. Delitto senza castigo.

Basta che funzioni (Whatever Works, 2009)

Tornato a New York, Allen riprende i toni della commedia a lui più congeniali. Boris Yellnikoff (Larry David, alter ego del regista) fisico di fama internazionale e candidato al Nobel, è un cinico e burbero ipocondriaco che preso da un profondo sconforto esistenziale tenta il suicidio e divorzia dalla moglie. Va a vivere da solo, dando lezioni di scacchi a giovani studenti che tratta male come del resto le persone che incontra non ritenendole degne del suo intelletto. Finché non incontra una giovane sbandata che ospita a casa sua e alla fine sposa.

Sintesi e summa di molte sue commedie precedenti, con un personaggio che rispecchia la disillusione dell’autore verso quel mondo contemporaneo e quella società americana consumistica e superficiale, il film è tra i più divertenti degli ultimi anni, con un personaggio che si vorrebbe prendere a schiaffi e abbracciare allo stesso tempo. In realtà, Boris ha paura della morte e della solitudine e i suoi modi bruschi rivelano una personalità di un timido pieno di insicurezze. Il bisbetico domato.

Midnight in Paris (2011)

Parigi è la protagonista di questo film, che con New York e Venezia, è una delle città che l’autore ama di più. Gilbert (Owen Wilson) è un giovane sceneggiatore di successo in viaggio con la sua fidanzata e i genitori di lei in attesa delle preparazioni del matrimonio. Gilbert si sente avvinto dalla magia della città e oppresso dalla ricchezza opulenta ed esibita dei suoceri. Inizia a girovagare di notte ed entra, per puro caso, in una Ville Lumière alternativa. Incontra Hemingway, Bunuel, Gertrude Stein e tutta la cosmopolita comunità di intellettuali degli anni Venti. L’incontro con Hemingway e la Stein lo spingono a diventare uno scrittore. Tornato alla realtà, abbandona la fidanzata e rimane a Parigi per realizzare il suo sogno.

Una bellissima sceneggiatura (quarto Oscar su sedici candidature nella categoria) che riesce nel combinare il connubio tra presente e passato, l’anelito alla realizzazione di sé attraverso l’arte, tra la poesia di una vita vissuta liberamente e la prosa legata a regole sociali borghesi basate sull’apparenza e il possesso materiale. Invertendo le metafore, la notte parigina è quella del sogno e delle illusioni che possono diventare realtà, il giorno è pieno di luce che abbaglia ogni aspettativa di vita felice. La macchina del tempo ritrovato.

La ruota delle meraviglie (Wonder Wheel, 2017)

Gli anni Cinquanta secondo Allen. Una cameriera (Kate Winslet) ex attrice vive con figlio e l’attuale marito (Jim Belushi) in una casa vicino a Coney Island. Si invaghisce di un bagnino con velleità di commediografo (Justin Timberlake), mentre arriva la figlia del marito, avuta da un precedente matrimonio, in fuga dal marito gangster.

Il lavoro fatto con la fotografia da Vittorio Storaro riveste con luci e colori caldi un’atmosfera stantia e morente, di sconfitti dalla vita in cerca di improbabili rivalse individuali ormai fuori tempo e fuori luogo. Il rimpianto di un’illusione porta a una tragica fine. L’ultimo film con una sceneggiatura da una struttura forte, con personaggi dipinti nel loro viaggio andata e ritorno in abissi di egoismi con un cast in stato di grazia. Vite perdute.

Coup de Chance: trailer e data d’;uscita del film di Woody Allen

Antonio Pettierre

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