Production year: 2011
Countries: France, La Region Nord-Pas de Calais
Runtime: 109 mins/ 35 mm scope / Color
Directors: Bruno Dumont
Screenplay: Bruno Dumont
Release date: Spring 2012
Cast: David Dewaele, Alexandra Lematre, Juliette Bacquet, Aurore Broutin
A due anni di distanza da Hadewijc, Bruno Dumont ritorna con un lavoro ambizioso ed inquietante: Hors Satan, con cui continua la sua spiazzante indagine sulla complessità della natura umana, adottando però un approccio ancor più provocatorio e al limite del possibile. Se infatti in Hadewijc il regista francese ci forniva qualche appiglio solido alla realtà, in Hors Satan si rifiuta di dare spiegazioni e ci lascia completamente liberi di interpretare gli eventi che si susseguono.
Ambientata a Cote d’Opale, nei pressi di un borgo al nord della Francia, la trama, molto essenziale, del film ruota attorno a due personaggi di cui non viene mai rivelato il nome: un vagabondo solo con un fucile, le Gars, il ragazzo, (David Dewaele) che approda in questo posto, ed Elle, lei, una ragazza proveniente da una fattoria lì vicino (Alexandra Lematre).
Tra i due c’è una relazione molto forte ed empatica che però resta in bilico tra il rapporto di un maestro e la sua discepola e l’amicizia o l’amore tra due adulti. A rappresentare l’ambiguità di questo legame c’è un episodio di violenza che apre il film. Le Gras sembra essere a conoscenza di qualcosa che angoscia Elle e che invece sfugge al pubblico, e per aiutarla a porre rimedio alle sue pene si arma di fucile e ammazza un uomo che stava lavorando sua fattoria. Solo successivamente scopriremo che si trattava del patrigno della ragazza che abusava di lei.
L’omicidio resta irrisolto, nessuno interroga o chiede spiegazioni, quasi come si volesse spogliare il misfatto del suo significato tragico e mantenerlo sospeso nel tempo.
Hors Satan si regge tutto in questa dimensione surreale ed indecifrabile, sorretta da un linguaggio visivo fatto di lunghe e statiche inquadrature e da dialoghi minimali che lasciano spazio al silenzio, elemento chiave che avvolge tutto il film.
La violenza viene qui raccontata come una necessità amorale per sopravvivere in un mondo dove bene e male si confondono continuamente, e l’uomo è lasciato solo con i propri conflitti. È una presenza costante, anche quando non avvengono episodi brutali, perché continua a farsi sentire attraverso la natura selvaggia e sensuale del posto e la sofferenza interiore dei protagonisti, incapaci di comunicare e di condividere i propri sentimenti.
Le Gars spende il suo tempo aiutando gli abitanti del villaggio e chiedendo in cambio solo cibo. Loro non capiscono come questo vagabondo sia piombato nelle loro vite (non sanno se si trovano di fronte ad un messia o un diavolo), ma ciò che conta è che ci sia qualcuno pronto a risolvere i loro problemi e a dissipare le loro paure. Il suo aiuto si manifesta ora attraverso la violenza (l’uccisione del patrigno di Elle e l’aggressione di una guardia che ugualmente aveva importunato la ragazza), ora in prodigi, come quando guarisce una donna (Juliette Bacquet) affetta da un oscuro malessere. La contraddittorietà delle sue azioni è ciò che lo rende un personaggio difficile da collocare….è un santo? Un diavolo? Chi è quest’uomo?
Il dubbio trova la sua massima espressione in una delle scene più disturbanti del film, quando Le Gars incontra un’audace campeggiatrice (Aurore Broutin). I due si incrociano per caso lungo la strada, e la donna gli chiede indicazioni; le Gars si offre di accompagnarla per un tratto. Qui avviene l’inevitabile scena di sesso alla Dumont: aspra e secca.
Ciò che sconvolge di questa sequenza non è tanto la natura animalesca dell’atto, ma qualcosa di più ineffabile e sconcertante che non ci fa capire se stiamo assistendo ad un esorcismo, uno stupro o ad una santificazione. Quando la donna giunge ad avere delle convulsioni (con tanto di schiuma alla bocca), tutto fa credere che sia prossima alla morte, come se stesse ricevendo una punizione esemplare per l’eccesiva intraprendenza. Invece, una volta terminato l’atto, si tuffa nel fiume e ne rinviene completamente fresca e purificata.
Hors Satan è un lavoro surreale e, in quanto tale, richiede una consistente dose di fede nel cinema, nella sua capacità di travalicare la realtà e di raccontare l’accadimento di eventi straordinari e di azioni spropositate. Qui la storia individuale di ogni singolo personaggio e l’interazione che avviene tra di loro non vengono mai sviluppate. Inoltre i comportamenti dei protagonisti, eludendo continuamente le regole convenzionali di vita, scivolano nella parodia, fino a creare un fastidio incalzante. Dumont , infatti, preferisce evitare il più possibile i luoghi comuni e ama invece trattare il tessuto filmico in maniera simbolica ed onirica attraverso l’uso della metafora; anche se ciò lo condanna ad essere spesso osteggiato dal pubblico e dalla critica, che l’accusano di creare lavori pretenziosi.
Durante la proiezione di Hors Satan a LFF, metà del pubblico aveva già lasciato la sala dopo la prima mezz’ora, mentre solo alcuni hanno resistito fino al Q&A (l’intervista con il regista), mettendo a dura prova quella fede (o follia) che poi li ricompenserà.
Sebbene lo sguardo del regista francese sia violento, si rivela anche lucido e sincero nel raccontare una scomoda verità sulla natura umana, sul suo carattere ambiguo. Non si tratta, tuttavia, di un pessimismo totalizzante, perché alla violenza raccontata con banalità e distacco si accompagna sempre un desiderio ultimo di amore che brucia dentro i personaggi. I suoi film si muovono alla ricerca del senso della natura umana in eterna lotta tra orrore e bellezza, tra azione e esitazione, tra purezza e peccato. Creano disturbo e tormento nell’anima. Ed è questa la bellezza, rara, della sua opera.
Carla Cuomo
www.newwavefilms.co.uk